C’è una donna nella nostra memoria collettiva. Di lei siamo convinti di sapere tutto, come se fossimo in possesso di una scheda dell’anagrafe o di quei profili professionali che un giorno sì e uno no invadono la nostra posta. Nome: Eva. Stato civile: coniugata con tale Adamo. Professione: casalinga, a tempo perso raccoglitrice di mele. Caratteristiche: causa di tanti guai, per il marito e per tutti.

Un profilo così potrebbe forse essere indovinato anche in quei quiz televisivi, nei quali le domande di taglio biblico registrano più che altro clamorosi flop. Perché tornare a muovere ciò che sembra chiaro e discutere, addirittura scrivere ancora su di lei? Perché vuol dire tornare a parlare di noi, del nostro essere donne e uomini anche del XXI secolo, delle ferite ancora aperte della nostra memoria collettiva e non solo religiosa.

Una questione di nomi

Cominciando dal nome: bello, breve e incisivo, non c’è dubbio. Nato però da una vicenda di traduzioni e passaggi fra lingue che merita una sosta. Il suo nome infatti nella lingua ebraica ha un rimando al verbo vivere, che in italiano si perde. Per la verità si è perso prima in alcune traduzioni latine, non in tutte.

Bene infatti lo rendeva una forma molto antica e forse poco elegante che diceva: si chiamerà Vita, perché Madre dei viventi (Vita quia mater viventium in un latino che sembra quasi un dialetto italiano). Vuoi che altri traduttori, e fra questi san Girolamo, odiassero le ripetizioni, vuoi che le cose vanno come vanno, fatto è che un nome d’onore, così vicino a quanto si dice altrove di Dio come Dio dei viventi, diventa un nome come un altro, in seguito spesso corredato da epiteti di vario genere.

In realtà anche per il maschile corrispondente è successa un po’ una cosa simile, che però alla fine ha giocato su un tavolo meno nefasto: adam era all’inizio un nome collettivo, che indicava tutti gli umani in quanto tratti dalla terra, che si indica come adamah, appunto. Come dire, tutti quanti essere terrosi oltre che terrestri, un po’ come sostiene a’livella di Totò. A un certo punto del racconto biblico quello diventa effettivamente il nome proprio di un uomo e così accade che la nominazione venga retrodatata: fin dall’inizio si parlerebbe di Lui, e ogni forma di umanità – dunque certamente tutte le donne – dovrà prendere le proprie misure confrontandosi con quel Prototipo maschile.

Scale gerarchiche

Certo tutto questo per le donne non è stato molto bello, specialmente perché l’ordine del racconto biblico ha subìto una specie di stop cui è seguita un’inversione di marcia: cioè nel racconto in cui si passa dal caos alle forme viventi, sempre più animate e intelligenti per fermarsi come a corona sull’umanità al “sesto giorno”, la preferenza va in crescendo e chi arriva per ultimo è il più importante. Nell’altro racconto invece prima c’è la terra, poi un umano terroso, adam, solo e incapace di esprimersi finché non arriva un essere che gli sta di faccia e gli insegna a parlare, una donna appunto, che potrebbe essere dunque vista come vertice della creazione: invece in questo caso, la derivazione sembra diventare segno di inferiorità!

Intendiamoci, non sarebbe giusto comunque dire che la situazione di stare su un gradino più basso che hanno sperimentato le donne dipende da questi racconti, perché in realtà è il contrario, cioè tutto si basa su un modo di dividere i compiti e di disporre le differenze in scala gerarchica, che si riflette nei racconti tanto quanto nelle istituzioni.

C’è tuttavia un però, che non è di poco conto: dire queste cose in un testo religioso trascina con sé una conseguenza seria, perché quanto viene descritto rischia di essere sacralizzato e dunque di apparire come proveniente tale e quale da Dio. E chi potrebbe poi cambiarlo? Be’, anche questo vale fino a un certo punto per la verità, perché ci sono scritte nella Bibbia tante altre cose: accogliere gli stranieri, dividere con giustizia le risorse della terra, non usare violenza a nessuno – ma questi aspetti passano purtroppo spesso in non cale, cadono in un registro mistico che sembra valere solo per i santi. Mentre l’inferiorità della donna, quella sì che campeggia, insieme ad altri danni collaterali, quali l’idea del necessario dominio degli uomini sulla natura – e certamente ogni grado di temperatura che aumenta ce ne ricorda l’assurdità e la perniciosità.

Oltre i fraintendimenti

Fin qui si potrebbe dire abbiamo una serie di istantanee. Ma poi comincia il film vero e proprio, anzi il dramma, che si anima subito, come si diceva sopra, con giardini e frutta, con permessi e proibizioni e con vittime e colpevoli. È qui che gli epiteti che si accompagnano al nome di Eva trovano la loro origine: in mezzo fra un sinuoso serpente e un compagno facilmente influenzabile ecco lì la donna, causa della trasgressione e di una catena impressionante di mali per tutti. Da una parte lei sarebbe moralmente fragile, perché lascia aperta la porta alla tentazione (che tante volte è stata intesa anche in senso esplicitamente sessuale, data la forma del rettile, come nella canzone di Gianna Nannini sui maschi disegnati sui metrò). Dall’altra parte sarebbe un’inguaribile seduttrice, visto che il fiero Adamo non riesce a resistere né a lei né alle mele.

Il racconto è in realtà, nella sua forma base, molto più sofisticato di questa mia restituzione: l’episodio mette in scena in effetti l’ingresso nella storia, il passaggio da una infantile inconsapevolezza – che dunque non si può forse neanche chiamare innocenza – alla vita come la conosciamo, fatta di scelte mai indolori, di gioie e di tristezze, di consapevolezza dei limiti appresa giorno per giorno. In questo caso Eva – portatrice di doni e di dolori, come la greca Pandora – è forma umana ancora più radicale di Ulisse: fatte non foste a vivere come brute, si potrebbe dire volgendo al femminile il Sommo poeta.

Eva madre dei viventi avrebbe così la grazia di Pandora, nel cui vaso vuoto resta sola la Speranza; avrebbe la sapienza dei corpi, dei parti e della tessitura di Penolope; avrebbe l’intelligenza, l’audacia e la curiosità di Ulisse. Da qui possiamo pensare nuovamente le origini, per disegnare un futuro in cui donne e uomini siano effettivamente custodi affabili di sé e del mondo.


Cristina Simonelli è autrice del libro Eva, la prima donna. Storia e storie, edito da il Mulino. Il volume sarà presentato dall’autrice oggi al Festival di Rimini Antico/Presente 

© Riproduzione riservata