Adolf Loos nacque a Brno, in Moravia, nel 1870 quando l’Impero asburgico era all’apice della sua gloria e aveva raggiunto la massima estensione della sua millenaria storia, morì nel 1933 quando ormai Vienna era la capitale di una minuscola nazione sconfitta e ridotta a un ruolo marginale nello scacchiere internazionale su cui incomberà l’ombra di Adolf Hitler.

Un anno, quello della sua morte, drammatico, perché le camice brune si avviavano a stendere le mani su Vienna, già rossa per essere stata una delle piazzeforti della socialdemocrazia europea. L’opera di Loos è dunque una sorta di spartiacque, una cerniera forse è meglio dire, tra un mondo ormai finito e uno assai più tragico: ma gli anni della Finis Austriae sono vissuti da questo vero pioniere della modernità con una spregiudicatezza e un talento che sorprendono ancora oggi.

Uno spazio nuovo

Mentre trionfava la secessione con Otto Wagner e la schiera dei suoi allievi di grande talento (Hoffmann e Olbrich), Loos si ritagliò un suo spazio severo, totalmente controcorrente, capace di dare un segno del tutto nuovo. Tant’è che uno come Le Corbusier, non proprio generoso con i suoi colleghi, ebbe per lui sempre parole di grande ammirazione, quasi da allievo spirituale.

Nel 1989-90 vidi la spettacolosa mostra, scandita in tre sedi a Vienna, mostra irripetibile: ma chi vide la mostra ospitata nella Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, a cura di Richard Bösel e Vitale Zanchettin (catalogo Electa) non ebbe motivo di dolersene: perché Bösel, specialista di barocco e Borromini, seppe mettere assieme un materiale eccellente di disegni originali, di modelli alcuni dei quali importantissimi e di documenti essenziali. La serietà di una mostra di architettura la si vede dall’articolazione complessiva con la quale questi diversi ingredienti sono mescolati e selezionati.

Oggi a centocinquanta anni dalla nascita Vienna lo celebra ancora al Museo di arti applicate (acronimo Mak): il titolo della mostra Adolf Loos. Case private. Ma la sua opera va vista per intero, sia pure online, dagli esordi fino alla fine: con esaltanti monumenti come l’edificio commerciale di Michaelerplatz (1909-11) – ci sono oltre ai disegni, intelligenti modelli – fino al tragico plumbeo complesso monumentale sui Gaertenbaugründel (1917). In lui c’è sempre questo pencolare tra una cifra secca e severa e la caduta nel pompierismo proto-staliniano e proto-nazista.

Case private

Nei momenti più felici, e io non esito a mettere tra questi i negozi magnifici, ci sono le private houses, ville memorabili per committenti borghesi focus della mostra. Il negozio Steiner e l’American bar sono una prova di eleganza e di modernità, ma allo stesso tempo di raffinatezza dalla quale si deduce che l’ “ornamento” di Loos non è meno sofisticato di quello della secessione: solo che lui non balla al ritmo dei valzer viennesi, ma avendo negli orecchi la musica di Anton Webern.

La dissonanza della sua architettura sta nel contrasto netto tra interni ricchissimi (legni, ottoni, marmi, cuoio, cristallo) ed esterni nudi, assolutamente nudi. Si veda Villa Steiner (1910) con quella insolita copertura tondeggiante sul fronte della strada e scarnificata fino alla volumetria elementare sul fronte verso il giardino: poi si entra in essa e il gioco assume altro significato visivo e formale. Lo stesso può dirsi di Villa Horner (1912, qui la copertura è a botte) e Villa Ruff (1922). Villa Müller a Praga (1928-30) è già una villa in linea con la modernità più spinta del tempo: lo credo bene che Le Corbusier ne rimanesse ammirato e scrisse che Loos aveva «spazzato immondizia sotto i tappeti»!

Nel 1893 era andato in America, per vedere l’Esposizione universale di Chicago: rimane stordito e affascinato dalla città dove erano nati i grattacieli. Ma allo stesso tempo Loos è capace di gesti del tutto eterodossi, quando partecipa al concorso per il Chicago Tribune – in mostra c’è un moderno modello – prende una collana dorica e la fa divenire un grattacielo! Gesto tra Duchamp e la pop-art degli anni cinquanta e sessanta del Novecento. Qui la sua genialità d’artista a tutto campo.

ONB Bildarchiv Austria

Allo stesso tempo i suoi studi tipologici sono esemplari per metodicità e analiticità: bellissimi alcuni disegni originali e modelli di studio che ci mostrano complessi residenziali a basso costo che sono l’antecedente storico dell’Existenzminimum, così come poi studiato dalla scuola di Francoforte. Al Kärtner Bar, quando sono a Vienna, a me piace andare a bere una birra, così come non posso fare a meno di passare per Michaelerplatz, dove – secondo una vignetta celebre dell’epoca – c’è un Fischer von Erlach (il più grande architetto barocco viennese) che lo guarda stupito, quasi esterrefatto.

Un fulmine a ciel sereno

Come è noto Adolf Loos fu un raffinato scrittore – il suo Ornamento e delitto (Adelphi) è un classico delle modernità – un graffiante polemista, della tempra del suo amico Karl Kraus, e non rinunciò a mai a dir la sua: architetto-letterato come vuole una grande tradizione che comincia da Leon Battista Alberti e giunge appunto a Le Corbusier.

Una sorta di fulmine a ciel sereno, colpisce l’architetto: rovistando nella sua vita privata Christopher Long, Adolf Loos on Trial (2018), scrive che nel 1928 subì un processo a porte chiuse per pedofilia su tre ragazze di cui si avvaleva come modelle: i documenti secretati del Tribunale di Vienna sono venuti alla luce e Loos se la cavò piuttosto male, ma non c’erano prove e fu condannato per condotte che inducevano all’indecenza. Mi chiedo se i disegni e dipinti di Egon Schile e di tanti altri artisti non solo viennesi di quel tempo sarebbero rimasti illesi da questa accusa.

Certo l’uomo Adolf  Loos con la sua figura di intransigente fustigatore di costumi ne esce intaccata: ma come Louis-Ferdinand Céline feroce antisemita resta un grande scrittore del Novecento, Adolf Loos resta un grande protagonista dell’architettura della modernità.    

© Riproduzione riservata