«Questa sera volgeremo lo sguardo verso il nostro universo per cercare di capire alcune cose che si svolgono lassù, in mezzo a quei grandi spazi. In questi ultimi tempi abbiamo avuto dei reporter d’eccezione che hanno viaggiato a lungo nel sistema solare e che sono andati a vedere, per noi, da vicino, i pianeti. Sono le sonde spaziali che hanno percorso decine di milioni di chilometri osservando e fotografando tutto ciò che incontravano sul loro itinerario. È così che abbiamo potuto vedere, per esempio, stupende immagini di Giove, di Saturno e scoprire una quantità di cose sul loro conto (…). Ma in questi ultimi anni si è parlato molto poco dell’oggetto più importante del nostro sistema solare: il Sole».

Cominciava così, il 18 marzo 1981 su Rai1, la prima puntata di Quark, il programma simbolo della lunga cavalcata di Piero Angela dentro i sentieri, talvolta scivolosi, della missione educativa del servizio pubblico televisivo.

Testamento umano

A riascoltarle oggi, quelle parole sembrano rappresentare in pieno il testamento umano, culturale e professionale del più longevo dei divulgatori televisivi, così invischiato con le logiche del mezzo da rendere semplice e accessibile anche il più complesso dei concetti, il più inestricabile dei misteri della scienza e della vita. Famigliare: questo è forse l’aggettivo che meglio descrive l’epopea televisiva di Angela, il senso del suo rapporto con il pubblico del piccolo schermo.

Rassicurante, autorevole, affabile, con quell’aria confidenziale di chi non voleva ostentare il sapere, né fartelo pesare, ma renderti parte di un viaggio che potesse essere allo stesso tempo ordinario ed eccezionale. Piero Angela veniva dall’informazione pura; e forse lì aveva imparato il gusto per la domanda, il piacere della scoperta, il senso dell’essenziale.

Dal giornalismo aveva tratto la sintesi, che è sempre necessaria quanto instabile, tra documentazione e semplicità, tra rigore e capacità di diffusione. Cominciò a lavorare per la Rai quando ancora la televisione non era stata inventata.

Nel 1952 diventò collaboratore radiofonico sperimentando anche il racconto dello sport; è rimbalzata sui social, in questi giorni di lutto, un’immagine con un Angela giovanissimo che intervista Fausto Coppi al termine di una gara sul pratone del motovelodromo di Torino.

Seduti per terra uno di fronte all’altro, un sorriso accennato, l’improvvisazione che non cede al protagonismo.

Assunto con il celebre concorso dei “corsari” del 1954, quello indetto da Filiberto Guala, venne trasferito al Telegiornale. Negli anni della direzione di Fabiano Fabiani è corrispondente da Parigi e da Bruxelles, inviato di guerra in Israele e in Vietnam, prima di rientrare in Italia per trovarsi sempre sulla cresta dell’onda delle novità dell’informazione televisiva; primo conduttore dell’edizione meridiana delle 13.30 (nel 1968) e nel 1976 primo conduttore del telegiornale del secondo canale.

È nel vivere lo schermo da protagonista che Angela trova la sua dimensione, nell’inchiesta documentaristica il suo linguaggio d’elezione, portando in tv temi nuovi, oscuri per certi versi, sempre con la scienza come unica bussola, la verità empirica come strumento da contrapporre alle teorie prive di consistenza.

Con Indagine sulla parapsicologia (1978) fronteggiò coraggiosamente visioni sul paranormale che stavano prendendo piede nell’opinione pubblica dimostrandone l’infondatezza scientifica, smascherando sedicenti illusionisti.

Il metodo

Il metodo di Angela era rigoroso e ambizioso; per il programma arrivò a intervistare personalità del calibro di Isaac Asimov e Paul Kurtz, reinventando un genere e mettendo in guardia da future derive. In Nel cosmo alla ricerca della vita (1980) si gettava in una delle sue più grandi sfide, l’esplorazione dell’universo riuscendo a renderlo materia da televisione generalista.

Quark fu la naturale evoluzione e la meritata consacrazione: nove stagioni dal 1981 al 1989, e poi una miriade di spin-off e programmi derivati (Il mondo di Quark, Quark in pillole, Superquark) dove poteva cambiare il titolo formale, l’etichetta per la programmazione, ma non la sostanza che rimaneva sempre la stessa: elevare la scienza a linguaggio popolare. In quel periodo, tra gli anni Ottanta e Novanta, Piero Angela divenne una vera star del servizio pubblico, al pari o forse più dei conduttori dei telegiornali e dei varietà; nelle indagini sul gradimento dei volti che la Rai commissionava, il suo nome risultava sempre in cima alle preferenze dei telespettatori, una garanzia di ascolti, ma anche di identità complessiva, di awareness si direbbe oggi nelle stanze del marketing.

Ed al concetto stesso di servizio pubblico, al suo senso profondo in un sistema (televisivo e politico) che andava modificandosi, Piero Angela ha sempre mostrato di tenere particolarmente: in un Promemoria sulla televisione di qualità, redatto nel 2002, il conduttore si espresse negativamente sulla possibilità di un ridimensionamento dei canali della Rai, sostenendo che «tre reti posseggono una soglia critica e una capacità di sinergie che due reti non hanno».

Inoltre, notava come molti programmi culturali venissero destinati alla Terza Rete per non «danneggiare i bilanci aziendali» e gli ascolti degli altri due. Parole che potevano sembrare dure e spietate, ma che in realtà rivelavano niente di più che un atto d’amore verso il servizio pubblico, la sua missione, il suo senso ancora intatto, per quanto claudicante, nella televisione contemporanea.

I tentativi della politica

Sulla scia del successo, s’inventò Ulisse – il piacere della scoperta, dove la conoscenza si allargava dalla scienza ad altre discipline come la storia e l’arte, lanciando il figlio Alberto e capitalizzando un brand ormai inesauribile. Nel 2021, fece in tempo a sperimentare anche lo streaming, realizzando per RaiPlay E il mare come sta?, un colloquio sullo stato di salute degli oceani con esperti del settore e col ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani; unica, rara, concessione a una politica che in più di un’occasione ha provato ad accaparrarselo arrivando anche a proporlo come senatore a vita, eventualità alla quale si sottrasse garbatamente.

Nel suo definirsi divulgatore, si è intestato il compito di traduttore, di colui che porta la conoscenza a un livello di maggiore leggibilità, rispettando il testo originale (la scienza) ma adattandolo al linguaggio e al pubblico. Se, riprendendo Claudio Magris, «tradurre è trovare la nota giusta», lui l’ha trovata catturandoci sin da quelle prime parole del 1981 all’esordio del programma che ha cambiato per sempre lui e la televisione italiana. E noi con loro.

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