De André, Guccini, De Gregori, quelli li conoscono tutti. Claudio Lolli, che aveva un'analoga potenza poetica, è invece rimasto nell'ombra, un outsider, un eccentrico. In buona parte per sua scelta, peraltro, “extraneo” com'era alle logiche dell'industria musicale.

Ché poi quando si parla di Claudio Lolli bisogna fare i conti con una leggenda nera negli anni diffusa su di lui: era il cantore dell'angoscia. E invece no: Lolli cantava la vita. Quella degli zingari felici – per richiamare il titolo del suo album più noto, «Ho visto anche degli zingari felici». Solo che tale è il livello di ignoranza delle sue canzoni che è capitato di leggere, all'indomani della sua morte, che era morto il cantautore che aveva per primo cantato gli zingari nel senso dei rom. Quando invece quella era una metafora – tratta da un film jugoslavo del 1967 – per indicare quella tumultuosa e febbrile gioventù che traversava le piazze negli anni Settanta, che praticava contagi, che si liberava di un passato cupo che, però, non se ne voleva andare.

Vita da poeta

Ho conosciuto Claudio molti anni fa, sotto un palco, e ci univa la medesima triplice identità: musicista, scrittore e insegnante di liceo. Così, quando se n'è andato, a 68 anni, è stato naturale pensare di fare racconto della sua vita. E ho pensato che raccontare la vita di un poeta che ha a sua volta fatto canto dei mondi che ha attraversato significava non solo restituire la sua verità biografica, ma anche quella poetica. Così ho affidato la sua vita a un coro di voci, dai suoi musicisti ai personaggi delle sue canzoni, dai suoi familiari alle immagini fotografiche. Un coro è come un puzzle: e mettere insieme i pezzi della sua vita è stato per me rimettere insieme i pezzi della storia di questo paese dagli anni Sessanta a oggi.

Storia di una generazione

Nella storia di Claudio c'è la storia di una generazione. Se diciamo che aveva 18 anni nel 1968, si comincia a capire di cosa stiamo parlando.

Claudio Lolli era nato a Bologna nel 1950 in una famiglia piccolo borghese benestante, e il conflitto con la famiglia è un elemento tipicamente generazionale. È la generazione del conflitto edipico, con l'autorità genitoriale all'interno dell'istituzione familiare, e fuori dalla famiglia con le istituzioni sociali. Il giovane Lolli sperimenta su di sé le asprezze di un'educazione tradizionalistica, rigida, repressiva, e così, nel 1968, a diciotto anni ci vuole poco a riconoscere nelle istanze del movimento della contestazione globale le proprie istanze: la lotta contro l'autoritarismo della scuola, della famiglia, della politica. E in quel fuoco scrive una delle sue canzoni più note, dedicata a quella «vecchia piccola borghesia» che è sì una classe sociale che ha imparato a comprendere, da quando legge Marx e l'amato Gramsci, ma soprattutto è il suo vissuto, l'esperienza che ha provato sulla sua pelle da quando è venuto al mondo.

Poi conosce Guccini – che dopo la sua morte riconoscerà pubblicamente il suo valore di poeta, dicendo pure: «Era più bravo di me» – e Guccini lo invita a suonare nella sua osteria, l'Osteria delle Dame. Di lì a un contratto con la Emi non c'è che un passo, e viene Aspettando Godot, il primo album. Nelle sue prime canzoni canta di persone sghembe, inadeguate al mondo come tanti giovani Holden, che si riconoscono a distanza. A tutti gli sghembi e inadeguati del mondo Claudio offre una possibilità di salvezza. Siamo vinti dalla vita, siamo quelli che ci dimentichiamo delle pene davanti a una bottiglia; ma questa nostra melanconia, se la mettiamo insieme, può fare la Rivoluzione.

Zingari

Intanto la vita intorno scorre, a piazza Maggiore, dove ci si ritrova, ci si conosce, ci si confonde, chi con uno sguardo lanciato, chi con racconti di viaggi, chi con discussioni politiche, chi con una chitarra, chi con uno spinello, chi con un bacio. Lì ci sono i funerali per le vittime dell'Italicus, una delle tante stragi di stato nell'Italia della strategia della tensione, quella stagione iniziata col volo di Pinelli dal quarto piano della questura. Lì ci si ama, e passano le Anne di Francia a incarnare la voglia d'amore, e di sperimentare nuove relazioni personali, nuove forme di vita, nuovi rapporti sociali. Lì si fa festa il primo maggio per il Vietnam libero, proprio nel giorno in cui muore il padre. Lì stanno gli zingari felici, a «corrersi dietro, far l'amore e rotolarsi per terra, a ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra».

Piazza Maggiore è il luogo fisico e mentale della felicità degli zingari, di tutti gli uomini del margine che prendono la parola, si prendono il canto, si prendono la scena. Riprendiamoci la vita, la luna la terra e l'abbondanza, canterà Claudio, rubando le parole a Peter Weiss. Era un'ansia inesauribile di vita, che legava i desideri collettivi di quella gioventù: anni di rame, come dirà Erri De Luca, contro la retorica degli anni di piombo, anni di rame perché anni di connessione, comunicazione e scambio. Claudio si sente parte di questa nuova sinistra: pur senza aderire a nessun gruppo in particolare, si sente totalmente dentro quello che in quegli anni si chiama “il movimento”. E perciò verrà considerato il cantautore più rappresentativo del “movimento”, che a Bologna troverà la sua espressione più creativa e significativa nel 1977.

Nuovi mondi

Poi, dal 1978, si apre una stagione nuova. La stagione degli extranei, come intitolerà un disco. Ex: perché è bastato poco per sentirsi già dei reduci. Ma anche estraneità rispetto al mondo che sta cambiando, tutto intorno si sente il cosiddetto riflusso, che poi diventerà l'Italia da bere degli anni Ottanta. E allora, con questo senso di estraneità addosso, Claudio scrive canzoni visionarie, racconti di mondi che si aprono dentro tante persone. Perché quando si chiudono dei mondi, se ne aprono altri.

Lui canta le sue visioni senza voler cercare, mai, il successo commerciale (del resto, già nel 1977 dopo il successo di vendite degli Zingari felici aveva fatto un disco ostico, difficilissimo, proprio il contrario di quel che si dovrebbe fare se l'obiettivo fosse il mercato). E intanto comincia a scrivere libri di racconti, e vince un concorso per insegnante di italiano e latino nei licei. Lo farà per vent'anni. E sarà per lui un'esperienza importantissima: «Mi ha cambiato», dirà sempre. E saranno tanti i ragazzi cambiati da lui, nel suo insegnamento, in cui abbinava una grande preparazione a una grande empatia, certo che fosse la letteratura che insegnava a essere al servizio della vita e non il contrario, e che questo eccedesse di gran lunga un semplice, misero voto in pagella.

Poi produce altri dischi, a cadenza irregolare, dischi che restano ormai in una nicchia un po' per addetti ai lavori, per quanto vi siano canzoni, che erano insieme poesie, straordinarie. Diversamente da quel che taluni pensano, non c'è un primo Lolli più politico e un secondo più intimista: la sua poetica è sempre la stessa, quella di un uomo che cattura col suo sguardo pezzi dei mondi che attraversa e li trasfigura. E se qualcosa cambia, non è lo sguardo di Lolli, ma i mondi intorno a lui. Che lui cattura, e restituisce in canto.

Canzoni – una per tutte – come Curva sud, che racconta un mondo freddo, in cui di là dell'Adriatico si vedono gli orrori della guerra civile jugoslava, e quel fanatismo delle piccole patrie e del razzismo che prende piede. O canzoni d'amore, la forza più rivoluzionaria, che poi radunerà in Lovesongs. Intanto, il mondo diventa sempre più freddo, ed estraneo. Il grande freddo sarà il titolo del suo ultimo album, che riceve il premio Tenco come miglior disco dell'anno nel 2017, l'anno prima della sua scomparsa. I funerali vengono fatti nella sala comunale in piazza Maggiore, la sua «piazza bella piazza».

I poeti continuano a vivere nelle loro parole, che verranno raccolte da altri. Penso a una poesia di Gianni D'Elia, con cui Claudio ha a lungo collaborato: in quella poesia D'Elia ha raccolto le sue parole per trasmetterle alle nuove generazioni in lotta per un pianeta in cui vivere. Perché, come diceva Mahler, la tradizione non è ceneri da conservare, ma un fuoco da tramandare. Ed è facile sperare che i giovani che riempiono le piazze contro l'autoestinzione degli umani siano i nuovi zingari felici. Perché Claudio Lolli cantava la vita, e la felicità.


Marco Rovelli è autore del libro Siamo noi a far ricca la terra. Il romanzo di Claudio Lolli e dei suoi mondi, edito da Minimum fax

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