Mia madre lavora nelle mense scolastiche di Rozzano, guadagna 170 euro al mese. Nella periferia della periferia di Milano nessuna emancipazione è possibile se non ci si decide a vedere le disuguaglianze che svuotano il futuro. Davanti alla scuola una madre mi dice: «Scrivi la verità»
- Nei gruppi Facebook i genitori fanno il confronto con i comuni limitrofi. Assago, Buccinasco, Corsico, Opera: «Mense e doposcuola lì riprendono prima, perché? Noi chi siamo?».
- Nessuno vuol sentire parlare di problemi strutturali che precedono la pandemia. Ci si limita a lasciare al sicuro chi già sta al sicuro, abbarbicato sulla solida trave sopra al fosso nero nel quale i più fragili continuano a dibattersi.
- Per tanti la scuola è soprattutto un peso, un dovere imposto dall’esterno, un’invasione di campo. Seguire i figli durante la quarantena è stato impossibile, per mancanza di mezzi, materiali o culturali.
Mia madre me lo confida a bassa voce mentre stiamo passeggiando lungo corso Vittorio Emanuele: «Ora prendo 170 euro di stipendio, sono sei mesi che sto in cassa integrazione». Lavora nelle mense scolastiche di Rozzano e le mense, a Rozzano, il paese dell’hinterland milanese in cui sono cresciuto, 42mila abitanti, quasi tutti stipati nei palazzoni dell’Aler, riprenderanno solo tra fine settembre e inizio ottobre. Per ultime. «Non so come andrà, siamo gli ultimi – mi dice – ci hanno lasciato in c


