Non faccio propositi per l’anno nuovo da quando inaugurai il 2020 scrivendo a tutti che sarebbe stato «l’anno della svolta», invocando non so quale fortuna e ritrovandomi costretta a rivedere le mie doti divinatorie giusto un paio di mesi dopo, mentre prendevamo confidenza con il concetto di pandemia. L’unica persona che si era sbagliata più di me era Paolo Fox, che sulla tv nazionale aveva pronosticato un ottimo anno per viaggiare.

Peraltro lo sanno tutti che il capodanno degli adulti è a settembre e le feste di Natale sono una parentesi ipercalorica che i più saggi (o i più ricchi) hanno capito che è meglio trascorrere lontani da tutto, lontani da tutti, in qualche meta assolata che ci faccia dimenticare almeno per qualche giorno la mestizia dell’inverno e del proprio patrimonio genetico, che noialtri meno avveduti invece rivanghiamo ogni volta durante pranzi e cene saturi di noia, tensioni, alcolismo e malattie mentali.

Abbiamo bruciato la tredicesima in regali, lo zio che ha appena divorziato anche quest’anno ha dovuto dire la sua sul matrimonio tra coppie omosessuali, i carboidrati annebbiano il nostro giudizio: non è il momento di stilare liste di obiettivi per i dodici mesi a venire. La lucidità di tutti è profondamente alterata dalle contingenze, l’unica cosa da fare è lasciare che il momento passi, possibilmente in una nebbia alcolica mantenuta stabile dal consumo costante di spumante e Mon Chéri.

Stato interessante

Purtroppo quest’anno non posso seguire il mio stesso consiglio, trovandomi al settimo mese di gravidanza e di conseguenza limitata nel consumo di una serie di cose molto buone, prima tra tutte l’alcol. «Almeno una birra» mi propone mia nonna, che come tutte le donne sopra i cinquant’anni non si capacita delle indicazioni mediche contemporanee su questo fronte. «Io bevevo e guarda com’è venuto bene tuo padre» aggiunge mentre mio padre, che è un brav’uomo ma con ogni evidenza non ha premi Nobel all’attivo, stappa un’altra bottiglia con sguardo affranto.

Tutto comunque ruota intorno alla mia pancia durante queste feste, che viene accarezzata, commentata, documentata, confrontata coi gonfiori altrui alla seconda fetta di panettone. È proprio il caso di dire che sono in stato interessante, l’interesse per questa protuberanza è inequivocabilmente alto: la creatura non ha ancora nemmeno un codice fiscale e riceve già molte più attenzioni di chiunque altro in famiglia. Io in compenso ho già smesso di essere considerata una persona e sotto l’albero ho trovato un ricco assortimento di articoli per il nascituro.

A mio nome c’era un solitario pacchettino contenente un olio per il perineo, la cui integrità comunque è inestricabilmente vincolata alla circonferenza cranica del piccolo essere umano che si paleserà presto nelle nostre vite via vagina.

Auto-regali

Ecco quindi il mio unico proposito per il 2025: elasticizzare il perineo, certo, ma soprattutto rimanere me stessa. Per il momento sento di aver fatto la mossa giusta facendomi molti auto-regali per questo Natale.

Col senno di poi avrei dovuto sfruttare l’amica delle svendite moda anche più di così, mi meritavo anche una borsa. La mia proverbiale oculatezza nelle spese è uscita momentaneamente dalla finestra e mentre scelgo lettini, fasciatoi e oggetti vari dai nomi imbarazzanti (ogni volta che leggo “sacco-nanna” mi vien voglia di abortire), mi regalo stivali in cavallino, occhiali da sole da diva, piccola pelletteria di pregio.

Caracollo sui tacchi finché riesco ancora a indossare le mie scarpe di sempre, prenoto massaggi e weekend fuori porta. Lo spirito non è quello del braccio della morte, assomiglia di più a un delirio di onnipotenza: sarò madre e sarò figa, non mi taglierò il caschetto e mi vestirò bene, pagherò l’asilo privato e le borsette.

Divergo da mia madre sotto molti punti di vista, ma abbraccio il suo approccio alla maternità, strutturato (si fa per dire) intorno a un inserimento neanche troppo graduale della sottoscritta nella sua vita di sempre (e non viceversa). Al ristorante dormivo su due sedie unite, alle feste in una pila di cappotti. Quando voleva giocare a biliardo mi portava con sé in una nube di fumo passivo e con una stecca che terminava con un piccolo rastrellino che serviva da guida all’altra stecca, con cui avrei imparato a colpire le palle, mi lasciava sbocciare a inizio partita. Ovviamente non si capacita della mia rinuncia all’alcol, «io ho sempre bevuto» mi dice mentre io vedo svanire il Nobel dal mio futuro.

Temo comunque che fare propositi quest’anno abbia meno senso che mai. L’unica certezza che ho, alla fine di questo quarto di secolo, è che per me sta per cambiare tutto e che per quante borsette io possa comprare da marzo non sarò mai più la stessa persona che ho conosciuto finora.

Ci penso senza paura, con il misto di trepidazione e felicità con cui un tempo scartavo le Barbie sotto l’albero di Natale, invece di risme di pagliaccetti di cotone. È la prima volta che so esattamente cosa succederà di qui a tre mesi, eppure allo stesso tempo sono completamente ignara di tutto. Che sia il 2025, dopotutto, l’anno della svolta?

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