Le lettera dell’Ufficio scolastico regionale del Lazio che invita gli organi collegiali a trattare «esclusivamente tematiche relative al buon funzionamento dell’istituzione scolastica». Il centenario di Don Milani è trascorso invano
Ricomincia l’anno scolastico e mentre Valditara sfoggia slogan per supportare la propaganda governativa, gli uffici ministeriali stringono le maglie della democrazia scolastica. Nella corsa a diventare più realisti del re, il direttore dell’Ufficio scolastico regionale del Lazio, vista «la rilevanza degli eventi geopolitici», invita gli organi collegiali a limitarsi a trattare «esclusivamente tematiche relative al buon funzionamento dell’istituzione scolastica».
Molte istituzioni scolastiche in tutta Italia hanno preso alla lettera l’indicazione dell’Usr laziale tanto da non riuscire a immaginare altra tematica, in grado di garantire il buon funzionamento della scuola italiana, che non sia la guerra in corso. Del resto, anche se cambiano i governi rimane inalterata la missione primaria della scuola italiana che, nel rispetto delle Indicazioni nazionali, deve «diffondere la consapevolezza dei grandi problemi dell’attuale condizione umana».
Insegnare la pace
Scegliere di discutere in classe del genocidio in corso a Gaza è un modo concreto e qualificante per tutelare le ragioni educative della scuola. Il fondamento della pedagogia ha come obiettivo strategico quello di formare cittadini consapevoli, donne e uomini in grado di analizzare le contraddizioni della società, di disegnare percorsi di adattamento e immaginare pratiche sovversive. Rimane, infatti, attuale la lezione di due moderatissimi studiosi americani, Postman e Weingartner, che quasi sessanta anni fa, sostenevano che l’insegnamento deve essere necessariamente una pratica sovversiva.
Del resto a cosa serve una scuola che si adagia sul senso comune di massa? Nel tempo della guerra, della normalizzazione del genocidio, dell’individualismo, della competizione estrema, del profitto sfrenato, dell’accumulazione finanziaria, della distruzione dell’ecosistema, dell’egoismo nazionalista, diventa urgente chiedersi quale ruolo debba svolgere la scuola. Immaginare un altro mondo è necessario e così diventa sovversivo insegnare la pace e la giustizia sociale, sviluppare la cooperazione tra le persone e tra i popoli, praticare la solidarietà, tutelare il pianeta, immaginare una cittadinanza planetaria.
La scuola di oggi è una scelta sovversiva semplicemente se riattualizza il senso della “Lettera ad una professoressa” o rilegge le esperienze pastorali di Don Lorenzo Milani che, dopo l’indigestione nell’anno del centenario, è tornato nell’oblio ad arredare gli scaffali polverosi delle biblioteche.
A cosa serve una scuola indifferente davanti alle immagini drammatiche della nuova carestia a Gaza, della distruzione sistematica di un popolo? A cosa serve una scuola muta davanti all’urlo disperato dei bambini e delle bambine che, nell’indifferenza della comunità internazionale, hanno solo la possibilità di scegliere se morire sotto i raid militari dell’esercito israeliano oppure cedere alla malnutrizione e agli stenti?
Scuola e società
Le discipline scolastiche non hanno alcun senso se non approfondiscono le cause e gli effetti del massacro dei palestinesi, la distruzione delle abitazioni, la fame usata come arma, i raid sugli ospedali, l’uccisione di giornalisti, l’esportazione degli armamenti, lo sfollamento di milioni di persone.
La scuola è utile solo se insegna a non commettere gli stessi errori del passato, a non replicare i drammi della Storia, a non calpestare le conquiste di civiltà. La scuola vive se è in grado di seminare le idee.
La scuola dismette qualsiasi funzione, invece, se elimina dal suo orizzonte la quotidianità e il futuro. Il dibattito pedagogico degli ultimi cento anni è stato caratterizzato dalla necessità di costruire una relazione sistematica tra la scuola e la società. Gli educatori non possono abituarsi alla quotidiana barbarie né assuefarsi all’indifferenza. Significherebbe condannare alla marginalità eterna la più importante istituzione culturale del Paese. Abbiamo l’obbligo di reagire, di educare alla pace, di costruire percorsi di convivenza e di democrazia. “Prendere la parola” è un obbligo educativo e morale della scuola.
Sarebbe un tradimento alla nostra funzione di educatori guardare dall’altra parte mentre migliaia di persone stanno morendo sotto i bombardamenti di missili e droni-killer.
*dirigente scolastico
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