«Provocherà reazioni politiche questa serie, in Italia? La sola reazione che temo è il silenzio. Perché tanto l’opera quanto il romanzo ispiratore di Antonio Scurati rinviano a una discussione estremamente articolata, densa di spunti di riflessione, e sappiamo che la destra preferisce risposte semplici: è tutta colpa degli immigrati, make Italia great again, soluzioni pronte all’uso che a tanti vanno bene perché ti risparmiano la fatica di pensare».

Parla Joe Wright, il regista di M-Il Figlio del Secolo, e con lui parlano gli specialissimi artefici, a vario titolo, di un edificio narrativo che per spessore e per stile non ha precedenti nella serialità. È storia di cento anni fa nel più contemporaneo dei linguaggi. Gli otto episodi di M arrivano su Sky e in streaming su NOW dal 10 gennaio.

Grandissimo cinema per il piccolo schermo: non è un ossimoro. Anche l’incontro con il regista e col suo eccezionale interprete Luca Marinelli, con gli sceneggiatori Stefano Bises e Davide Serino, con Lorenzo Mieli di The Apartment produttore e con Antonio Scurati, autore del romanzo Premio Strega nel 2019, ha una densità emozionante. Hanno cervelli svegli e non rassegnati. È un privilegio confrontarsi con una squadretta così.

Joe Wright/regista: «La sfida più grande è stata trovare il tono giusto. Era fondamentale non raccontare Mussolini come un clown, prenderlo sul serio, e fare in modo che la serie allo stesso tempo riuscisse a intrattenere, senza prediche didascaliche. Il tono cambia nel corso degli episodi, diventa sempre più cupo e più serio. Bisognava avvicinarsi alla figura di Mussolini e permettere a Luca di incarnarlo seducendo gli spettatori – così come M aveva sedotto non solo una nazione ma leader come Winston Churchill, negli anni Trenta – senza perdere mai di vista i suoi crimini».

Luca Marinelli/protagonista: «Il cinema, diversamente dal teatro, ha bisogno anche di somiglianza fisica. Mi imponeva di costruire un corpo, “il corpo di un capo”. Ma era il piano intellettuale, emotivo, a spaventarmi di più. Da antifascista, dover sospendere il giudizio, dieci ore al giorno per sette mesi, umanamente è stato devastante. Sul piano artistico è stata un’esperienza formidabile con una squadra francamente meravigliosa. Con Wright abbiamo pensato di rifiutare l’idea del cattivo, del mostro, che servirebbe solo a collocare questa figura in una dimensione aliena. Era un essere umano che in piena coscienza ha scelto di fare quello che ha fatto, imboccando una via criminale. Lavorare a questa serie ci ha portato tutti a scavare nella nostra zona più oscura. Ma è stata anche una lezione di coraggio, quello del regista e di Scurati innanzitutto».

Stefano Bises/ sceneggiatore: «Il primo passo è stato “sposare” il libro, che si apre e si chiude con la voce di Mussolini. Ci ha dato lo spunto per creare un dialogo ininterrotto con lo spettatore che già in partenza ti allontana dal period drama classico. Altri elementi hanno ispirato il tono. Il primo Mussolini è un perdente, uno sconfitto, un arci-italiano opportunista, meschino, vile, bugiardo, nella nostra tradizione di racconto ricorda un Alberto Sordi o un Tony Soprano dopo. Questo stile di trattamento è funzionale a creare una sorta di prossimità con il personaggio. Via via che la serie diventa più crudele e più cupa, quando M mette i suoi vizi capitali a servizio di un potere feroce, sei portato a sentirti male per aver provato comprensione e simpatia. Ci siamo sentiti addosso un bel carico di responsabilità verso la memoria storica del nostro paese, anche se nel 2017, quando abbiamo iniziato a scrivere, il panorama politico era diverso».

Davide Serino/sceneggiatore: «È la responsabilità che abbiamo sentito noi e che cerchiamo di restituire allo spettatore. Nel finale M chiama tutti noi a dire una parola, e nessuno la dice. Per noi è la chiave di questa serie, di questo racconto sul populismo e sulle sue derive».

Il prossimo 25 aprile arriverà in libreria l’ultimo capitolo della monumentale pentalogia di Scurati. Ma anche M, la serie, potrebbe forse proseguire il cammino.

Antonio Scurati/scrittore: «La cosa che mi ha più sorpreso è scoprire che avevo avuto torto. Ho “fiancheggiato” da esterno la scrittura, e mi ha appassionato. Ma ho molto dubitato a un certo punto, devo dirlo, riguardo a certi aspetti capitali, come la ricerca del tono giusto, che era decisiva, e l’esigenza di evitare assolutamente di dipingere M come un personaggio comico o di esaltare la sua forza di seduzione. Erano le tre stelle polari al contrario che mi hanno guidato nel libro. Ho addirittura cercato una forma letteraria nuova per evitare ogni empatia col protagonista.

Mi sono inibito tutta una serie di procedure romanzesche fondamentali, come figure fittizie e dialoghi fittizi, per evitare qualsiasi slittamento nella commedia. Il fascismo è stato una tragedia che continua a stendere la sua tragica ombra su di noi. Confesso che a un certo punto della stesura del copione sono arrivato perfino a dire: “Su questa strada non vi seguo”. Ma devo invece riconoscere che era la strada giusta, che avevano ragione Serino e Bises, date quelle premesse artistiche, nell’andare fino in fondo. E quando ho visto il risultato sullo schermo sono rimasto abbagliato, contento che i miei timori abbiano magari prodotto qualche esitazione in più ma non siano stati di ostacolo.

So che è la politica a farvi discutere, ma l’arte è politica quando è grande arte. Questo è un grande copione, con una grande regia e una grande prova d’attore. Ho cercato di ricordare nella storia del cinema italiano prove da mattatore che stiano alla pari con quella di Marinelli, ma mi è venuto in mente solo Gassman. Le ciance sull’egemonia culturale stanno a zero: l’egemonia la conquisti con i valori artistici, non la imponi dall’alto con la politica».

Marinelli: «È sempre sano confrontarsi con la propria ignoranza, evitando le strade semplici, le scorciatoie care al populismo. Io l’ho fatto in partenza leggendo il libro di Scurati. Questa serie mi ha lasciato dentro la voglia di essere presente al mio presente, e quindi anche al mio passato. Solo così possiamo capire dove stiamo correndo».

Joe Wright: «La rottura della Quarta Parete mi sembrava il modo più naturale di riprodurre cinematograficamente la struttura del romanzo, che è costruito come una sorta di collage. Ho adottato una struttura simile facendo tesoro della lezione di Bertold Brecht. È la consapevolezza che devi rischiare di suscitare una sottile empatia nel pubblico per poi fargli mancare il terreno sotto i piedi, spingendolo a riflettere e quasi a sentirsi in colpa per quel sentimento. Diventa un esercizio di pensiero critico nei confronti di una reazione che hai vissuto e provato. Rifletti sul male che alberga in ognuno di noi, ma anche sulla possibilità che abbiamo di non cedere agli istinti più bassi». 

«C’è sempre un tempo in cui i popoli smarriti vanno verso le idee semplici, la sapiente brutalità degli uomini forti (….) Guardatevi intorno: siamo ancora tra voi». Con queste parole la voce del futuro Duce apre la serie. Sì, ci sono svariate buone ragioni per non ignorarla.

Ultima domanda a Scurati: vorrebbe vedere un giorno M-Il Figlio del Secolo su una rete del servizio pubblico? Risposta: «C’è un servizio pubblico in questo paese?». 

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