Qualche settimana fa Adelphi ha pubblicato un volume che raccoglie tutti i racconti di Roberto Bolaño, vale a dire quelli postumi rinvenuti in una cartella del suo computer, riuniti sotto il nome collettivo di Il segreto del male, e le tre raccolte già disponibili, Chiamate telefoniche, Puttane assassine e Il gaucho insopportabile.

Tra gli inediti ci sono alcuni dei suoi racconti migliori. Labirinto parte da una foto, che esiste davvero, di otto persone sedute a un tavolo, intellettuali, filosofi, scrittori francesi. Il narratore la osserva, ne descrive i dettagli, e a partire da alcuni indizi nascosti nello scatto anima i personaggi, immagina i legami, gli intrecci e i segreti che vivevano tra loro.

Gli altri racconti, spesso frammentari, non per questo meno belli, aggiungono un nuovo capitolo agli assilli dell’autore: l’amore, l’esilio, la violenza, la memoria, il terrore, i camuffamenti reciproci tra vita e finzione. Ma come si può parlare di questo libro? Come si può dire qualcosa su Bolaño che non sia stata già detta e ripetuta troppe volte? Probabilmente non si può.

Condivido con un mio caro amico, poco più giovane di me, anche lui oltre i trenta e ancora per poco sotto i quaranta, la passione per Bolaño. Ci vantiamo entrambi di aver letto tutto quello che di suo si trova in giro, e cioè i romanzi, i racconti, le poesie, i saggi che ha scritto, ma anche le interviste che ha rilasciato, oltre che gran parte degli articoli che gli altri hanno scritto su di lui, pezzi ai quali abbiamo nel tempo contribuito anche noi con interventi che, sebbene ripetano più o meno le stesse cose che si leggono ovunque, ci hanno però permesso di associare il nostro nome al suo, almeno negli archivi di qualche rivista online.
Abbiamo scoperto Bolaño quando lui era già morto. Noi eravamo giovani scrittori, o ci piaceva pensarci così, eravamo senza dubbio agli esordi, e leggendolo abbiamo provato un'attrazione magnetica, quel tipo di seduzione che di solito si sperimenta molto prima, durante l'adolescenza, per qualche band o qualche cantante di cui si diventa devoti ascoltatori, e che poi magari si finisce per ripudiare, crescendo.

Sono innamoramenti che più raramente si accendono con tanta foga nei confronti di scrittrici, artiste o filosofi, perché queste sono figure che incontriamo più tardi, quando siamo già formati, o almeno più simili all’idea che abbiamo di noi stessi, e meno bisognosi di trovarci o di tradirci.

La rockstar

Noi però abbiamo letto e assorbito Bolaño come se fosse una rockstar, e abbiamo provato a imitare il suo stile nelle pagine che scrivevamo, riuscendoci solitamente piuttosto male, cosa che mi rendo conto di star facendo anche adesso, in questo pezzo, allungando le frasi, insaccandole di incisi. Ma d'altra parte Bolaño è uno di quegli scrittori senza allievi e con molti epigoni, e scrivere di lui, o scrivere avendo in mente la sua scrittura, vuol dire evocarlo, vuol dire tentare di ricalcarlo.

Con il mio amico ci diciamo che abbiamo letto tutto di Bolaño ma probabilmente è una bugia, anzi so di sicuro che è una bugia, perché io, per esempio, non ho mai letto Amuleto, il suo romanzo più poetico, ma anche il più ostico, sebbene sia il più breve, e ho il sospetto, coltivato negli anni, che il mio amico non abbia invece mai letto Stella distante, romanzo laterale magari ma proprio per questo, per me, romanzo bolañesco definitivo, trionfo della sua idea di letteratura come gioco di specchi (è la riscrittura ampliata di una vicenda che appariva nel suo libro precedente, La letteratura nazista in America) e che conserva tutte le ossessioni dell’autore, e quindi le amicizie acerbe di giovani poeti, gli amori strozzati, le misteriose scomparse, le esplosioni di violenza, la prossimità con l’orrore.

Abbiamo iniziato a leggere Bolaño all'università e non ce ne siamo più separati, nel frattempo Bolaño è diventato un mito condiviso, ed è impossibile non chiedersi come lui avrebbe preso questa metamorfosi da scrittore esiliato a classico moderno, visto che si definiva bastian contrario per natura, diceva che l'unanimità e il consenso gli davano il rigetto, un rigurgito istintivo, diceva «probabilmente sono traumi infantili, non è una cosa di cui vado orgoglioso».

L’opera di Bolaño è fatta di ripetizioni, di spettri, di personaggi che ritornano, di storie interconnesse, ogni suo libro può considerarsi l’appendice di un altro, e tutti insieme, i romanzi e i frammenti, e i racconti, persino i saggi, se attentamente ricomposti, offrono una sorta di mappa generale di un luogo unico.

È un oggetto geometrico prodigioso che, come i frattali, riappare nella stessa forma su scale diverse e senza mai snaturarsi, rimane sempre se stesso, che sia una poesia di pochi versi o un romanzo di mille pagine. Ma, appunto, tutto questo è stato detto tante volte. Bolaño è stato studiato, dissezionato, celebrato; è stato venduto, è stato beatificato.

L’impossibilità di disamorarsene

Il mio amico si chiama G, o meglio così lo chiamo io, soltanto con la lettera iniziale, come faceva Bolaño con i protagonisti di molti suoi racconti, per proteggerli o per ridurli a fantasmi o forse solo per semplificarsi la vita. A un certo punto, qualche anno fa, G e io abbiamo deciso che era ora di disintossicarci. La figura di Bolaño era ormai irrimediabilmente appiattita in un santino di scrittore per gli scrittori, oggetto di devozione letteraria di cui avevamo finito per vergognarci. Cosa potevamo dirci, per convincerci del disinnamoramento?

Per esempio che Bolaño è ripetitivo, con la sua ossessione per l’assenza, per l’irrisolto, per il non detto, con personaggi in bilico su un margine, sempre vicini a un precipizio, politico, esistenziale o letterario. Che poi, come alcuni gli rinfacciano, non è stato uno scrittore stilisticamente attrezzato, che si è appoggiato troppo spesso alla seduzione di queste frasi lunghe, ipotattiche, alle digressioni, alle negazioni, alle formulazioni dubitative, a una continua oscillazione tra concretezza prosaica e slancio poetico, un segno distintivo che, a guardar bene, è un modo sciatto, e non elegante ma dispersivo, di scrivere, come se stesse sempre improvvisando, come se si rifiutasse di operare un reale lavoro di cesello, un narratore caotico che si affida più all’energia della propria voce che a una costruzione narrativa solida. Infine ci siamo detti che bisognava a tutti i costi liberarsi dal fascino ormai logoro della letteratura come grande incompiuto, e quindi dal ricatto dell’eterna pubblicazione postuma.

Ma questa storia finisce come già immaginate. Appena il volume con tutti i racconti è uscito noi lo abbiamo preso, abbiamo letto gli inediti in una sera, abbiamo riscoperto la stessa vertigine di sempre, ci siamo scritti con grande emozione su WhatsApp, abbiamo capito, da capo, che la vera letteratura sopravvive alle mode, che le passioni obbediscono a dinamiche contraddittorie, e che i conti con i nostri vent'anni li faremo un'altra volta, o forse non li faremo mai.

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