Se si sfoglia il vocabolario Treccani (di cui quasi ognuno di noi possiede una copia completa a casa, autore compreso), troverete alla voce “naturale” la seguente spiegazione: “Della natura, che riguarda la natura o si riferisce alla natura, nel suo sign. più ampio e comprensivo […]”. Quindi, quando parliamo di luce naturale, ci riferiamo a tutto quello spettro di possibilità che la natura ci dedica ogni qual volta ci avventuriamo nel mondo esterno. Per un fotografo, imparare a leggere e maneggiare la luce naturale è alla base di ogni formazione professionale: si inizia scattando a luce naturale e solo in un secondo momento si passa a studiare e sfruttare la luce artificiale di flash o proiettori.

Dietro a Beppe

Foto Andrea Di Lorenzo

Personalmente al termine luce naturale prediligo quello di “luce ambiente”. Perché, vi chiederete? Seguitemi sul Piccolo Moncenisio, al confine tra Italia e Francia, per avere una risposta. Due anni fa, ho seguito in alpeggio la famiglia Giovale: Giuseppe (detto Beppe), che a Roma vanta uno dei migliori negozi di formaggi della città, ci teneva a mostrare ad alcune persone il loro stile e metodo di lavoro, oltre che il luogo dove i suoi animali pascolano e i suoi formaggi sono prodotti.

Una location unica nel bel mezzo delle montagne, sferzata da venti improvvisi e dove nuvole dense di pioggia possono cambiare il panorama in tempi brevissimi.

Lavorare in queste situazioni è spesso una grande sfida, perché per quanto si possa controllare online il meteo, organizzarsi nei giorni in cui il sole brilla alto e la pioggia sembri lontana, si finisce spesso per adattarsi alla natura e sfidarla nel rovesciare il karma, producendo delle buone foto da situazioni che di buono sembrano avere poco.

Ma ritorniamo al concetto di “luce ambiente”: se è vero che la luce naturale è quella che potremmo trovare all’aperto, in un giorno di luglio tra i monti della Alte Val Cenischia, a due passi dalla Val Susa, è anche vero che la stessa luce naturale si ritrova anche dentro le stalle, o sotto un porticato, o in un bosco.

La luce arriva

Foto Andrea Di Lorenzo

Filtrata, schermata, bloccata, diffusa, riflessa: la luce naturale si arrampica sui muri ed entra negli ambienti, illuminandoli e modificandone la percezione e l’immagine immediata. Ecco, quindi, che ogni “ambiente” ha una sua luce naturale, modificata da tutti quei fattori che si frappongono tra il sole e il soggetto (nel nostro caso le vacche o Alain che produce la “giallina”, formaggio di punta dei Giovale, a pasta cotta da latte intero e crudo) ed ecco perché preferisco questa definizione specifica a quella più generica.

Perché come ci ricorda la Treccani, l’ambiente è quello “spazio che circonda una cosa o una persona e in cui questa si muove o vive […]”. E ad ogni ambiente corrisponde una luce, sempre naturale, ma modificata e da leggere in maniera diversa.

Lavorare in situazioni aperte, dove il compito del fotografo è di raccontare la realtà che incontra e trasformare il vissuto in immagini che veicolino una storia e una forza visiva, è un esercizio che si evolve nel tempo: saper cogliere l’attimo e saperlo legare al momento di luce. Un’idea che ci ricorda quel famoso attimo decisivo di Cartier Bresson, per il quale occhio-mente-cuore si allineavano per catturare l’essenza della scena che si inquadra.

L’alpeggio

Ma ritorniamo a Beppe e Alain. Ritorniamo sotto al Piccolo Moncenisio e alle mani immerse nel siero caldo. Al sole che gira e che ad ogni momento della giornata ci regala una scena nuova. Come si fa a decidere quale sia la luce migliore per scattare la loro storia? Ma soprattutto, esiste davvero una luce migliore?

La risposta è ovviamente sì, esiste una luce migliore: ad esempio per gli scatti di paesaggio si cerca di prediligere sempre i momenti iniziali o finali della giornata, perché una luce più bassa e di taglio sui soggetti aumenta la bellezza e l’impatto della scena (che siano montagne o mucche).

E se per caso ci trovassimo a dover scattare un soggetto nel bel mezzo della giornata? Con un sole così forte da ricordarci che, si, forse la crisi climatica non è poi così una bazzecola come qualcuno vuole farci credere? In quel caso si gira il soggetto spalle al sole e si tiene il viso in ombra, e magari lo si avvicina ad un muro chiaro, così da permettere al sole di riflettervi e schiarire l’immagine.

O ancora, rientrando in stalla alla fine della giornata, con il sole ormai dietro le montagne e una luce morbida ma anche molto tenue che entra dalla porta della struttura: tre mucche sono disposte in fila, il muso nascosto nell’ombra, un allevatore seduto fra di loro sta per iniziare la mungitura.

Un gesto giornaliero e ripetitivo, immerso in una quasi penombra. Già so’ dove posizionarmi, perché era l’immagine che aspettavo dalla mattina, da quando entrando nella stalla avevo pensato che quello fosse uno dei momenti da scattare. Alzo gli Iso quel tanto che basta. Scatto. Beppe da fuori ci chiama: è il momento di assaggiare la giallina di alpeggio estivo e brindare a un’altra giornata passata.

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