L’affascinante serie TV intitolata Black Mirror riesce a coniugare elementi di curiosa aspettativa per le novità introdotte dagli sviluppi delle tecnologie digitali, a una vena di pessimismo per la pericolosa invadenza delle macchine in un futuro molto vicino.

Lo stesso titolo della serie, a pensarci bene, evoca uno schermo nero, uno schermo che diventa quasi uno specchio scuro, suggerendo così una cupa preoccupazione: tutti i device cui dedichiamo la nostra attenzione momento dopo momento, ci tengono lontani da noi stessi.

Siamo costretti a fare i conti con la nostra immagine riflessa, e quindi con la nostra esistenza, solo nel momento in cui il dispositivo si spegne. Hanno ragionato su questi temi anche Alessandra Carnzio e Elisa Farinacci, nel loro recente volume Dentro Black Mirror: Media, società, educazione (Scholé, 2023). Ma nel dibattito pubblico, i timori (a tratti apocalittici) paiono soverchiare la ricerca di una misurata confidenza con le nuove tecnologie.

Non sono poche le iniziative, formali e informali, ispirate al concetto di “disintossicazione” digitale, una pratica di allontanamento/disconnessione, spesso temporanea e non risolutiva rispetto alle criticità connesse alle dipendenze digitali, e definibile come uno strumento improprio nel quadro dell’iperconnettività.

Suggeriscono infatti le due ricercatrici: “non è togliere la logica più efficace, nel lungo periodo, ma accompagnare” (p. 121).

Raggiungere una certa “saggezza” digitale significa apprendere, consentendosi degli errori, a utilizzare i media digitali in modo responsabile e creativo, appropriandosene per “fare” cultura (non necessariamente alta), sviluppando una discreta attitudine alla decifrazione critica di contenuti culturali e sottoculturali.

Da questo punto di vista, sono almeno due i suggerimenti educativi che possono provenire direttamente dagli adolescenti, prima ancora che gli adulti si concentrino esclusivamente sui rischi – che pure esistono – delle piattaforme digitali, con particolare riferimento al sistema dei social network.

In primo luogo, i giovani ci insegnano forse a temere meno di quanto soliti fare la cosiddetta “bolla di filtraggio”. Con questa espressione ci si riferisce di solito a quel sistema che tende a personalizzare i risultati di ricerca, con l’effetto di recintare sempre di più le persone entro i propri gusti, le proprie convinzioni o tendenze, escludendo a priori il loro accesso a punti di vista differenti da quelli dimostrati attraverso i propri comportamenti online.

Giusto mantenere qualche precauzione, ma questo fenomeno non dev’essere considerato un male in sé, non produce necessariamente disgregazione.

Anzi, come le ricerche sui comportamenti giovanili in Rete sembrano accreditare, l’esistenza della “bolla di filtraggio” può condurre alla costituzione di comunità digitali, non prossime nello spazio ma affini intellettualmente, respingendo nel passato la TV generalista o la produzione standardizzata, privilegiando “un’esperienza mediale profonda e che abbia una ricaduta nel vissuto personale” (p. 33).

Altro timore forse eccessivo, è quello della sudditanza delle nuove generazioni ai modelli di perfezione proposti dalla Rete (un timore che si accoda in modo lineare alle stesse paure abbinate, nei decenni passati, al sistema della moda e dello spettacolo televisivo).

La lezione viene da alcune adolescenti, imitate in breve tempo da un’intera generazione: stanche dell’esasperante pressione comparativa alimentata da Instagram, hanno avviato Finstagram: un modo alternativo di usare il social network, che si concretizza nell’apertura di un secondo profilo, più privato, riservato alla propria cerchia di riferimento, dove raccogliere il meglio della propria socialità, lasciando il peggio dell’iperconnettività fuori dalla porta.

Ecco, apprendere ad abitare consapevolmente il mondo digitale è possibile, ma bisogna pazientemente osservare e poi studiare. Apprestiamoci dunque ad imparare dai nostri studenti osservandone alcune abitudini, perché hanno qualcosa da insegnarci, sebbene manchino loro le categorie per trasformare una semplice prassi in “saggezza” digitale.

Per un vero passaggio di consapevolezza, gli adulti – in special modo gli insegnanti – diventano indispensabili.

Si tratta di un rapporto dialettico, come ogni momento della relazione educativa: ascoltiamo loro, e loro ascolteranno noi.

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