Nel contesto di questo libro, vale la pena di investigare le ragioni puramente economiche che hanno condotto il governo russo alla scelta di scatenare un conflitto aperto contro l’Ucraina, dal momento che tali motivazioni non sono affatto secondarie o ancillari.

Nel 1990, alla fine della Guerra fredda, il Pil pro capite in Russia – aggiornato ai valori attuali secondo i dati della Banca Mondiale – era di 8.028 dollari. A seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica, diminuì fino al 1998, per poi risalire e tornare ai livelli del 1990 soltanto nel 2002. Da quel momento, la crescita del Pil pro capite russo si è in larga parte allineata a quella media dei Paesi Ocse, salvo due eccezioni: la più recente è relativa alla pandemia, l’altra è relativa al difficile rapporto con l’Ucraina.

Tra il 2013 e il 2015 il Pil pro capite russo è calato di circa l’8 per cento, mentre quello dei Paesi Ocse continuava a crescere. La concomitanza tra il crollo dei prezzi del petrolio – risorsa cruciale per le esportazioni e le entrate fiscali russe – e l’avvio del «distacco» dell’Ucraina dalla sfera d’influenza anche economica della Russia (culminato nelle prime sanzioni internazionali in risposta all’annessione della regione ucraina di Crimea del 2014), ha avuto un forte impatto sulla stabilità macroeconomica del Paese, causando un deprezzamento del rublo e una contrazione della capacità di importazione.

Molto prima dell’invasione russa del febbraio 2022, il conflitto in Ucraina aveva già preso forma nel 2014, anno che segnò una vera e propria cesura sia sul piano politico che su quello economico. A innescare la crisi fu il mancato accordo di associazione tra Kiev e l’Unione Europea, che l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich rinviò a sorpresa nel novembre 2013, scegliendo di privilegiare relazioni economiche più strette con Mosca. Le proteste popolari di piazza Maidan (passate alla storia come Euromaidan) portarono, nel febbraio 2014, alla fuga di Yanukovich e alla formazione di un nuovo governo favorevole a un’integrazione più marcata con l’Europa.

Sul piano economico, questa svolta non fu indolore. L’Ucraina, storicamente legata alla Russia da interscambi commerciali e da una forte dipendenza energetica, si trovò in una posizione estremamente vulnerabile. Il nuovo governo di Kiev mirava a ridurre tale dipendenza, puntando su accordi commerciali con l’UE e ricercando nuove rotte per l’approvvigionamento di gas e petrolio. Mosca reagì con durezza, imponendo restrizioni commerciali sull’import di prodotti ucraini e prospettando rincari per le forniture di gas naturale. La tensione raggiunse l’apice con l’annessione russa della Crimea (marzo 2014).

Il piano di riarmo europeo: criticità e potenzialità

Il piano di riarmo europeo nasce come risposta all’esigenza sempre più urgente per l’Unione di acquisire una maggiore autonomia militare e strategica. L'invasione russa dell’Ucraina ha accelerato questa consapevolezza, mettendo in luce quanto il continente dipenda, ancora oggi, dalla protezione degli Stati Uniti.

Al centro del dibattito c’è il tema delle risorse economiche: pur investendo complessivamente cifre considerevoli nel settore della Difesa, l’Europa appare frammentata, con una spesa militare distribuita tra molti Paesi e spesso caratterizzata da duplicazioni e inefficienze.

Il vero ostacolo per l’Europa non è rappresentato principalmente dalle risorse finanziarie, bensì, dall’eccessiva frammentazione industriale. Il settore europeo della Difesa soffre di inefficienze strutturali dovute a una molteplicità di sistemi produttivi nazionali poco integrati tra loro. Basti pensare che l’Europa dispone di decine di diversi modelli di armamenti principali, come carri armati e aerei da combattimento, contro un numero assai più ridotto negli Stati Uniti, con tutto quello che ne consegue anche in termini di estrema difficoltà, se non impossibilità, di un addestramento militare che possa tenere conto di così tante varianti. Queste diversità rappresentano un limite operativo quindi, ma anche un aggravio economico notevole, poiché impediscono di beneficiare di economie di scala, il che complica enormemente la logistica. A ciò si aggiunge la necessità imprescindibile di investimenti massicci nelle tecnologie militari avanzate. Nel nuovo scenario geopolitico, la superiorità tecnologica non è più soltanto un vantaggio competitivo, ma diventa condizione indispensabile per garantire la sicurezza stessa di una regione.

Infine, il piano di riarmo europeo mette in luce la questione più complessa di tutte: la vera autonomia strategica europea. Se l’obiettivo è quello di rendersi indipendenti dagli Stati Uniti, allora la sfida non è soltanto economica o tecnologica, ma anche profondamente politica. L’Europa è abituata da decenni a contare sul supporto militare e logistico americano, una dipendenza che si è rivelata particolarmente evidente con il conflitto in Ucraina. Superare questa condizione richiede agli Stati membri di costruire una visione strategica comune, ma soprattutto di dotarsi di istituzioni europee capaci di decidere con rapidità ed efficacia nei momenti di crisi.

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