Quando il Covid li ha costretti alla chiusura, nell’inverno del 2020, i musei d’arte hanno subìto una nuova crisi economica del tutto inaspettata. Le radici dei veri problemi erano però già presenti, perché sono insiti nel modo in cui queste istituzioni funzionano.

A giudicare solo dal punto di vista di un critico d’arte, si potrebbe pensare che i musei d’arte fossero in piena espansione, almeno fino all’arrivo del Covid. Ho visto molte mostre ambiziose, un numero sempre crescente di visitatori e nuove architetture molto audaci. I problemi sembravano essere quelli di un settore in crescita: sovraffollamento e finanziamento. Ma, riflettendo, mi sono reso conto che c’erano problemi strutturali più profondi, che sono stati accentuati ­– ma non creati – dal virus.

Da elitari a populisti

La prima contraddizione risiede nel fatto che originariamente i musei erano istituzioni intrinsecamente elitarie, piene di magnifici oggetti creati da e per uomini bianchi altamente privilegiati. E conservano ancora molte caratteristiche di queste origini.

I musei più antichi hanno sede in palazzi, mentre gli edifici più nuovi sono disegnati dai più rinomati architetti. La maggior parte delle opere antiche provenienti dalla Cina, dall’Europa, dal mondo islamico e dal Giappone sono state realizzate per le élite, mentre le opere d’arte contemporanea più conosciute sono spesso ex proprietà o donazioni di privilegiati.

Per contro, i musei pubblici di oggi aspirano a essere istituzioni populiste: mirano ad accogliere e ad accontentare tutti, e hanno bisogno di quanti più visitatori possibile. Così cercano di eliminare ogni barriera di classe, genere o razza.

L’opinione pubblica

La seconda contraddizione sta nel fatto che i musei d’arte sono istituzioni pubbliche. Nel vecchio sistema si sceglievano le opere in collezione in maniera verticistica. Non era necessario tenere in considerazione l’opinione pubblica. Ma poi i musei modernisti hanno aperto a tutti le sontuose collezioni d’arte. Per questo si chiamano musei d’arte pubblici.

D’altra parte, oggi i musei sono amministrati da board autonominatisi il cui ruolo è quello di fornire vigilanza finanziaria e di raccogliere fondi. E poiché l’arte contemporanea e gli edifici dei musei comportano costi molto elevati, questi trustee devono essere ricchi. I musei pubblici d’arte, quindi, sono ancora gestiti, come in passato, con criteri verticistici.

Musei multiculturali

La terza contraddizione deriva dal fatto che in una società multiculturale contemporanea ci si aspetta che la composizione dei vari organi eletti e societari corrisponda al mix razziale – e al mix definito in termini di altre identità – della popolazione. Ci aspettiamo, cioè, una proporzione ragionevole di sindaci, membri del Congresso e senatori, amministratori delegati, e così via, siano neri, donne, trans e gay.

Di conseguenza desideriamo che i musei siano gestiti da amministratori che soddisfino queste condizioni e che l’arte esposta rifletta la composizione della comunità. Per altro verso, gli amministratori e la leadership dei maggiori musei e i curatori sono prevalentemente bianchi, mentre un numero sproporzionato di guardie è nero e la maggior parte delle collezioni sono composte da opere d’arte realizzate da maschi bianchi.

In cerca di compromessi

Queste contraddizioni segnano la distanza tra la realtà dei musei statunitensi e i nostri ideali morali, su cui gli attivisti richiamano l’attenzione per modificare la realtà attuale. Ma i più pragmatici osservano che gli amministratori devono occuparsi del mondo così com’è e che, quindi, forse è necessario modificare i nostri ideali.

C’è un contrasto morale: il mondo non è come pensiamo che dovrebbe essere. Nella pratica, ovviamente, dobbiamo considerare fino a che punto i cambiamenti auspicati siano fattibili. Molte persone desiderano, ad esempio, che l’ingresso al museo sia gratuito. È improbabile che le persone che prendono il salario minimo portino le loro famiglie a visitare la maggior parte dei musei, ma si pone legittimamente la questione se l’ingresso gratuito sia economicamente sostenibile. Se non lo è, allora è necessario trovare un compromesso. Spesso, ad esempio, l’ingresso al museo è gratuito per una sera a settimana.

Le contraddizioni

Quando questa corrispondenza tra istituzioni e ideali viene meno, allora ci sono due modi per ridurre il divario. Possiamo modificare le nostre istituzioni, o possiamo cambiare i nostri ideali. Se le nostre istituzioni non riescono a soddisfare i nostri ideali, allora forse le istituzioni necessitano di modifiche.

Talvolta, tuttavia, ci rendiamo conto che i nostri ideali sono irrealizzabili e quindi devono essere modificati. Se i conflitti sono irrisolvibili, allora potrebbe essere impossibile trasformare il museo d’arte pubblico in un’istituzione giusta. Ma dire questo non significa necessariamente voler drammatizzare: capita abitualmente di dover riconoscere che i nostri ideali potrebbero non essere attuabili.

Il filosofo di Princeton Alexander Nehamas in un’intervista ha fatto un parallelo storico che merita di essere preso in considerazione: per cosa ammiriamo i greci? Per Platone, Eschilo, Omero. Naturalmente li ammiriamo anche per aver creato quella che chiamiamo “democrazia”.

Ma nella democrazia ateniese c’erano 30mila cittadini, migliaia di non cittadini (comprese tutte le donne) e innumerevoli schiavi. La vita media di uno schiavo nelle miniere d’argento ateniesi era inferiore a un anno. Si entrava nella miniera e non ci si alzava più; si viveva il resto della vita accovacciati e ben presto si moriva. Non ammiriamo i Greci per la loro moralità. Ammiriamo i Greci soprattutto per la loro arte.

L’arte ha un prezzo

Senza il lavoro degli schiavi, Atene non avrebbe potuto funzionare. Forse, allora, il prezzo dell’arte e della filosofia greca era troppo alto. Una volta che le persone riconoscono che le istituzioni sociali si basano sulle disuguaglianze, a scapito di alcuni e a beneficio di altri, allora probabilmente le guarderanno in modo più critico.

I musei pubblici americani dipendono ampiamente dai finanziamenti privati. E, così, spesso sorgono polemiche quando alcune fonti di finanziamento vengono pubblicamente identificate come moralmente dubbie. Le proteste contano perché i musei d’arte sono spazi pubblici vulnerabili, luoghi in cui si possono organizzare proteste efficaci.

I manifestanti non possono entrare facilmente nella lobby di Goldman Sachs, ma possono entrare (e lo hanno fatto) nei musei d’arte pubblici di Manhattan per distribuire volantini con l’obiettivo di ricordare ai visitatori che l’arte ha un prezzo.

Sopravvivere alle disuguaglianze

Naturalmente sono molto grato per il modo in cui i musei e alcuni istituti di ricerca collegati ai musei mi hanno personalmente supportato. Ammiro molto e mi piacciono i musei, quindi desidero fortemente che abbiano successo. Ma il fatto che le istituzioni mi abbiano trattato bene non significa che siano giuste.

Quando si traggono grandi vantaggi da un’istituzione sociale, è facile non vederne i costi sociali. Ma una seria riflessione critica richiede che le persone che studiano i costi della nostra cultura visiva considerino questi problemi. Ecco perché l’affermazione di Walter Benjamin secondo cui non c’è documento di civiltà che non sia allo stesso tempo un documento di barbarie ha avuto una tale risonanza. Dice quello che sa ogni lettore di storia. E non si deve accettare la sua visione politica del mondo per trovare importanti le implicazioni di questa affermazione.

C’è un incredibile interesse pubblico per Versailles e le altre residenze dei privilegiati del vecchio regime. Film per la TV famosi come The Crown mostrano il fascino per la vita quotidiana delle persone altolocate. Lo stesso vale per la popolarità dei romanzi di Marcel Proust. E naturalmente anche l’interesse per l’arte antica a volte sfrutta questo risvolto.

Se sei cresciuto nella classe media, avere accesso tramite l’arte e la lettura al mondo dei grandi personaggi può essere affascinante. I musei valgono questo prezzo? Rispondere adeguatamente a questa legittima domanda non è facile. A molte persone non importa granché dell’arte visiva. Se avessero più informazioni potrebbero apprezzarla di più. D’altra parte, forse se le persone che oggi l’apprezzano riflettessero sul suo costo sociale, la amerebbero di meno.

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