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L’espansione orizzontale-estensiva dell’economia di mercato pare

avviarsi a completamento; ma l’espansione verticale-intensiva è

ben lungi dall’essere completa. L’amore logora chi non ce l’ha.

Sull’Appia, subito dopo i pini a ombrello del Ponte Lungo, appena superata la passerella della ferrovia, svoltando a destra in piazza Finocchiaro Aprile. Ruggero e Gustavo abitano in un palazzetto anni Trenta color cappuccino, nell’androne mi accoglie una statua di Diana cacciatrice; la cucina è ampia e luminosa, non come quel buco dove stavano prima.

Il cake al cioccolato ha lievitato poco, Gustavo dà la colpa al forno nuovo e alle vaschette di stagnola troppo sottili. Gustavo è un argentino ambrato, con gli occhi di sottobosco resi più profondi dall’astigmatismo; la nonna paterna era libanese, fuggì di casa a quindici anni e capitò a Buenos Aires dove fece fortuna. «Io le assomiglio» sorride Gustavo: anche lui a diciott’anni se n’è andato a Miami per sottrarsi ai contrasti col padre, e lì ha dovuto cavarsela puntando unicamente su un corpo da esposizione. «Lo sapevo già di essere bello, in palestra mi guardavano tutti... in fondo è stato facile, mi bastava esistere».

Una sera alla Versace Mansion ha chiesto un cognac a Donatella, l’aveva scambiata per la cameriera. La visita guidata continua: il pezzo forte dell’appartamento è la doccia, larga di plexiglas per potercisi divertire in due – al posto della tradizionale cipolla, una lastra di travertino che fa cascata come nelle saune o a Villa d’Este. E un sedile di marmo per consentire alla mamma di Ruggero di lavarsi da seduta, dati i problemi alla colonna vertebrale.

Ruggero non ha mai conosciuto suo padre: porta tatuato sul braccio il nome di un amico più grande che l’ha svezzato sessualmente ed è stato il suo punto di riferimento per anni. «Non mi dimentico di chi mi ha fatto del bene». Lui e Gustavo, nell’ambiente, li chiamano “los hermanos del porno” per la muscolarità gemella e oversize. Nel salone c’è una lunga consolle con due computer: a uno si accomoda di notte Gustavo per i suoi turni di webcam – completamente nudo, si masturba o esegue le posizioni che gli chiedono.

Ruggero ormai preferisce evitare: se ne va in camera e si addormenta o lo aspetta leggendo. Ha deciso di prendersi la seconda laurea in matematica dopo quella in ingegneria, per pura soddisfazione e per vendetta; come per vendetta si addobba di anelli catene e bracciali che pare la madonna di Pompei. «Mi avete sputato in faccia per anni, adesso beccatevi quanto oro ciò addosso». È militante, impegnato nelle marce e nei Gay Pride; anche se da Imma Battaglia non si aspettava tanto conformismo (a una festa Gustavo si è presentato coperto solo da un mini-costume e lei ha trovato la cosa disdicevole). Quando è andato in Argentina a conoscere la famiglia di Gustavo, si è rifiutato di passare per semplice amico e ha piantato una rogna, o fidanzato o niente; “novio” e il più presto possibile marito, anzi moglie. Ha causato molto dolore, la sorella s’è chiusa in camera ma adesso sono molto legati; anche Gustavo lì per lì s’era incazzato con lui. «Nos peleamos siempre», soprattutto per le stronzate; ma si capisce che sono due persone innamorate e felici.

«Vogliamo metterci alla prova su tutto, ci sfidiamo»; all’inizio li divideva un oceano, ha provato Ruggero a trasferirsi in America ma i suoi impegni qui non gliel’hanno consentito, soprattutto per via del principhe. Allora Gustavo ha lasciato il Messico, dove è una specie di star («ora là reciterebbe in una telenovela»); hanno cambiato la loro vita senza voltarsi indietro. «Lo amerò anche quando invecchierà, per me la bellezza non è così importante»; «sì però stai con un pezzo da novanta, mica stai con uno storpio».

Sono una holding, vendono gadget, dildo personalizzati, magneti per il frigorifero con loro due nudi; «i parametri d’organizzazione che avevo imparato a ingegneria mi sono tornati comodi». Gustavo prende in giro Ruggero perché parla troppo, fa il gesto bla-bla con la mano; poi però è lui che deve rispondere a un cliente («vale, nos vemos el viernes... besitos»). Mi fanno scorrere sotto gli occhi le copertine californiane, tedesche, finlandesi, perfino vietnamite che li ritraggono protagonisti – mescolano quelle dedicate all’uno con quelle dedicate all’altro, come se fossero le copertine ad amarsi in effigie.

Altri cespiti di guadagno? Beh il principe, naturalmente, Ruggero gli ha promesso che gli starà accanto fino alla fine; coi suoi settantotto anni ha ancora una vitalità invidiabile, non si stanca mai di visitare musei – «a Petra si è fatto cinque chilometri sotto il sole, io ero disintegrato». Solo la mattina ha problemi intestinali, va mille volte al bagno e non si può uscire prima di mezzogiorno; «comunque gli voglio bene, un po’ il badante glielo faccio volentieri».

«Non siete gelosi?» Tantissimo; quando a Gustavo tocca girare le scene hard, Ruggero resta in albergo a imbottirsi di tranquillanti – «yo un poquito menos»: eh, sto cazzo: «m’ha fatto fare tutti i Gay Awards guardando per terra, perché se qualcuno tanto tanto mi si filava lui digrignava i denti come uno squalo». «Li squali no digrignano, bobito». «Vabbè, come un tigrotto». Si sono conosciuti sul lavoro, Gustavo era al suo primissimo video; l’avevano corteggiato a lungo e lui rifiutava sempre, «alla fine ho detto di sì a Colt perché non volevo più innamorarmi di nessuno» – e invece.

«Se non posso essere di uno, allora sarò di tutti»; si entra nel porno come si diventa preti o suore, generalmente per una delusione. L’amore arriva per soprammercato, quando meno te l’aspetti; «godetevelo, finché siete giovani e belli». «Non è vero, sai, che la bellezza passa e l’intelligenza resta... anche l’intelligenza è deperibile, lo vedo da mia madre... l’unica cosa che non declina con l’età sono i soldi». Si covano reciprocamente con gli occhi ma senza smancerie; si offrono di accompagnarmi con la macchina – «grazie, preferisco una passeggiata». Sulla soglia è Gustavo l’ultimo a salutarmi, posandomi protettivo e tenero una mano sulla spalla, «te cuidas».

2

A mezzanotte cammino sul terrapieno della ferrovia, tra i malvoni umidi di primavera e illuminati dai neon; “ma beati loro, viva la faccia”. Come sono cambiate le cose in questi ultimi vent’anni, e in meglio; gli amori tra uomini erano segreti, impauriti, drammatici – adesso eccoli qui, una coppia senza figli con un cagnolino che viene dallo Stato di Chihuahua e quell’aiuto alla convivenza che consiste nel gestire insieme un’attività.

Caro vecchio amore, resiste a tutto come un fioraccio selvatico; resiste alla mercificazione, alla promiscuità e alla virtualità, come un cibo che non smette di essere squisito benché sia preparato con gli Ogm. Gustavo e Ruggero vivono della loro immagine, se ne nutrono e insieme la usano come scissione schizoide; vengono festeggiati al Chiambretti Night, i loro nomi d’arte non sono quelli di battesimo e del pornoattore che è in loro parlano in terza persona. M’addormento e sogno un albero grande, coi rami fino a terra, che a guardarlo mi fa piangere.

Il giorno dopo, al Trullo, chiacchiero con Attilio detto Attila, l’amico che m’ha aiutato a risistemare il terrazzo: ultimamente è gonfio, di una grassezza che è finta salute. «Ho smesso de fumà», poi certo il cortisone che assume per il guaio ai polmoni – quei bastardi non riescono a incamerare bene l’ossigeno o non espellono l’anidride carbonica; c’è uno scompenso, qualcosa del genere; gli servono le bombole ma non può esagerare, «a dirti la verità nun ciò capito tanto manco io». Ha perso il posto all’Ama per causa della malattia: mica era in pianta stabile, aveva un contratto a sei mesi e non poteva più garantire la continuità. La moglie gli sta vicino, lo mantiene lei col suo stipendio. «Piagne miseria ma cià ’n sacco de soldi appizzati... il capo gliene passa sottobanco, so’ convinto, nun vojo sapé pe’ cosa.» Litigano su tutto, da quando col figlio è andata com’è andata: «però la pace se fa a letto, galoppando». Hanno trovato di comune accordo un buon sistema: prima lui si scalda su Internet («c’è un sito de fregne, t’ee fanno vede ’n primo piano, tutte rasate diverse e devi da indovinà chi è ’a proprietaria»), poi si precipita in camera e assolve ancora al suo dovere, da dio.

L’altra sera la moglie è rientrata delusa, «la politica fa schifo»; e via tutta una storia di promesse non mantenute – «ma si prima dicevate ch’era bravissimo». Il pacchetto di voti, le cene dispendiose, le vendette trasversali e i dispetti incrociati in cui è difficile raccapezzarsi. «Era abbattuta come ’na regazzina e io me so’ sentito importante»; Attila se l’è sbaciucchiata tutta, l’ha coccolata fin che non l’ha portata a sorridere con la loro canzone, «la senti questa vocee…» – impostato come i tenori di una volta. Adesso però, se al capo gli scippano l’assessorato al Bilancio, lo stipendio diminuirà e dovranno stringere la cinghia; alla moglie dispiace soprattutto rinunciare alla crociera Costa già programmata.

Attila va a trovare la sua amante a Porta Portese, «l’avemo sfangata»: non dovranno separarsi per quindici giorni come s’erano ormai rassegnati – «iuhu! ma che me frega dei Caraibi». Girellando tra i banchi trova una tartarughina d’alabastro di quelle che la moglie colleziona e se la fa impacchettare con un biglietto: «andrà tutto bene amore, vedrai, basta progredire passin passino». Si sente un buon marito, si paragona al Cavaliere che regala le farfalle di bigiotteria – è pervaso da una ventata di entusiasmo.

(«Poi avete scopato?»; «No, semo annati all’Ikea».)

Povero, povero amore trasformista che muta pelle come le bisce e si adatta agli ambienti che trova; le vecchie tane sono otturate, gli antichi pretesti su cui si reggeva, l’autorità dei vecchi o le corna. «Er menu-opzioni s’è allargato», come dice Attila, anche per le classi basse; tutto si può aggiungere, non si rinuncia a niente. («Semo tutti più fluidi»). Se la tragedia scoppia è solo apparentemente per amore – in realtà è per orgoglio commerciale, soddisfatti o rimborsati. Quello che conta è il possesso, l’esclusione è percepita come una malattia; l’impossibile è a portata di mano, ora che le macchine imperversano.

Si può ricorrere in Spagna alla fecondazione eterologa assistita, come ha fatto Clelia: esaltando l’intelligenza del suo compagno, con gratitudine e amore raddoppiati. «È un uomo notevole, non gli importa che i geni siano i suoi, la sua paternità è culturale». Poi si può conoscere Angelo, un ragazzo della security alla Festa della Luna di Fregene («tutti vestiti de bianco, così già se alterano ’e gerarchie»), e commuoversi al fiotto enorme di sperma che quello ti versa sul ventre, odore di mandorle amare. Si può cercare di aiutarlo per un provino alla Lux Vide, senza venir meno al rispetto per l’intimità che si respira in investimenti più alti. Si può anzi si deve, biondo colombo pieno d’amore, abbandonarlo dopo un’ultima pomiciata a Villa Ada, avendo impresso alla sua vita una piega nuova («devo da ringraziarti, pure si te odio») – lasciarlo piccolo e dignitoso come sanno essere soltanto i figli degli operai. Clelia che usa i denari del padre per tenere i fantasmi a distanza, mentre la luna perde significato riducendosi a icona di se stessa. Si possono rassicurare gli amici che tutto è tornato nell’ordine, spedendo loro una mail che trasuda trionfo: “Finalmente disgustata manovalanze, vostra pacificata Lassie”. E come immagine in allegato, la radiografia del nascituro.

Una cosa si comincia ad analizzarla solo quando se ne è fuori; dunque, se ora analizzo l’amore...

3

Roma si squaderna come un prodotto d’alta gamma o una torta multistrato. Su a Villa Medici il cielo non sa decidersi: un nuvolone nero grava sul giardino con ventate e gocce sporadiche ma il sole balugina basso tra i pini, e sulla scalinata di Trinità dei Monti pare stia addirittura grandinando. Tutto insieme, la collezione primavera-estate. Il libro che due critici acuti stanno presentando nella sala degli arazzi è un libro anomalo, Innamorate pazze edito da Rizzoli – un esperimento di sinergia multimediale: l’autrice non è una donna in carne e ossa, ma la protagonista di una fiction di RaiUno; nella fiction lei fa la scrittrice e ottiene il successo proprio col libro che qui ora viene presentato (realizzato in effetti da un team di Bologna in contemporanea con la sceneggiatura).

“Tutto cambia” dice una frase del libro “ma le storie d’amore rimangono sempre le stesse”. Quando i luoghi comuni vengono ripetuti ossessivamente, è perché devono nascondere uno spavento o una cancrena. Dopo la presentazione, l’invito è in un palazzo vicino a piazza Venezia, uno degli indirizzi giusti della mondanità romana: casa meravigliosa con terrazza sui Fori, tavoli di radica ovunque inutilmente ingombri di libri, trionfi di peonie tra le tende di raso. L’ospite in tunica arcobaleno cangiante tagliata di sbieco.

Niente da mangiare fino a oltre le dieci («in questo, vedete, sono una selvaggia... dimentico sempre gli orari»), i camerieri girano a vuoto con vassoi di bevande che ormai nessuno vuole più. Un cameriere filippino ha chattato fino a mezz’ora prima con la moglie su Skype e al “Mabuhay” del server si è accorto di disprezzarla un po’ – non la tradisce in Italia, si limita a fotografare donne per strada e a fantasticare davanti alle vetrine degli stilisti, irte di pellicce e stivaletti sadomaso. Roberto D’Agostino con un computer sulle ginocchia aggiorna Dagospia in tempo reale; Silvio Sircana e Carlo Rossella si tolgono la parola a vicenda magnificando i pregi di un rustico in Val d’Orcia. Un broker uscito dalla Luiss si lamenta che il vulcano islandese ha bloccato a terra la moglie e non lascia arrivare l’amata da Londra – si proclama ferito nel «ricambio fisiologico». Se un assorbente batte le ali in una camera d’albergo di Knightsbridge, crolla la borsa di Dubai.

Una ex-bellissima, che possiede i propri lineamenti come un bene-rifugio, non perde d’occhio il display del Nokia: l’unico uomo che l’ha colta impreparata si permette ora di farsi desiderare – costringendola a dilapidare riserve di intelligenza e di spirito per una scopata distratta. Ma lei è lei, e non sopporta di soffrire per più di ventiquattro ore. Tra i ragazzi dell’agenzia la convinceva il secondo: il più grintoso, il più allegro e aggressivo nel percepirsi come moneta sonante. «Il denaro lo eccita, non per niente la sua erezione migliore l’ha avuta sotto la camicia di Gucci che gli avevo appena regalato... in lui la prostituzione è una forma di auto-riconoscimento». Le verità dell’amore durano meno di uno spot, il resto è ragioneria.

Le porte della camera da letto padronale sono spalancate, difese soltanto da una zanzariera dorata in cui molti invitati finiscono per impigliarsi; le luci in camera sono tutte accese, un pouf sfolgora di rose bianche.

Circola la voce che il cibo non arriva perché si sta aspettando un pezzo grosso del Governo; il ministro della Difesa, si mormora, altri parlano di un monsignore. Improvvisamente dalla strada salgono urla disumane, chi si affaccia riferisce di motociclisti che si azzuffano e di un minorato seminudo. Pare che il politico importante abbia dato buca. I camerieri (finalmente!) depositano sulle tovaglie di lino una “amatriciana scomposta”: bucatini in purezza, cioè semi-sconditi, circondati da una corona di pomodorini ripieni di guanciale e due salsiere con la fonduta di pecorino. «Non ammetto l’esistenza di altre donne» sorvola stentorea la voce di un provocatore di professione «tranne quelle che posso sottomettere carnalmente»; la battuta cade morta, si confonde nel ridere indistinto.

Ruggero è entrato al seguito del principe, la sua massa sovraccarica di muscoli oscilla in bilico precario su un bracciolo: discetta del Partenone e della bellezza che commuove, senza notare i sorrisetti ironici intorno a sé. Resto incerto se avvicinarmi e salutarlo, forse lo metterei in imbarazzo. Quando gli anfibi uscivano dai mari primordiali per conquistare le terre emerse, ci furono alcuni pesci che pur avendone fisicamente i mezzi non osarono avventurarsi nell’impresa. Ai tempi miei l’amore era un contenitore vago ma resistente, talmente integrato ai meccanismi della scalata e della riproduzione che l’attrazione reciproca era un valore aggiunto; la rinuncia significava famiglia, la gelosia funzionava come allarme e l’orgia era un’utopia rovesciata. Ora i contesti si sovrappongono, la preoccupazione dominante è di non perdere visibilità; se per esistere con un brand efficace sul mercato, o per illudermi di preservare un’enclave in cui sono il padrone, devo chiamare i miei soprassalti amore, ebbene così sia.

In regime di concorrenza, l’amore è costretto a negare la propria naturale fragilità: diventa ghiaccio scheggiato proprio perché deve colpire bersagli in movimento. Tutto diverge, tutto si sfalda in singolarismo o in folla: due sono troppi e troppo pochi. Non c’è amore senza metafisica ma oggi la metafisica è in restauro.

Si racconta che una sera Federico Fellini assistette a uno degli esperimenti paranormali in cui eccelleva il mago Rol; Gustavo Adolfo Rol chiedeva a uno dei presenti di nominare una carta da gioco, e la carta che Rol aveva già in mano corrispondeva a quella evocata. Fellini giurava d’esser riuscito quella sera a fare la cosa proibita per eccellenza, cioè a sbirciare da dietro le spalle del mago – e assicurava d’aver visto, travolto da puro orrore, i semi di un sei di cuori trasformarsi in un sette di fiori, mentre la superficie della carta formicolava in una poltiglia di rosso e di nero. Forse Fellini credeva d’avere così fissato un’allegoria dell’inconscio; io credo che avesse, profeticamente, avuto l’annuncio di quello che sarebbe stato l’amore di lì a cinquant’anni.

Attraversare l’orrore di quella carta viva e mutante significa combattere i nuovi reazionari, le forze confederate della conservazione sentimentale.

Da Tutti i nomi di Ercole. La magnifica merce e altri racconti, Bur contemporanea

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