Il 28 febbraio 1985, a un pranzo in onore di Joseph Campbell, il regista George Lucas dichiarò: «Anni fa iniziai a pensare a un film per bambini, perché volevo inventare una favola moderna. Scrissi molte bozze, senza saper bene cosa cercavo, ma poi lo trovai in L’eroe dai mille volti. Avevo provato a leggere di tutto, da Freud a Paperino, ma quello fu il primo libro che mi spiegò cosa dovevo fare: era già tutto lì, da millenni, e Campbell me lo mostrò. Se non mi fossi imbattuto nelle sue opere, probabilmente oggi starei ancora scrivendo Star Wars. A volte per un lettore i libri sono più importanti degli autori, ma per me non è stato così: Campbell è il mio vero Yoda».

Forse non molti sanno chi sia Campbell, ma quasi tutti conoscono la saga creata da George Lucas, che in più di quarant’anni è cresciuta a valanga. Iniziata con un primo film, ma pensata fin da subito come una trilogia, lo è diventata in breve tempo con Guerre stellari nel 1977, L’impero colpisce ancora nel 1980 e Il ritorno dello Jedi nel 1983. In seguito sono arrivate altre due trilogie: un prequel nel 1999–2005, e un sequel nel 2015–2019. E ai nove film originali vanno aggiunti due recenti spin-off isolati e una ventina di serie televisive, animate o recitate, assommanti a più di 400 episodi.

Tutti e nove i film delle tre trilogie hanno ricevuto delle nomination agli Oscar, ben 37 in tutto, e i primi tre ne hanno vinti dieci. Ma alle produzioni cinematografiche si è subito affiancato un gigantesco business di bassa lega, imperniato sul merchandising e sui parchi tematici, che ha fruttato al regista una fortuna personale di più di sette miliardi di dollari.

Storie eroiche

Per generare queste cifre è necessario un successo planetario, che si può raggiungere soltanto abbassando il livello del prodotto a quello del fruitore di massa: in particolare, raccontando di eroi o supereroi, come dimostra la classifica dei venti film di maggior incasso di tutti i tempi nel Nord America, nella quale ci sono ben sei episodi di Star Wars, quattro di Avengers e due di Dark Knight. Lucas non citava dunque a vanvera L’eroe dai mille volti, perché quel libro metteva a nudo un tema universale sul quale sono già state fatte innumerevoli variazioni di successo, e infinite altre se ne possono rifare.

Nel suo fortunato studio di mitologia comparata Campbell isolava semplicemente un campione rappresentativo di storie eroiche nella cultura umana, sia occidentale sia orientale, e ne condensava l’essenza in uno schemino tripartito: “separazione, iniziazione, ritorno”. O, un po’ più estesamente: «L’eroe abbandona il mondo normale per avventurarsi in un regno meraviglioso e soprannaturale. Qui incontra forze favolose, su cui riporta una decisiva vittoria. E ritorna dalla sua misteriosa avventura dotato del potere di diffondere la felicità fra gli uomini».

Naturalmente, il diavolo sta nei dettagli. Che, nel caso dell’eroe, consistono nello stabilire come e perché egli decida di partire: se per decisione propria o incitamento altrui, con entusiasmo o controvoglia, aiutato dal caso o dalla fortuna, superando un confine o sconfinando senza difficoltà. Quali e quanti ostacoli egli debba superare: se di natura fisica o mentale, con la forza o l’astuzia, da solo o accompagnato, all’attacco o in difesa. E, infine, quando e come torni: se volontariamente o forzatamente, ostacolato o incitato, acclamato o rifiutato, saggio o potente, amante o santo.

Campbell analizza molti esempi di piccoli o grandi eroi, attinti dalle sorgenti culturali più disparate: la leggenda, la religione, la metafisica, la letteratura e la preistoria. Ma chiunque può trovarne per conto suo quanti ne vuole, una volta allertato allo schema: ad esempio, Buddha, Giuseppe, Mosè, Cristo e Maometto nella religione, Arjuna, Giona, Ulisse, Dante e Don Chisciotte nella letteratura, Pinocchio e Cappuccetto Rosso nelle favole, fino agli eroi e ai supereroi dei fumetti o del cinema. Compresi, ovviamente, Luke Skywalker, i suoi maestri Obi-Wan Kenobi e Yoda, e il suo “padre nero” Darth Vader.

Modi espressivi primitivi

Campbell stesso ricordava che, nella modernità, le vicende degli eroi sono state variamente interpretate come «uno sforzo primitivo e maldestro di spiegare il mondo della natura, un prodotto della fantasia poetica dei tempi preistorici, una raccolta di insegnamenti allegorici, un sogno collettivo e archetipico della psiche umana, un veicolo delle intuizioni metafisiche, o addirittura la rivelazione di Dio». Da bravo junghiano, il mitologo preferiva invece un’interpretazione psicologica, identificando nel percorso dell’eroe la separazione con la discesa nell’inconscio, l’iniziazione con il controllo dei propri demoni e il ritorno con la conquista della pace interiore.

Comunque la si voglia mettere, rimane comunque il fatto che le figure e le storie mitologiche costituiscono modi espressivi infantili per l’individuo, e primitivi per la specie, come lo stesso Campbell ha ripetuto più volte nel suo libro. Ma paradossalmente proprio in questo risiede la loro forza, perché molti di coloro che sono fisiologicamente adulti e storicamente moderni, rimangono comunque psicologicamente infantili e culturalmente primitivi, e decretano dunque il successo delle espressioni culturali che utilizzano il linguaggio mitologico: dall’intrattenimento dei fumetti e del cinema all’indottrinamento della religione e della psicanalisi (una cura, quest’ultima, che Vladimir Nabokov definì appunto come “lo spalmarsi di miti greci sulle parti intime”).

Incontri straordinari

Lucas scrisse la prima trilogia di Guerre Stellari dopo aver letto L’eroe dai mille volti e altri libri di Campbell, ma prima di averne conosciuto personalmente l’autore. D’altronde, tra un regista di Hollywood che viveva in uno Skywalker Ranch da cento milioni di dollari, e un intellettuale di New York che abitava in un bilocale al Greenwich Village, si frapponevano distanze geografiche, sociali e culturali non indifferenti. Ma il secondo non era un tipico professore di college americano, e nella sua vita aveva già incontrato molti uomini straordinari, come racconta la biografia Joseph Campbell. Un fuoco nella mente (2002) di Stephen e Robin Larsen.

Nell’estate del 1924, ad esempio, il futuro mitologo conobbe su una nave per l’Europa il futuro “messia incarnato” della Società teosofica, l’indiano Jiddu Krishnamurti, che divenne subito suo amico, e in seguito disconobbe la propria natura divina, accontentandosi di un ruolo da influencer dei primi new age californiani. Nell’estate del 1932, invece, Campbell incontrò a Monterrey lo scrittore John Steinbeck, futuro premio Nobel nel 1962, e il biologo Ed Ricketts, fondatore dell’ecologia marina: ebbe un’avventura con la moglie del primo e fece una spedizione scientifica in Alaska con il secondo, in una folle stagione descritta da Steinbeck nel romanzo Cannery Row, “vicolo delle scatolette” (1945) e nel saggio Giornale di bordo dal Mar di Cortez (1951). Nell’estate del 1942, infine, Campbell ospitò a casa propria per mesi un giovane e squattrinato musicista di nome John Cage, oggi considerato uno dei più influenti compositori e coreografi del Novecento.

Se queste erano le conoscenze di un giovane alle prime armi, si possono solo immaginare quelle di un maturo e noto mitologo. La più interessante fu sicuramente l’amicizia con la genetista Barbara McClintock, che organizzò alcune delle conferenze di Campbell contenute nella raccolta Le distese interiori dello spazio esterno (1986), dedicata anche a lei. La McClintock era un’ottima scienziata, vincitrice del premio Nobel per la medicina nel 1983, ma fuori dal laboratorio frequentava pessime compagnie: ad esempio, dirigeva i programmi pubblici dell’Istituto Carl Jung di San Francisco. Nei confronti della McClintock la comunità scientifica manifestò dunque un comprensibile imbarazzo, che in seguito fu frainteso ad arte come una reazione maschilista delle istituzioni a un approccio femminista alla scienza, mentre era soltanto una presa di distanza dalla fuffa junghiana, olistica e new age che caratterizzava gli approcci della McClintock e di Campbell.

Ma proprio per questo la scienziata divenne il ponte di collegamento tra il mitologo e alcuni artisti pop, da Bob Dylan ai Grateful Dead. Campbell ringraziò il primo per aver detto in un’intervista che gli I Ching erano il suo libro preferito, facendone vendere cinque milioni di copie alla casa editrice con cui lui collaborava. I secondi li andò a vedere in concerto nel febbraio 1986, e poi li paragonò in una lezione alle baccanti di un moderno rito dionisiaco. Seguì a novembre un convegno su I riti e l’estasi da Dioniso ai Grateful Dead, in cui Campbell dibatté con il chitarrista Jerry Garcia, che se ne uscì con un’arguta osservazione: «I dionisiaci non avevano idea di cosa dicevano, e noi neppure, ma probabilmente diciamo la stessa cosa».

Cos’era veramente

Fu sempre la McClintock a far incontrare Campbell e Lucas nel 1983, in occasione del convegno da lei organizzato su Le distese interiori dello spazio esterno, che diede il titolo al libro citato. I due si piacquero e iniziarono a frequentarsi, anche se il primo non aveva mai visto i film del secondo. Un paio d’anni dopo Lucas gli mostrò l’intera trilogia in un sol giorno allo Skywalker Ranch, e Campbell poté facilmente ritrovarci i temi mitologici tratti dai suoi libri, ma espressi in un linguaggio adatto ai giovani d’oggi. Come disse poi il compositore John Williams, autore delle colonne sonore che gli valsero uno dei suoi cinque Oscar: «Credevamo che Star Wars fosse un banale film da sabato sera, fino a che Campbell non ci spiegò cos’era veramente».

Campbell lo spiegò poi anche al mondo intero nelle sei interviste televisive Il potere del mito, girate allo Skywalker Ranch tra il 1985 e il 1986, ma trasmesse postume dalla PBS nel 1988, oggi reperibili su YouTube. Il mitologo era morto nel 1987, e non poté assistere alla trasformazione della propria faccia in uno dei mille volti dell’eroe: quello del guru televisivo, ascoltato da milioni di telespettatori. A sua volta, nel 1999 Lucas registrò uno special di un’ora, anch’esso reperibile su YouTube, su La mitologia di Star Wars, nello stesso luogo e con lo stesso intervistatore, per pagare il proprio tributo allo Yoda che gli aveva mostrato la strada.

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