Cari colleghi,

siete spesso derisi e considerati fotografi di categoria inferiore. Trovo questo totalmente ingiusto. Tra di voi ci saranno alcuni bravi e altri meno, esattamente come succede per tutti i mestieri. Ma documentare le vicende umane per consegnarle alla storia di famiglia ha pur sempre una sua valenza sociale. Soprattutto se si tratta dei momenti importanti della vita. Vita e morte sono i temi fondamentali di tutto: dall’arte alla cultura, dalla pace alla guerra, dalla speranza alla delusione, dall’amore al sesso, dal dolore alla felicità.

In vita, l’unica cosa certa (oltre la mamma) è la morte, e forse questa certezza è il motivo per cui della morte non se ne parla mai. Ma vita e morte vanno d’amore e d’accordo e sono compagni di viaggio e di ventura inseparabili. Nessuno dei due esiste senza l’altro, anche in fotografia: dobbiamo prenderli in considerazione insieme se vogliamo diventare grandi fotografi.

La morte, però, non può essere fotografata se non nella sua espressione di spegnimento della vita, di oggetto inanimato. Non è un caso che le composizioni di oggetti statici, detti still-life, in italiano siano indicati come natura morta.

Tuttavia la morte permette il miracolo della foto eterna: basta andare al cimitero e osservare le lapidi per trovare centinaia di esempi che dimostrano l’importanza della fotografia nel passaggio all’aldilà. In Messico, esporre la fotografia del defunto è l’unico modo per permettergli di gironzolare sulla terra durante il Día de los muertos.

Scegliere la foto eterna, l’immagine che resterà nel futuro è sempre una grande responsabilità. Come fotografi dovremmo farci un autoritratto davvero rappresentativo di noi, pronto all’occorrenza…

Immortalare l’unione

Ma oltre alla foto che tramanderà il nostro ricordo sulla lapide, c’è un’altra categoria considerata eterna: la fotografia del matrimonio. A dire il vero, il fatidico «finché morte non vi separi» è ormai un po’ in disuso. Valeva di più prima della legge sul divorzio e prima che il numero delle unioni, civili o religiose, precipitasse vertiginosamente a favore di convivenze meno impegnative dal punto di vista legale ma forse più solide e vere dal punto di vista dell’amore.

In ogni caso, quando il matrimonio c’è, la fotografia che lo immortala ha quasi più valore del certificato firmato da sposi e testimoni. Io ho avuto tre donne, e due di loro le ho sposate. Se il primo matrimonio è stato «riparatore», il secondo è stato invece per scelta, e in modo molto serio: senza nessuna chiesa.

È successo durante un servizio fotografico per Vogue, quando si presentò come modella la mia allora fidanzata Kirsti. Indossava un vestito di Yves Saint Laurent haute couture – stavo lavorando a un redazionale sui matrimoni – e la trovai così fantastica che dissi al mio assistente: «Prendi la macchina e fammi una foto di fianco a lei!». Mi aggiustai la camicia di jeans, e venne fuori un’immagine meravigliosa.

Per ridere, la stampammo in numerose copie e la spedimmo a tutti i parenti e gli amici. Era tanto potente e bella quanto inequivocabile, diceva: «Ci siamo sposati!». Mia mamma si commosse e arrivarono mille felicitazioni e complimenti… Erano tutti contenti, anche se un po’ delusi di non aver partecipato alla cerimonia.

Malgrado non fossi ancora legalmente separato dalla mia prima moglie, nessuno mise mai in dubbio l’autenticità dell’unione fino a quando, cinque anni dopo, decidemmo di sposarci davvero. Anche stavolta, nessuna cerimonia particolare: ci trovammo in comune, vestiti in abiti poco da sposi, e stavolta venne fuori una foto molto casual.

Tanto che nessuno prese mai seriamente questo matrimonio e nell’album dei ricordi rimase la prima foto… Morale: non c’è mai bisogno di niente, a parte il fotografo.

Le promesse 

Nel 2016, a Parigi, ho allestito un set dove mettevo a disposizione un guardaroba composto dai migliori abiti dalle ultime collezioni: un Yves Saint Laurent vintage, capi di haute couture, vestiti di Superman, Topolino, Calamity Jane, Pinocchio, Marilyn. E poi hair stylist, make-up artist professionali et voilà, il matrimonio è celebrato!

ANSA

«Carissime e carissimi, siete qui convenuti nella Casa della Fotografia, innanzi al Ministro dell’Immagine, e davanti alla comunità globale, perché la vostra decisione di unirvi in matrimonio riceva il sigillo della Luce, sorgente dell’amore, come è davanti a Toscani, fedele e inesauribile.

Ora Oliviero Toscani vi rende partecipi dello stesso amore con cui egli ha amato la sua professione, fino a dare se stesso per lei. Vi chiedo pertanto di esprimere davanti alla macchina fotografica le vostre intenzioni. Siete venuti a immortalare il matrimonio senza alcuna costrizione, in piena libertà e consapevoli del significato della vostra decisione? Siete disposti, seguendo la via dell’Immagine, ad amarvi e ad ammirarvi l’un l’altro per tutta la vita? Siete disposti ad accogliere con amore i ritratti che Toscani vorrà donarvi e a conservarli secondo le regole sacre della Fotografia?

Se è vostra intenzione di unirvi in Fotografia, datevi la mano destra ed esprimete davanti al fotografo e al suo obiettivo il vostro consenso: “Io accolgo te come mio legittimo compagno di posa, e con la grazia dell’immagine prometto di starti accanto sempre, nella gioia e nel dolore, nel denaro e nell’amore, in amicizia e in allegria, in salute e in tecnologia, e di guardarti e ammirarti per tutti i giorni della vita (e anche dopo)”.

La Macchina Fotografica onnipotente e misericordiosa confermi il consenso che avete manifestato davanti allo Studio e vi ricolmi della sua benedizione. L’uomo non osi dividere ciò che la fotografia unisce. Signore e signori, benedite questi sorrisi che vi donate scambievolmente in segno di amore e civiltà, e se qualcuno si vuole aggiungere si metta in posa adesso, o sparisca per sempre».

Click.

«Io vi immortalo marito e moglie, per l’eternità!». 

Un eccentrico album di nozze

Se invece volete sapere qual è stato il servizio di matrimonio più fantastico che ho fatto, dovete chiedere a Giovanni Comparoni, pastore che alleva capre vicino alla mia azienda agricola in Toscana.

Erano gli anni Settanta, e per suo figlio Giacomo era giunto il momento di pronunciare il fatidico sì. Venne da me e mi disse: «Oliviero, ho chiesto al fotografo di Cecina, ma quanto è caro! Non è che potresti fare tu le foto al matrimonio?».

L’ingenuità e la semplicità di quest’uomo mi ha commosso, e ho subito accettato, dichiarandomi però offeso perché si era rivolto prima al fotografo di Cecina. In quel periodo era ospite a casa mia Terry Jones, direttore artistico di Vogue UK. Venne anche lui al matrimonio, e mi fece da assistente e coordinatore. Ne è uscito l’album di nozze più eccentrico mai visto. Talmente bello che i due sposi sono ancora assieme dopo quarant’anni!


Caro Avedon. La fotografia in 25 lettere ai grandi maestri (Solferino 2020, pp. 192, euro 17) è un libro di Oliviero Toscani

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