Queen Raffaella. Se la televisione italiana ha avuto un Corpo, quello è stato il suo. Gli uomini – i Pippo, i Mike, i Corrado – ci mettevano le parole, le cravatte, il portamento, l’abilità di stare fermi di fronte alla telecamera che ingrandisce a dismisura il gesto più piccolo.

Venuta dopo l’esotismo teutonico e fuori scala delle gemelle Kessler, Raffaella aveva portato dentro lo schermo i gesti liberi e hippy di Hair, il musical che aveva visto a Parigi e che – lo ripeteva in tutte le interviste – era stata una delle sue maggiori ispirazioni. L’effetto fu esagerato, sessantottino, nonostante la tv trasmettesse ancora in bianco e nero. L’ombelico di Ma che musica maestro, le mani e i fianchi del Tuca Tuca a Canzonissima, il taglio di capelli di Vergottini, da attrice sovietica, da astronauta, che si muoveva in controtempo preciso alla testa. Raffaella regalava a tutti, grandi e piccini, la visione di un corpo cubista, space age, queer. Mai banale, mai scontato, di sfrenata e inarrivabile modernità. Un’icona.

Alla fine degli anni Settanta l’icona Raffaella libera la Spagna e il Sudamerica. È il terrore di fascisti e maschilisti. Libera le ragazze dai peccati antichi del tango e della milonga. Precede tutte le lambade e i reggaeton, è gay e ultrapride la sua breve fase eurodisco dadaista, con i testi del sublime Boncompagni (Tuca Tuca, A far l’amore comincia tu, Da Trieste in giù ecc.) è a livello degli Abba. Ma non finisce lì. Quando il rappel a l’ordre degli anni Ottanta riporta in auge tette e culi e la centralità (bla bla bla) dello sguardo maschile, persino quello ironico (?) del Drive In, lei si siede sui divani bianchi dello studio televisivo (che adesso è diventato un prolungamento delle nostre case) circondata dai suoi boys in camicia e maglioncino. È l’anello di congiunzione tra Wanda Osiris e Madonna.

Madonna di lacrime e risate

In Pronto Raffaella, uno dei programmi che colonizza il mezzogiorno (la tv era muta a quell’ora) del suo corpo lascia inquadrare soltanto particolari. Gli occhi in primo piano. L’azzardo mentale del vaso dei fagioli, nell’ora più vuota e inutile del mondo fino ad allora, odorosa di sughi e di rimpianti. È tutta per i bambini, le mamme, le casalinghe in ascolto la sregolatezza spettacolare di ogni emozione. La Carrà di mezzogiorno, anni Ottanta, è la madonna delle lacrime e delle risate, a volte le une dentro le altre.

Il comico Gianfranco D’Angelo coglie perfettamente il sacro e il profano della cosa, ma pure il sottile confine tra il finto e il vero quando nella sua imitazione en travesti a Drive usa una pompetta carnevalesca sulle sopracciglia che spruzza “taumaturgiche lacrime” subito raccolte dai finti boys che lo circondano.

Lacrime vere? Lacrime finte? Aveva studiato da attrice Raffaella, all’Accademia, e aveva cominciato nel cinema, con i film d’autore e poi con il genere ma senza grande passione né successo. Tra i mille frammenti che girano su YouTube, si veda l’inizio della puntata di Pronto Raffaella la vigilia di Natale del 1984. È il giorno della strage del Rapido 904. 15 morti su un treno nella galleria dell’Appennino. «Avevamo preparato una bellissima festa per gli adulti e per i bambini…». Ha la voce rotta dal pianto. Ma continua senza fermarsi mai: «È molto difficile stare davanti a una telecamera oggi… l’Italia è rimasta senza parole».

È un saggio bellissimo sulla capacità della televisione di fare tutto per i suoi spettatori, e di non fare niente. Potrebbe essere una pièce teatrale. La star della tv tiene tutti attaccati allo schermo con le sue lacrime perché finché è in onda non c’è niente di brutto che può succedere ancora. Il Male è vinto. Santa Raffaella non promette miracoli. Se qualcuno ne fa è restando in onda, in un periodo in cui la diretta è l’unica formula magica della tv. Per un’esclusiva con la Rai di due anni nel 1986 prende 6 miliardi di lire, alla Maradona (che era suo grande amico).

Ritorno dal semiesilio

Gli show via satellite da New York e persino da Mosca sembrano inutilmente faraonici, delle Aide bolse per un pubblico che sta cambiando. Ne offuscano un poco l’immagine, al punto di farle lasciare per un po’ l’Italia. Per questo Carramba che sorpresa che nel 1995 riporta Raffaella in onda dopo anni di semiesilio nella sua amatissima Spagna è un trionfo definitivo. Forse anche l’intuizione che nell’era della rete, tutto deve spostarsi nei flussi elettrici della danza e dell’emozione.

Carramba riprende il topos antichissimo dell’agnizione, che già Enzo Tortora aveva perfezionato con gli incontri tra vecchi commilitoni a Portobello (mutuati dalle vecchie Domeniche del Corriere, dalle Famiglie Cristiane). Sfruttando il movimento delle steady cam, le luci, ogni ritrovato della nuova televisione (va in onda dal grande Auditorium Rai del foro italico). L’emozione è un grande numero di ballo, un musical sintetico e ripetibile che gioca a ripetere Busby Berkley in una dimensione mentale.

Raffaella da consumata ballerina è coreografa e la maestra di cerimonia della cosa più impalpabile che esista: instilla commozione, lacrime, contemporaneamente risate e sorrisi (alla regia c’è il suo compagno di tanti anni Sergio Japino, anche lui coreografo). «Dopo trent’anni… è quiiiii!!». Per quanti anni sentiremo ancora l’eco nelle orecchie della formula ultracamp della carrambata (parola non troppo elegante, ma in breve entrata nei vocabolari). Ovvio che un passo oltre Carramba c’è il grottesco, il circo felliniano delle emozioni (l’apparizione della Madonna ne La dolce vita), c’è Maria De Filippi che perfeziona la macchina a livelli metafisici (terribili). Carramba che sorpresa è già un programma comico e serissimo. Ci sono concorrenti che rischiano davvero l’infarto in diretta e spesso vengono portati via a braccia mentre prudentemente la telecamera stacca sul pubblico.

Nessuna ironia

Di una cosa penso non amasse discutere: degli effetti e della cucina dei suoi programmi. La maschera di Raffaella Carrà non tollerava cedimenti all’ironia. Era serissima con il gioco dei fagioli – all’ironia ci pensavano i suoi autori angeli custodi, Boncompagni disse di aver rubato i fagioli a una tv locale toscana, Magalli al concorso di un negozio sperduto nel profondo degli Stati Uniti. Serissima con le lacrime che faceva scorrere a fiumi ai concorrenti/vittime dei suoi programmi di emotainment. Serissima perché sapeva che se quelle lacrime poteva scambiarle con le sue, solo allora potevano scorrere le lacrime degli spettatori a casa. Uno studio degli affetti e delle emozioni settecentesco, goethiano, che non poteva altro che derivare dalla danza, dal corpo che parla.

 

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