Storicamente, per gli americani, l’estate è la stagione dell’orrore. Non si direbbe, ma è così. Deriva dal fatto che la maggior parte delle sale cinematografiche e dei cinema all’aperto davano sfogo alla loro programmazione più leggera e terrificante proprio nei mesi estivi, quando ragazzi e ragazze – il pubblico di riferimento del genere – erano a casa da scuola e potevano permettersi di stare alzati fino a tardi.

Nella sua Trilogia del drive-in, il romanziere texano Joe Lansdale definisce il mese di agosto «lo sfogatoio di tutti i più reconditi e grotteschi impulsi visivi, rimasti costretti a macerare per tutto l’inverno», prima di trasformare alcuni dei suoi protagonisti in terribili mostri mutanti.

Ecco forse perché molti dei più celebri romanzi dell’orrore, e relativi adattamenti per lo schermo, ruotano attorno all’estate: It, romanzo mondo di Stephen King, fa perno su una lunga estate di violenza, e così Cujo, Christine, Le creature dei buio, Il miglio verde, per citarne alcuni. Il capolavoro di Dan Simmons L’estate della paura è diventato un classico del genere e non per nulla inizia con la chiusura dell’anno scolastico, quando il vecchio edificio decadente che ospita le aule di studio rimane vuoto e silenzioso. «Entrare in una scuola vuota è come entrare in un ospedale abbandonato», ha commentato Simmons in un’intervista. «C’è qualcosa di sbagliato nel silenzio plumbeo che vi regna, si avverte una mancanza terrificante».

Così, l’estate diventa quella parentesi di vuoto imposto, di libertà quasi forzata da riempire con tutta la fantasia e l’orrore che l’inverno non concede – benché abbia a sua volta grande disponibilità di scenari orrorifici, basti pensare all’Overlook Hotel di Shining.

Fiumi di sangue estivi

Se però vogliamo individuare il genere di intrattenimento che più di tutti definisce l’horror estivo, è certamente lo slasher: quel filone di film che individuano nella violenza senza confini, nel sangue che scorre a fiumi, l’elemento di terrore disturbante che tiene incollati allo schermo spettatori e spettatrici riluttanti.

Alcuni esempi più che popolari passati per le sale e le televisioni di tutto il mondo: Halloween del genio John Carpenter del 1978, Venerdì 13, di Sean S. Cunnigham del 1980, Nightmare, capostipite di una serie di nove film incominciata nel 1984 e ideata da Wes Craven, che inoltre nel 1996 avrebbe diretto Scream, altra pietra miliare di un genere cinematografico minato e attaccato da tutti i fronti.

«Una disgrazia che condurrà alla fine della nostra gioventù e potenzialmente della nostra nazione», come la definì l’allora presidente Ronald Reagan che nel 1981 decise di intraprendere una buffa, quanto inutile, crociata contro quella che secondo lui era la violenza che dagli schermi sfociava sulle strade. Un po’ l’atteggiamento che Tiziano Sclavi, creatore nel 1986 di Dylan Dog, ha criticato definendolo «conservatorismo miope e disinformato, buono per nascondere i veri mali del mondo».

Insomma, lo slasher, che ha visto il suo periodo d’oro infestare le estati dal 1978 al 1994, per poi venire ripreso e rivisitato in diverse epoche successive attraverso riscritture, remake e riferimenti espliciti ai capisaldi, è rimasto e si è trasformato in un genere più che di culto: in un riferimento imprescindibile e in un cliché estivo per eccellenza. Tra campeggi infestati, scuole possedute, ville abbandonate e cittadine attanagliate dal male stesso, l’orrore letterario e cinematografico ha fatto centinaia di vittime; ma anche, ed è importante specificarlo, decine di sopravvissute.

Le final girl

L’horror, per essere convincente e riconosciuto, deve basarsi su alcuni nodi di scambio immutabili: quei momenti di tensione che tutti aspettano ma ai quali nessuno è mai preparato. Il mostro, che nel caso dello slasher è sempre un essere umano (o lo è stato) armato di un oggetto tagliente, deve comparire dalle tenebre; quando c’è un bambino probabilmente è un brutto segno; e in un gruppo di adolescenti destinati al massacro c’è sempre una final girl – una ragazza sopravvissuta. Solitamente è quella che non appartiene al gruppo: troppo studiosa per essere accettata dagli atleti e dalle cheerleader e troppo casta per essere veramente popolare tra i suoi coetanei.

Ma è lei che, alla fine, quando il sangue di tutti i suoi compagni d’avventura le ammanta braccia, gambe e volto, con i vestiti sbrindellati e ferita in più punti, riesce ad avere la meglio sul sadico assassino, sul macellaio mostruoso che ha preso di mira la sua comunità, il suo quartiere, la sua scuola o il suo campo estivo. Mentre cominciano a scorrere i titoli di coda, la final girl si allontana esausta e zoppicante o viene accompagnata via con una coperta sulle spalle dalle autorità sopraggiunte all’alba di una nottata di violenza e da quel momento del suo destino più niente è dato da sapere, almeno fino al primo sequel.

Lo sguardo di Hendrix

Il romanziere americano Grady Hendrix è un cultore e uno studioso del genere, dotato di una penna incredibilmente affilata e di un inscalfibile senso dell’umorismo. Nel 2017 ha pubblicato il saggio Paperbacks from Hell, ancora inedito in Italia, che si focalizza proprio sulla diffusione della letteratura dell’orrore tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, attraverso le serie di tascabili a consumo, tra le quali hanno trovato spazio anche autori come Arthur Hoffe e Shirley Jackson prima di venire consacrati alla letteratura di prim’ordine, e che in Italia sono stati traghettati in collane leggendarie come quella degli horror Mondadori, poi promotrice degli almanacchi stagionali tra il 1991 e il 1994.

A Hendrix il destino delle final girl sta a cuore; di più: è deciso a consegnare loro quel futuro che l’avido mercato dell’intrattenimento, così impegnato a macinare una storia dopo l’altra, non le ha mai concesso. Così, nel suo romanzo Gruppo sostegno ragazze sopravvissute (pubblicato nel 2021 e appena uscito in Italia per Mondadori e la traduzione di Rosa Maria Prencipe) le immagina impegnate in una quotidianità che non le lascia prendere fiato dal giorno in cui sono scampate al loro massacro personale. Erano destinate a una fine che sono riuscite a svicolare, ora sono costrette a guardarsi continuamente le spalle.  

Comicità macabra

Il senso di Hendrix per l’orrore è pari al suo senso per la comicità: i suoi romanzi, da Guida al trattamento dei vampiri per casalinghe a Horrorstör e My Best Friend Exorcism (tutti pubblicati da Mondadori tra il 2020 e il 2022) incarnano contemporaneamente la sua quasi assoluta adorazione per il genere, che lo ha portato allo studio del terrore in tutte le sue forme, e un’innata pulsione all’innovazione: che siano costruiti come guide di sopravvivenza per le invasioni vampiresche domestiche o come cataloghi dell’Ikea a corredo di una storia di fuga impossibile da un grande magazzino infestato, sono libri che si collocano su un solco ben definito ma che ne ritracciano e ampliano i confini.

L’idea di dare un destino alle final girl, che, da Jamie Lee Curtis a Neve Campbell – sopravvissute rispettivamente a Halloween e a Scream – concettualmente nascono per non averne uno che vada oltre l’epilogo dei film che le vedono protagoniste, è tanto innovativa quanto di rottura. Pone le basi per una nuova evoluzione, per quanto umoristica, di qualcosa che la tradizione ha definito con chirurgica (non a caso) precisione. Hendrix, in questo senso quindi, non è soltanto un cultore, ma un ricercatore e un inventore. Figlio, sicuramente, di decine di estati di studio.

© Riproduzione riservata