Tredici mosaici che ripercorrono la risurrezione di Gesù, in dodici luoghi di culto sparsi nel cantone di Ginevra: i volti, con i grandi occhi neri, hanno il marchio ben riconoscibile dell’ex gesuita Marko Rupnik. Il “Cammino di gioia”, un progetto inaugurato nel 2019 e realizzato dal Centro Aletti in collaborazione con l’atelier peruviano Encañada, é ora a rischio di smantellamento dopo lo scandalo che ha coinvolto Rupnik, fondatore e a lungo direttore del Centro Aletti.

Rupnik, infatti, accusato di aver abusato di almeno una ventina di donne, é stato dimesso dall’ordine dei gesuiti lo scorso 14 luglio in seguito a un’indagine interna che ne ha verificato «il rifiuto ostinato di osservare il voto di obbedienza». Nei giorni scorsi la diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo ha comunicato di aver costituito un gruppo diocesano di riflessione per valutare l’impatto della vita personale dell’artista sulla sua arte e l’effetto che le opere hanno sulle vittime.

«I membri di questa équipe hanno svolto un’ampia consultazione con esperti ed enti competenti, oltre che con le persone coinvolte nella creazione di questo percorso artistico», ha spiegato a Domani Charles Morerod, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo. Fra le associazioni che collaborano c'é anche il gruppo Sapec, che nel 2016 ha promosso la Cecar, la Commissione indipendente sugli abusi nella chiesa in Svizzera.

Un difficile bilanciamento 

«Il problema – ha sottolineato il vescovo – é come conciliare il rispetto dovuto alle vittime e quello per gli artisti, in particolare i partecipanti all’atelier peruviano, che ha creato cinque dei tredici mosaici che compongono il “Cammino di gioia”».

Una decisione simile é stata presa lo scorso marzo a Lourdes, quando il rettore del Santuario Michel Daubanes e il vescovo di Tarbes e Lourdes Jean-Marc Micas hanno costituito un gruppo di lavoro per verificare l’opportunità di rimuovere i mosaici realizzati da Rupnik nel 2007 sulla facciata della Basilica del Rosario. Molte vittime in pellegrinaggio al Santuario infatti, hanno dichiarato che non riescono più a pregare di fronte alle immagini realizzate da un abusatore.

 «Non si può separare l’arte di Rupnik dalla violenza psicologica, sessuale e spirituale imposta alle vittime, che spesso erano anche le sue prime modelle», dice a Domani Olivia (nome di fantasia), una delle religiose che ha testimoniato di fronte ai gesuiti di aver subito molestie da Rupnik quando era ospite del Centro Aletti.

Diverse ex sorelle della comunità Loyola hanno raccontato a Domani che il sacerdote le avvicinava convincendole che l’arte é un modo per vivere la fede e poi, usando abilmente il suo carisma spirituale, abusava di loro.

«Bisogna anche considerare che se Rupnik sovrintendeva l’opera, a comporre concretamente i mosaici c’erano anche tante donne, artiste che lavoravano anche per brevi periodi all'atelier – continua Olivia – alcune di queste erano vittime di Rupnik, io per prima: vogliamo davvero conservare dei mosaici che rappresentano figure sacre, ora che sappiamo che sono stati realizzati da vittime di violenza per ordine del loro abusatore?».

Casi simili

Rimuovere le opere di sacerdoti contestati non é impossibile: lo dimostra il caso di don Louis Ribes, detto il “Picasso delle chiese”, pedofilo riconosciuto che ha abusato di almeno 49 minori. Dopo anni di richieste da parte delle vittime, a inizio agosto nella chiesa di Diéme, vicino a Lione, sono state tolte due vetrate realizzate dal sacerdote e altre presto seguiranno la stessa sorte.

In Brasile, invece, i responsabili del Santuario nazionale dell’Aparecida, nello stato di San Paolo, non hanno ancora preso una decisione chiara su cosa fare dei 2300 metri quadri di mosaico posati sulle facciate nord e sud della Basilica da Rupnik e dai suoi collaboratori.

Che fare?

L’opera, iniziata nel 2019, verrà portata a termine o si deciderà per una marcia indietro, come é successo con la chiesa di Saint-Joseph-le Bienveillant, vicino a Parigi, dove il parroco ha rotto il contratto con il Centro Aletti? Da mesi la laconica risposta che arriva dall'Aparecida é sempre la stessa: «Il Santuario nazionale segue da vicino il caso e attende le direttive della Chiesa per le sue decisioni». Silenzio assoluto, invece, sul costo dei mosaici corrisposto al Centro Aletti.

La Chiesa sembra però non avere troppa fretta, né probabilmente intenzione, di dire una parola chiara sul tema. Non l’ha fatto finora e l’impressione, in Brasile come a Roma, é che si attenda soltanto che si calmino le acque dell’indignazione mediatica per ricominciare tutto più o meno come prima.

Il destino di Rupnik e dell’Atelier

Fuori Rupnik dalla Compagnia di Gesù, restano però aperte diverse questioni: come  dare giustizia (e risarcimento) alle vittime? Rupnik dove eserciterà ora il suo ministero? Dimesso dai gesuiti ma non dallo stato clericale, deve infatti trovare un vescovo disposto a incardinarlo nella propria diocesi. In questo scenario, come si trasformerà il Centro Aletti?

La direttrice Maria Campatelli, in una lettera aperta agli amici del 28 febbraio scorso, aveva dichiarato che «dopo lunghi anni di affiancamento, l’Atelier é oggi guidato da un’équipe direzionale, in grado di assumere la responsabilità per un cantiere sia dal punto di vista teologico-liturgico e artistico-creativo, che dal punto di vista tecnico-amministrativo.

Questo ci consentirà di tener fede a tutti gli impegni sin qui presi e ad assumerne altri di nuovi». L'intenzione é chiara, così come é evidente che dietro le quinte rimane saldo Marko Rupnik, da cui il Centro Aletti non solo non ha mai preso le distanze ma che, anzi, ha continuato a sostenere in ogni occasione.

É facile immaginare che l’atelier artistico continuerà a creare mosaici finché arriveranno commesse: con Rupnik (almeno formalmente) fuori dalla scena, il Centro Aletti non trova motivo di rinunciare a un affare che si é dimostrato negli anni florido e redditizio. Un progetto ben congegnato, che potrebbe però essere messo in crisi dalla decisione delle chiese francese e svizzera di rimuovere le opere del controverso sacerdote.

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