Dopo l’intervento della poetessa all’insediamento di Biden, musei e fondazioni hanno ripreso il suo esempio. La diversità diventa una virtù per rappresentare il mondo che ci circonda in maniera più democratica
- La luminosa eloquenza di Amanda Gorman alla cerimonia inaugurale del quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti ha sollevato gli animi come nessuno dei sommi poeti chiamati a questo onore prima di lei.
- La sua partecipazione non è un episodio sporadico nel panorama culturale statunitense. Essa riflette e incarna le tre parole chiave entrate da anni nei piani strategici di musei, fondazioni, e università: diversity, inclusion, equity.
- Se accettiamo che la cultura è uno strumento forte di democrazia, allora è fondamentale capire come chiamare tutti a farne parte, aprendola a voci diverse, alle storie di tutti.
La luminosa eloquenza di Amanda Gorman alla cerimonia inaugurale del quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti lo scorso 20 gennaio ha sollevato gli animi come nessuno dei sommi poeti chiamati a questo onore prima di lei, eppure si trattava di un gruppo eccelso, da Robert Frost a Maya Angelou. Che la poesia sia invitata sul palco nel momento più importante della vita politica di un paese è bella cosa, perché così facendo se ne riconosce tutta la forza. Trascinare le masse recitando versi



