Nel suo meraviglioso epistolario Giacomo Leopardi dà e riceve una gran quantità di baci. Bacia le mani della madre, i fratelli, i bambini, gli amici (maschi). I baci si moltiplicano per il bell’Antonio Ranieri, l’amico con il quale condivise gli ultimi sette anni di vita: «Ranieri mio. Ti sospiro sempre come il Messia. S’io possa abbandonarti, tu lo sai bene. Ti mando mille baci».

Oltre i binarismi

Un pamphlet di Franco Buffoni (Silvia è un anagramma, 2020, ora ripreso nell’imminente Vite negate, 2021) affermava che Leopardi fu, in vita, omosessuale e innamorato di Ranieri. Buffoni si spingeva a suggerire che l’Aspasia dell’omonima poesia non è altri che lui, e che l’amore per Fanny Targioni Tozzetti è una pietosa bugia ripresa pigramente da biografi e critici moderni.

Molti hanno obiettato che all’epoca la frequentazione fra maschi poteva comprendere dichiarazioni d’amore, baci, abbracci, lacrime, ma non per forza attività sessuale (verrebbe da chiedersi: se baci e abbracci hanno fatto parte della pratica quotidiana fra maschi eterosessuali nell’Ottocento, epoca di rigidi rapporti fra i generi, perché mai dovrebbero essere tabù oggi?). Il bel film Il giovane favoloso di Mario Martone (2014), rimane ambiguo su questo punto, mostrando il poeta ora preso dalla seducente Fanny, ora occhieggiante il corpo nudo di Ranieri, ora turbato da un gigolò ermafrodito.

È un peccato però appiattire la questione della sessualità di Leopardi – così come di chiunque altro – su uno schema binario: affermare che Leopardi fu omosessuale e innamorato di Ranieri è altrettanto semplicistico che dire che fu eterosessuale e innamorato di Fanny, o di Teresa Fattorini (Silvia). Leopardi omo o eterosessuale: do we care? Quello che Leopardi ha scritto consente di trascendere i limiti del binarismo di genere e di ripensare le categorie di amore e di corpo. Non mi sembra poco.

Questione 1: vita e letteratura

A diciannove anni Leopardi scriveva in Memorie del primo amore di essersi innamorato di una cugina ventiseienne «alta e membruta quanto nessuna donna ch’io m’abbia veduta mai». Sembrava attratto da una bellezza che turba, sfuggente, non canonica. La chiamava “grazia”, ma non è per forza una caratteristica femminile. Inoltre, voleva tantissimo innamorarsi, perché aveva letto nei libri che era una cosa travolgente, vivificante, da brivido.

Le Memorie documentano le sue emozioni con un’ansia analitica che ha a che fare tanto con la conoscenza che con il sentimento («ciarle che ho fatte con me stesso per isfogo del cuor mio e perché mi servissero a conoscere me medesimo e le passioni»). Il che non significa che sappiamo esattamente cosa abbia provato, ma possiamo immaginare questo giovanile amore eterosessuale come un’esperienza fortemente voluta e mediata, modellata sui libri e sulla tradizione; tant’è vero che da quel saggio nasce poi una lirica, Il primo amore (1817).

Il punto è se chiediamo alla letteratura, e in specie alla poesia – genere ad altissimo tasso di artificiosità –, di essere letteratura o testimonianza; e quindi se Aspasia in qualche modo testimonia dell’amore di Giacomo per Fanny o per Antonio o altr*. Ha davvero importanza chi sia/se ci sia stat* un* Aspasia nella vita reale? Potrebbe anche non essere nessuno, come la mitologica «donna che non si trova» di Alla sua donna.

Questione 2: il corpo

Leopardi fu, in vita, ciò che oggi descriveremmo come una persona disabile. Soffriva terribilmente, vedeva male, era costretto a letto per settimane. Saperlo non è biografismo spicciolo: la sua esperienza del mondo fu mediata, forgiata dalla sofferenza corporea. È probabile che il suo corpo fosse percepito come deforme, goffo, ridicolo, respingente.

Cosa sappiamo di cosa “sentiva” (senso e sentimento) un corpo siffatto in una società che lo stigmatizzava? È vero che Leopardi ci mise in guardia dall’«attribuire alle mie situazioni materiali ciò che è dovuto solo al mio intelletto» (a De Sinner, traduzione mia). Ma diceva questo duecento anni prima dei disability studies, in un’epoca in cui le uniche dinamiche emozionali attivate dal suo corpo erano la compassione o il disprezzo.

Oggi abbiamo gli strumenti per parlare dell’esperienza corporale di Leopardi senza l’uno né l’altro, includendo esperti e pubblico nella scelta delle parole giuste e aumentando la rappresentazione della disabilità nel canone letterario. La questione è cruciale per ripensare la presenza di autori classici, invariabilmente maschi, bianchi, neurotipici, “normalmente” abili ed eterosessuali, nei sillabi dei corsi di italiano a ogni livello. La rappresentazione filmica di Martone e la magistrale interpretazione di Elio Germano sono qui di grandissimo aiuto: il corpo di Leopardi è giustamente centrale in Il giovane favoloso, giustamente estremo, efficacemente rappresentato fino all’estremo del ridicolo.

Questione 3: i generi

Leopardi non ha solo scritto l’Ultimo canto di Saffo, ma è Saffo (una Saffo eterosessuale, innamorata di Faone: qui però non interessa la sessualità, ma il genere). Leopardi ha caricato la “brutta” Saffo, la sorella Paolina mollata sull’altare, la mortalità di Teresa/Silvia di un valore simbolico che vale per tutti, uomini, donne, animali e vegetali. Saffo, Paolina, Silvia, sono sì oggetto di poesia perché sono donne, ma nella loro fragilità siamo inclusi tutti, poeta compreso.

Non tutti sanno che a ventun anni Leopardi scrisse una lirica, poi rifiutata, Nella morte di una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano ed arte di un chirurgo, ossia su una donna ammazzata nel tentativo di abortire clandestinamente, perché profondamente commosso da un caso di cronaca simile. Uno studio di Novella Bellucci, Il gener frale (2010), dimostra che Leopardi “femminilizza” il genere umano: nel femminile riconosce tutta la fragilità delle “creature umane”. Si potrà per questo dire che Leopardi si sentiva donna? Forse no, ma che la sua letteratura pone la condizione femminile come più rappresentativa di quella maschile della connaturata fragilità dei viventi, sì: in Saffo, in Paolina, in Teresa, tutti ci possiamo riconoscere in quanto esseri caduchi, precari, finiti.

Alla luce di tutto questo i baci offerti a Ranieri e i palpiti documentati nelle lettere non devono sembrarci poca cosa; ma possono forse rientrare in un discorso più ampio e più difficile sui corpi – diversamente abili –, la relazionalità, l’affettività maschile. Al fratello Carlo Giacomo Leopardi chiedeva «Amami, per Dio. Ho bisogno d’amore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita: il mondo non mi par fatto per me», esprimendo un disagio che è di molti, se non di tutti. Più inclusivo di così.

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