Tommaso Labranca vedeva in lei l’incarnazione di un’idea popolare romantica che era già nostalgica negli anni Novanta. Oggi è un idolo naturale dei social, ma a lungo è stata la nemica dei gusti piccolo borghesi
- «La Berti è la Berti è la Berti», celiava Tommaso, per il quale gli oggetti di studio erano sempre anche oggetti di piacere, mai colpevole. Avrebbe storto il naso in queste serate sanremesi per lo stylist della sua prediletta in comune con Achille Lauro?
- Labranca, aggiornando all’era televisiva i sacri testi di Susan Sontag, Eco, Dorfles, Dwight McDonald (masscult, midcult) ci avrebbe convinti di lì a poco che il trash era l’«emulazione fallita di un modello alto». Formula di un’efficacia disarmante. Little Tony e Elvis Presley. Orietta Berti e, almeno in quell’occasione, Sting.
- I dischi della fase ruggente di Orietta Berti (1967-1977) uscirono tutti per la Polydor/Phonogram che era un’etichetta tedesca grande specialista in schlager, la canzone da birreria. Avevano in catalogo James Last, il baffuto direttore d’orchestra da milioni di copie vendute e con lui Orietta incide il Tema di Lara, Zivago, ubriaca di whisky per imbroccare le note alte secondo l’aneddotica consolidata.
Orietta Berti fu riscoperta attorno al 1997. Più di vent’anni fa, quando in tv Fabio Fazio cominciò a chiamarla “Oriettona” e Tommaso Labranca (che aveva fatto parte del primo gruppo di autori di Anima Mia) se ne innamorò perdutamente al punto da scriverne la biografia durante lunghe session telefoniche. «La Berti è la Berti è la Berti», celiava Tommaso, per il quale gli oggetti di studio erano sempre anche oggetti di piacere, mai colpevole. Avrebbe storto il naso in queste serate sanremesi per



