Scrivere libri per bambini non era uno dei miei sogni nel cassetto. Non avevo mai neanche immaginato di fare la scrittrice, per quanto scrivere mi sia sempre piaciuto. La scrittura è entrata a far parte della mia vita come un martello entra a far parte della vita di un fabbro: per necessità, perché c’è un lavoro da fare, c’è qualcosa a cui dare forma, e hai bisogno di uno strumento per portare a casa un risultato. Di fatto per me la scrittura non è mai stato un fine, è sempre stata un mezzo e lo è tutt’ora.

Ho scritto il mio primo adattamento teatrale perché volevo mettere in scena un testo di Ramòn del Valle Inclan per il quale ci sarebbero voluti 20 attori, e io ne avevo solo tre. Ho scritto il mio primo testo teatrale originale, Somari, perché avevo il desiderio di scrivere uno spettacolo per gli studenti delle scuole superiori che non costringesse gli insegnanti a girare come poliziotti per tenere buoni gli studenti durante le repliche. Era un esperimento.

Come un martello

Ho iniziato a scrivere in inglese perché la rivista che avevamo fondato, Timbuktu magazine. Era una rivista per tablet in inglese, perché negli Stati Uniti c’erano molti più iPad che in altri paesi. Dovevamo ottimizzare le risorse, e io mi divertivo tanto (e mi diverto ancora oggi) a coprire un sacco di basi, a provare a tenere le fila di un progetto creativo dalla a alla z.

Ho usato la scrittura come un mezzo per esplorare le zone di confine, l’ho usata per articolare con più precisione i miei sogni e per trasformare in un gesto creativo la voglia di distruggere che mi rugge nel petto da quando sono nata.

La scrittura è stata un modo di rimanere in contatto con quel desiderio distruttivo e di trasformare la rabbia in gioia, il buio in luce. È molto forte in me il desiderio di far saltare le fondamenta del patriarcato, di sradicare la misoginia, l’omotransfobia, il razzismo, l’abilismo. E all’inizio del mio percorso di attivista ho pensato di poter usare la scrittura come un martello per schiacciare i miei avversari. Ho pensato di usare parole affilate per tagliare le gambe di coloro che la pensano diversamente da me. 

Scrivere per bambini

È stato l’incontro con la letteratura per l’infanzia a cambiare radicalmente la mia prospettiva sull’uso che volevo fare della scrittura.

Quando si scrive per bambini, si possono usare molte meno parole, e quelle che si usano vanno scelte con immensa cura e disciplina. Nella scrittura per bambini non c’è posto per i trucchetti stilistici che imbambolano gli adulti. La scrittura per bambini invita, per sua natura, alla non violenza. 

Sottoponendomi alla disciplina necessaria alla scrittura per bambini, mi accorsi che volevo usare la scrittura per accogliere, non per respingere, volevo usarla per tracciare i confini di un altro mondo possibile, non per lamentarmi di quello esistente, volevo usare la scrittura per ascoltare meglio me stessa e gli altri, non per tappare la bocca a chi non la pensava come me.

Non volevo usare la scrittura per dire a qualcun altro che cosa pensare. Volevo usarla per mostrare agli altri un pezzetto di mondo, un punto di vista, una storia che magari non avevano considerato. E volevo lasciare ai lettori abbastanza spazio da poter lavorare quella storia dentro di sé, senza bisogno del mio intervento. Considero la scrittura come un invito. E i miei libri come una casa, nella quale, volendo, si può trascorrere qualche ora insieme e vedere che succede.

Una casa aperta

Grazie ai miei genitori, e in modo particolare alla famiglia di mio padre, sono cresciuta in una casa aperta, nella quale letteralmente migliaia di persone sono entrate almeno una volta per una festa, un pasto, un brindisi, un caffè. Forse è questa la ragione per cui voglio che i miei libri siano una casa aperta, in cui adulti e bambini, bianchi e neri, eterosessuali e omosessuali, abili e disabili possano incontrarsi e condividere anche solo un momento di gioia. Anche solo uno sguardo sul futuro. Anche solo una lacrima oppure un sorriso.

Non c’è nulla di più potente di un libro per bambini per invitare le persone ad attraversare un confine. I libri per bambini ci predispongono all’apertura verso l’altro. Perché nessuno accetterebbe che un libro per bambini predicasse attivamente la discriminazione, l’odio, o la violenza. Queste stesse cose, invece, le accettiamo senza problemi nelle miriadi di articoli, saggi, riviste che leggiamo ogni giorno.

Senza escludere

Certo, dico “attivamente” non a caso. Moltissimi libri per bambini, infatti, predicano ancora oggi la discriminazione, in modo passivo. Escludendo personaggi Lgbtq+, escludendo le persone disabili, escludendo le persone di colore, quei libri stanno insegnando ai bambini a guardare da un’altra parte. Stanno insegnando loro a considerare le persone bianche, abili ed eterosessuali la norma, e tutti noi altri un’eccezione.

Una volta che questa visione del mondo si insedia nella testa di un bambino, è molto difficile scalzarla. È questa la ragione per cui i libri per bambini devono smettere di essere ideologici, e devono rappresentare il mondo nella sua gloriosa diversità.

È per questo che i libri per bambini devono smettere di cancellare la presenza di noi lesbiche, di noi transessuali, di noi neri, di noi disabili, di noi donne che abbiamo aspirazioni professionali, e sogni grandi quando quelli dei personaggi di sesso maschile.

Se iniziamo a mostrare ai bambini il mondo per quello che è, riusciremo a liberarci dell’idea che alcune persone siano “errori”. E restituiremo a noi stessi e agli altri quell’umanità e quel calore di cui tutti, troppo spesso, lamentiamo la mancanza.

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