Avvocata Woo è una serie coreana ed è bellissima. Lo è per tante ragioni. Per i protagonisti, per la scrittura, per quella grazia rara che accarezza ogni scena, anche quando si affrontano temi crudi, che ci vuole un attimo a svilire e banalizzare.

Lo so. Avvocata Woo è autistica ed è un avvocato geniale, qui per qualcuno c’è l’inciampo insuperabile. L’autismo non è questo, basta col cliché del disabile eroe, speciale, superdotato. L’autismo non è Avvocata Woo, non è Rain Man. Che è sicuramente vero. Qualcuno se ne è lamentato, legittimamente, ma ho letto anche entusiasmo proprio tra chi vive l’autismo tutti i giorni, da specialisti a familiari a persone nello spettro autistico.

La società coreana

Al di là delle polemiche, io ho visto in questa serie (che ho finito con dolore tre giorni fa, piangendo) così tanta profondità nel trattare i temi più disparati, dalle diseguaglianze sociali ai suicidi giovanili all’abilismo, l’omofobia, la condizione delle donne e perfino il razzismo (ad un certo punto appare un medico legale che parla come Matteo Salvini), che a un certo punto ti fermi a pensare al nostro paese e a Don Matteo e hai voglia di lanciarti dal balcone.

Perché Avvocata Woo non è solo Woo. È molto altro. È la società coreana, con la sua forza e le sue contraddizioni, raccontata con potenza e poesia. C’è poesia nel bagolaro che racconta la storia di un paese che potrebbe sparire per fare posto a una grande strada, nel protagonista con gli occhi che luccicano della puntata sui bambini coreani a cui viene rubato il tempo del gioco, nell’amica adorabilmente rumorosa di Woo, nel papà che le prepara il gimbap tutte le mattine, nei passi di danza in una porta girevole, nel modo in cui Woo descrive la sua collega avvocata (che bella la cosa del sole di primavera), nel suo cercare le parole per descrivere sentimenti che non riesce a decifrare.

Senza fronzoli

Park Eun-bin interpreta l'avvocata Woo Young-woo (Fonte: Netflix Italia)

E no, non è buffa Woo. Non fa tenerezza. La si ama perché si illumina quando parla di balene e si incupisce quando comprende di non poter amare nel modo che sembra a tutti più semplice, perché la sua genialità non la mette al riparo dai pregiudizi, dalle difficoltà, dalle mani che si torcono, dalla consapevolezza della diversità. Perché lei toglie i fronzoli alla verità, è così asciutta da ferire un uomo o da incalzare un imputato, allo stesso modo. Forza e debolezza.

Non so se Woo romanticizza l’autismo. Di romantico c’è senz’altro Jun-Ho, il collega bellissimo e gentile da far innamorare tutto l’ufficio e le abbonate Netflix. Si, c’è un po’ di melassa e di intreccio familiare da k-Drama, ci sono le musichette mielose che partono a tradimento, ma nulla che sottragga bellezza a questa serie. Di sicuro Avvocata Woo non romanticizza la società coreana, capace di portare al cinema e nelle serie tv i suoi limiti con un’onestà che la rende unica nel panorama mondiale.

Avvocata Woo è una meraviglia. Anzi, è oro. O-r-o. Che se si legge al contrario è sempre uguale. Ma questo finale può capirlo solo chi oggi, quando vede una balena, si commuove un po’ perché pensa al volto di Woo che si illumina quando trova la soluzione a uno dei suoi casi, mentre un grosso cetaceo vola sui tetti di Seoul.

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