Per fortuna nessuno a Cannes si aspettava un altro Povere Creature! a nove mesi da quella prova titanica. Spesso la gente fa i conti col film che si fa in testa e non con quello che vede. Yorgos Lanthimos perciò non sarà bistrattato come Coppola, e nessuno avrà il cattivo gusto di raccomandargli l’ospizio. Kinds of Kindness ha più a vedere con Dogtooth, The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro che con la taglia king size delle sue ultime produzioni, tant’è che lo ha scritto col vecchio compatriota e complice di lunga data Efthymis Filìppou, con cui aveva spartito il premio per la sceneggiatura qui al Festival per il Cervo. Humour noir a palate, stavolta, senza post-produzione di alta oreficeria, asciutto fino all’osso secondo il suo altro stile di riferimento. È come la libera uscita di un ragazzaccio che gira film per sfamare le sue fantasie più tortuose. Il cast sarebbe da spin-off delle Creature da Oscar (Emma Stone, Willem Dafoe e Margaret Qualley) senza la new entry Jesse Plemons, ormai imprescindibile dopo Il Potere del Cane, Killers of the Flower Moon e il suo folgorante cameo da redneck in Civil War. Quattro attori per reggere un film, anzi tre film, cambiando ruoli, caratteri e stile di recitazione, da camaleonti di lungo corso. Kinds of Kindness sarà in sala da noi con The Walt Disney Company dal 6 giugno.

Sono tre film separati e distinti, neanche cortissimi, visto che insieme impegnano la bellezza di due ore e tre quarti. Tre racconti surreali di dipendenza e crisi tossica da astinenza, di schiavi che non sopportano di liberarsi dalle proprie catene. Lo spettatore si gasa in partenza perché sui crediti delle produzioni parte una promettente Sweet Dreams, che programmatica lo è davvero. Nei titoletti depistanti di ogni capitolo si parla di un misterioso R.M.F. di cui scopriremo l’identità solo alla fine, o meglio altre la fine, per chi ha l’accortezza di non alzarsi quando partono i titoli di coda. Lanthimos poi si diverte a chiudere ogni capitolo coi relativi crediti finali, a segnalare che la continuità devi coglierla tu.

Tre storie ‘nere’

Atsushi Nishijima

Si parte con Jesse Plemons che a tarda notte è chiuso in macchina al buio e parte a razzo per investire l’auto di un malcapitato. L’urto ha ferito anche lui, ma torna a casa e si legge il suo bravo capitolo di Anna Karenina. Non è passione da lettore, è devozione a un disciplinare che il suo capo Willen Dafoe gli detta giorno per giorno, minuto per minuto, ivi compresi alimenti da assumere e drink da sorbire. Però è un padrone munifico, a schiavo e consorte regala stravaganti ma costosissimi cimeli sportivi: una racchetta rotta di Mc Enroe, un casco di Ayrton Senna e le scarpe usate di Michael Jordan. La sala ride di gusto. Però l’infelice non ha svolto il compito bene, e il capo pretende una replica dell’incidente, 48 ore dopo. Quando rifiuta, per l’ingrato scatta la punizione. Verrà bandito dal Creatore che gli ha programmato la vita, ivi inclusi la casa, la moglie e il divieto di riprodursi. «Sei libero» è una condanna. Perché intorno a lui si fa il vuoto pneumatico: datori di lavoro introvabili, moglie svanita nel nulla, cimeli invendibili. Da solo non sa più scegliere nemmeno cosa bere al bar. Quando prova a rimorchiare Emma Stone, la ritroverà in ospedale con le ammaccature da incidente commissionato e i fiori del diabolico Dafoe «per la coraggiosa Rita». Il tizio da eliminare sta messo peggio: per riscattarsi, non resta che rapirlo e schiacciarlo ben bene con l’auto. È da figliol prodigo e singhiozzante che tornerà tra le braccia del capo, mentre Margaret Qualley, che è la sua amante, strimpella al piano How Deep is Your Love. The end, titoletti di coda.

La storia numero due è anche più bizzarra. Jesse Plemons è Daniel, poliziotto straziato dalla perdita della consorte Liz, dispersa dopo un naufragio. Per confortarlo l’amico e collega del cuore va a cena da lui con sua moglie Margaret Qualley. «Vi va di guardare un vecchio video, per ricordarla?», propone in lacrime Plemons. Ma il video nostalgico è un porno casalingo delle due coppie in partouze. E finalmente Liz (Emma Stone), sopravvissuta al naufragio, torna a casa. Solo che il gatto non la riconosce. Divora la cioccolata che ha sempre odiato. Fuma. Non entra più nelle scarpe. Vuole far sesso con suo marito in divisa e lo stimola con lo sfollagente. «Non è mia moglie», ripete a tutti il malcapitato. E’un’ossessione, finisce a riposo obbligato per stress: “Leggera mania di persecuzione”, diagnostica lo psicologo. Willem Dafoe qui è il babbo di lei, che quando annuncia al marito un bebè in arrivo si sente rispondere: «Vattene dalla mia casa». Daniel non parla e non mangia più. Un bel mattino comunica: «Ho fame. Tagliati un dito e cuocilo con i broccoli». Per poi riferire allo psicologo che quella donna è fuori di testa, si è perfino picchiata da sola. Ma l’appetito diventa da lupo. «Perché non una gamba? O il fegato, che è ricco di ferro?» Il fegato sarà pronto, sanguinante e fresco di taglio mentre qualcuno bussa alla porta. E’ Liz. Quella vera. O no? Horror d’autore. Titoli di coda bis.

La terza storia impossibile ritrova Stone e Plemons in veste di scouters per una sètta. Ma lo sapremo dopo un provino asettico e molto professionale a una candidata sotto esame. Si sceglie a caso un cadavere in obitorio. Se la candidata funziona, dovrebbe resuscitarlo. «Fatemi provare con un altro cadavere», implora la poveretta scartata. La casa madre cui fanno ritorno è governata con pugno di ferro da Aka e Omi, che è Willem Dafoe. I loro accoliti, se si comportano bene, guadagnano il privilegio di congiungersi con l’uno o l’altro dei due, a turno e con apposita sala d’attesa. La liturgia della sètta prevede una slinguazzata di verifica. Il ‘contaminato’ deve sudare in una baracca di sauna e qualche lacrima di Aka e Omi dentro una pozza fornisce l’acqua benedetta. Manca però la ‘santona’da installare su un lussuoso santuario-yacht, e la ricerca di Stone e Plemons continua a restare infruttuosa. I requisiti non sono uno scherzo: una gemella morta, misure al millimetro e ‘il dono’, naturalmente. A Emma Stone, che è moglie e madre e si concede qualche visita-lampo di cortesia, accade il peggio: di nascosto il marito la droga e se la scopa. Contaminata, espulsa dal paradiso, la disperata Emily scoverà la sua preda: La gemella viva (Margaret Qualley nei due ruoli) cortesemente ha tolto l’incomodo e il pacco umano è pronto per la consegna. L’assurdo finale è troppo comico per rovinarvelo.

I sogni son desideri?

Ho tralasciato il leit motiv di raccordo, che poi sono due. I sogni, tutti in bianco e nero, ricorrono nelle tre storie, inefficaci ed esilaranti quando la realtà li riproduce testualmente oppure profetici. Sweet Dreams non era casuale. Lanthimos si è sbizzarrito soprattutto nel sogno di Liz-Emma Stone. Era su un’isola dove i cani sono al potere. Ingozzavano gli umani di cioccolata ma la carne di agnello, la sua preferita, la tenevano tutta per sé. I cani mostrati da Lanthimos nelle loro umane funzioni sono una chicca. E poi c’è un tizio tarchiato che torna da figurante muto a ripetizione, uomo da assassinare (e schiacciato), pilota salvatore e cadavere resuscitato: un multitasking perfetto. E’anche molto di più, ma deve restare top secret. Perché rovinare il gioco a un ragazzaccio in libera uscita?

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