«E quindi il pubblico folto e osannante l’avrebbe guardata, avrebbe guardato lei, la splendida bambola meccanica del presidente, o piuttosto la bambola gonfiabile per lo spasso sessuale del presidente, l’avrebbero guardata e avrebbero immaginato quello che in realtà non potevano vedere, e immaginandolo l’avrebbero visto: l’ombra della fica, l’ombra di una ferita, l’ombra di un nulla tra le cosce burrose di quella voluttuosa femmina, come se già in sé quell’ombra fosse l’eucaristia, irta di mistero»:  pagina 748 della mia vecchia edizione Garzanti di Blonde, del 2000.

È uno stralcio della cronaca immaginaria e appassionata di Joyce Carol Oates, la ricostruzione del famoso “Happy Birthday Mister President”. Smaschera, la scrittrice, il cinismo brutale di quella festa. Marilyn è un trofeo da sbandierare. Biografia dell’anima, quella di Oates: i fatti nudi, l’ufficialità, penetrano nel racconto con circospezione. È una lettura ipnotica, se non ti lasci intimidire dallo spessore di un volumetto che sfiora le 800 pagine.

Sono trentasei anni di vita visti in soggettiva da Norma Jeane Baker, l’Attrice Bionda. Oates la chiama di rado Marilyn Monroe, è il nome dell’immagine pubblica, appartiene allo sfruttamento e all’abuso. Per i deuteragonisti, i mariti, usa definizioni generiche: l’Ex-Atleta, il Drammaturgo. Il Billy Wilder di A qualcuno piace caldo è W. Tony Curtis. che «sarebbe stato nemico della Monroe tutta la vita e dopo la morte quante sordide storie avrebbe raccontato su di lei», è C. Non servono i sottotitoli.

Fumettone barocco

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Blonde. Ana de Armas as Marilyn Monroe. Cr. Netflix © 2022

Nel fumettone che Andrew Dominik ha tratto dal libro – e che sarà su Netflix dal 28 settembre- il baccanale presidenziale non c’è. C’è invece una sovrabbondanza di feti parlanti che basterebbe ad alimentare un’intera campagna antiabortista. Vero è che la scrittrice mette i due aborti – uno volontario, il secondo subito, entrambi indelebili – in cima alla lista dei tormenti privati di Norma Jeane. E a onor del vero Oates ha ufficialmente dato semaforo verde al film, che con i suoi 165 minuti è un bignami del romanzo, parlando di una lettura «assolutamente femminista»: «Non credo che un altro regista maschio abbia mai realizzato nulla di simile».

È un fumettone barocco, sovraccarico, ma chi potrà permettersi il lusso di ignorarlo? Lo voleva Cannes, ma la barriera dell’uscita solo su piattaforma, demonizzata dal festival francese, ha bloccato il business. A Venezia è in concorso: tolleranza lungimirante che premia. Perché fa notizia, e comunque non è un biopic all’acqua di rose.

È il primo film Netflix Original marchiato dal divieto di visione ai minori di 17 anni. E ha tante tappe, tante stazioni, la vita breve del più totemico dei sex symbol, crocevia di magnetismo e fragilità, icona assoluta del XX secolo e oggetto di fantasie macabre e postume. Hugh Hefner sborsò 75mila dollari per il privilegio di farsi seppellire vicino a Marilyn.

Traumi 

2022 © Netflix

Le grandi battaglie non si combattono sui palcoscenici, scriveva un signore che non usava le parole a sproposito, Jean Giono. Le battaglie che Oates attribuisce a Norma Jeane sono contro un fardello di traumi e dèmoni paralizzante, contro l’aggressione di «maschi d’uomo smaniosi ed eccitati che guardano». «Mi guardano ma non mi vedono», diceva lei.

È il 1954, alle due di notte si sta girando la scena più celebre di Quando la moglie è in vacanza (The Seven Year Itch ) e lei è, in tutte maiuscole per la scrittrice, La Ragazza sulla Grata della Metropolitana, «venere bionda, insonnia bionda, bionde gambe depilate di fresco divaricate». L’Ex-Atleta, il marito Joe Di Maggio ( Bobby Cannavale, nel film) la punirà per l’esibizione a forza di pugni: «Sono mani grosse, mani da atleta, mani esperte, mani col dorso ricoperto di esili peli neri».  

Chiamata a incarnare il Mito dopo blockbuster di lusso come No Time to Die e il recente The Gray Man con Ryan Gosling, la cubana Ana De Armas non ha né la luce né la carnalità del modello, ma l’illusione – certi sorrisi , certe espressioni smarrite – a tratti è inquietante. Brad Pitt, tra i produttori, grida al miracolo. Madre schizofrenica, orfanatrofio, Clark Gable contrabbandato in effigie come padre segreto e agognato: è già un miracolo, per un’orfana con madre viva, approdare ai fasti di Hollywood dopo tanta via crucis, passando per gli stupri autorizzati dei produttori.

Molto si tace e molto si dice. Non capisco l’alone di moralismo con cui il regista descrive il ménage à trois con due figli d’arte, Cass Chaplin ed Eddy G. Robinson, “ragazzacci” di liberi costumi figli di celebrità con nomi illustri «che gli pesavano addosso come menomazioni fisiche», scrive Oates. Con loro, in barba alla promiscuità, secondo la scrittrice, MM ha vissuto in realtà gli anni più teneri e meno inquietanti.

Sono “gemelli”: come lei, figli indesiderati. Dal romanzo, cito Eddy G. Robinson: «Cass ed io abbiamo una doppia maledizione: siamo figli e per giunta ci chiamiamo come loro, come quegli uomini che non volevano che noi nascessimo». E Cass Chaplin: «Tuo padre tu non l’hai mai conosciuto, quindi sei libera. Ti puoi inventare». È solo dal 1956 che per l’anagrafe, ufficialmente, Norma Jeane Baker diventa Marilyn Monroe.

Geniale Marilyn

Blonde. Ana de Armas as Marilyn Monroe. Cr. Netflix © 2022

Poi arrivano le cascate di Niagara. La Rose Loomis del film è sotto contratto per mille dollari la settimana, e quella miseria, firmata quando era in bolletta, «le era sembrata un patrimonio». Seducente e perfida, Rose, ma hot: «era impossibile levarle gli occhi di dosso». «Per tutta la carriera, avrebbe fatto guadagnare milioni allo Studio e sì o no un decimo a Norma, i pezzi grossi dello Studio avrebbero fatto finta di non capire». «La gente era convinta che Marilyn Monroe si limitasse a interpretare sé stessa. Qualunque film facesse, e per quanto quel film fosse diverso dagli altri, la gente trovava sempre un modo per sminuirla. “Quella non sa recitare. Sta solo interpretando sé stessa”. E invece era un’attrice nata. Era un genio, sempre che uno creda nel genio». I dialoghi del film sono interamente farina di Oates.

Per Gli uomini preferiscono le bionde prende 500 dollari la settimana, contro i 100mila di Jane Russell, anche se la “bionda” è lei, è lei la regina del botteghino. È singolare che le madri delle massime icone pop americane di sempre, Elvis e Marilyn (Mickey Mouse fa caso a parte) si chiamassero entrambe Gladys. Meglio coprirsi gli occhi quando Ana De Armas “rifà” il numero di Diamonds Are a Girl’s Best Friends, perché è il meno riuscito del film, mentre le riproduzioni in fiction delle centinaia di foto consegnate alla Storia è davvero encomiabile.

Polvere di stelle

Blonde. L to R: Adrien Brody as The Playwright & Ana de Armas as Marilyn Monroe. Cr. Netflix © 2022

 Dopo l’eroe italo-americano del baseball Marilyn sposa A. Miller (Adrien Brody nel film), e corona il suo sogno intellettuale: sentirsi un’attrice vera, con la tecnica giusta, che può aspirare a interpretare in teatro la Natasha delle Tre Sorelle di Cechov senza che si rida delle utopie di un’oca svampita. La «puttana svergognata» – secondo l’italo-americano Joe Di Maggio – che esibiva le bianche mutande da educanda sulle grate della metropolitana sembra alle spalle.

Ma il secondo aborto, naturale questa volta, non come il primo, sofferto ma esiziale per la carriera, di paternità incerta, avvelena il set di A Qualcuno Piace Caldo. Norma Jean è più consapevole, battute del copione come quel «sembra fatta di gelatina» le suonano insulti.

Lo sarebbero per questa stagione del #MeToo. Quando compare nei panni di Sugar Kane Kovalchich e canta I wanna be loved by you/ nobody else but you il remake è da brividi. Dominik ha ‘insertato’ Ana De Armas tra i veri attori del film, e la Marilyn finta è una replica impressionante.

All’appello mancano Come Sposare un Milionario, Il Principe e la Ballerina, Gli Spostati. C’è l’umiliante sveltina con «l’attraente leader del mondo libero», JFK. E il film non sposa l’omicidio di stato, operato dall’Fbi e accreditato da Oates nel suo libro. È polvere di stelle di Marilyn. Chissà se le chiamano star perché la loro luce ci arriva quando sono già estinte.

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