«Dimmi qualcosa di romantico. Ce la fai? Qualsiasi cosa. Che non l’abbia già detta Pavese».

«Mi piacerebbe avere una casa a meno di cento metri da dove ce l’hai tu. Va bene?».

A parlare sono i due ventitreenni protagonisti di Le cose di Benni (Rizzoli, 2021), opera dell’esordiente Gianmarco Perale, nato nel 1988. E forse questo non è un dialogo innocuo. Probabilmente, fosse stato presente in un libro di vent’anni fa, la battuta di risposta sarebbe stata una frase come: «Vorrei vivere in una casa con te», o qualcosa del genere. Qui, invece, l’amore tra due persone – giovani, sì, ma non più adolescenti – si esprime con il semplice desiderio di abitare vicini. Non quello di costruire una famiglia. Non quello di stringere un legame perenne.

Nei libri di autrici e autori esordienti pubblicati negli ultimissimi anni, sembra prendere forma un comune denominatore tematico: una nuova concezione dell’amore. E, consapevolmente o meno, questo segnala la scissione tra i millennial e tutto ciò che è venuto prima.  

Tra le righe di certe opere l’amore appare diverso, molto diverso, da come l’hanno conosciuto le generazioni precedenti. È come se le scrittrici e gli scrittori millennial dimostrassero che nelle loro vite non c’è più l’esperienza dell’amore inteso come istituzione, come schema fisso, con un’ideale di relazione a cui si desidera arrivare o che si spera – più o meno consciamente – di distruggere. Non ci sono più le coppie eterosessuali in crisi, tipiche della narrativa che finora è stata midcult. Non ci sono i matrimoni sui quali piomba una qualche tragedia, le trame fatte di incontri, sguardi ed eventi che mirano all’obiettivo della vita di coppia pacifica, domestica, famigliare (un tempo si sarebbe detto “borghese”). Non c’è il fascino irrequieto di chi vive nel rimorso di un amore segreto, o l’impeto di chi sa che sta incrinando qualcosa di inviolabile. C’è altro.

Nuovo amore

Nel leggere i libri di molti esordienti (che spesso hanno tra i 25 e i 35 anni) ci si imbatte in una semantica dei sentimenti sfaldata. L’Erasmus o il periodo di lavoro all’estero come test di fedeltà; l’università e il post-università come nucleo dove nascono e muoiono i rapporti nodali; la precarietà come nuovo modus vivendi anche oltre i trent’anni; i monolocali dove provare a convivere. Nelle pagine della nuova letteratura è dunque possibile rintracciare un’umanità alle prese con un’educazione sentimentale che sembra poter durare per sempre, dove i concetti di “matrimonio” e “famiglia” assumono sempre più i contorni di una stanca mitologia del secolo scorso.

Questo nuovo posizionamento del tema amoroso avviene, probabilmente, con una consapevolezza solo parziale. Esporre gli aspetti della vita circostante è una pratica quasi istintuale e fisiologica per chi scrive, e raccontare i rapporti umani per quello che sono davvero rifugge ogni programmabilità. Insomma: se si parla di storie ambientate all’altezza dei nostri tempi, è automatico mettere a fuoco anche il contesto. E dunque i legami sentimentali non possono non intrecciarsi con i feroci cambiamenti sociali di cui i nuovi giovani sono (spesso loro malgrado) protagonisti.

Così convivere non è solo dividere un romantico nido, ma una necessità economica: per pagare l’affitto, due millennial sono spesso obbligati a spartirsi le spese. Il lavoro è precario, quando e se c’è, e vivere almeno in due diventa l’unico modo per staccarsi dalla famiglia d’origine. In molti casi, poi, l’amore si vive a distanza, proprio perché non c’è la possibilità di rompere la dipendenza dai genitori: così, anche l’idea di doversi allontanare per ottenere un impiego o un’occasione in più è una possibilità drammatica ma non da escludere.

In questa sede non è possibile fare una ricognizione esaustiva di tutti i testi dove questo “nuovo” amore prende corpo. È necessario procedere per suggestioni. Alice Urciolo, classe 1994, nel suo Adorazione (66thand2nd, 2020) segue un gruppo di ragazze adolescenti in un apprendistato sentimentale che le condurrà a rigettare l’eredità, silenziosamente traumatica, ricevuta dalle dinamiche genitoriali. Lo sfondo è la provincia: luogo dove ogni sentimento sembra intrappolato in una narrazione ormai troppo asfissiante.

Altre opere spostano in avanti l’età anagrafica dei protagonisti, collocandoli in quel periodo drammaticamente complesso che vivono le persone che oggi hanno tra i 25 e i 30 anni. In Stiamo abbastanza bene (Fandango, 2020) del ventinovenne Francesco Spiedo ci si immerge nella vita di un uomo costretto a una migrazione, che vive l’amore come uno strappo: ha dovuto infatti lasciare alle spalle tutto ciò a cui tiene, con l’ingenua prospettiva di una ricostruzione emotiva in un altrove, che però risulta in molti tratti impossibile. È simile la vicenda di Amoresano, l’io narrante di Napoli mon amour (NNE, 2018), di Alessio Forgione (1986): un libro in cui si tocca la straziante adiacenza del verbo “amare” con il verbo “rinunciare” e dove l’amore sembra incompatibile con il lavoro, il guadagno e la crescita sociale.

Altrettanto dolorose sono le storie nelle quali l’amore è proiezione di qualcosa che manca, è un appiglio per provare a salvare soggetti rotti nel profondo. Succede per l’amore afasico e incomunicabile di Lingua madre (Italo Svevo, 2021) di Maddalena Fingerle (nata nel 1993); in quello ossessivo e alla vana ricerca di un suo ruolo terapeutico ne L’esercizio (La Nave di Teseo, 2020) della trentenne Claudia Petrucci; in quello che sfonda i muri del disturbante, collimando con la violenza, ne Gli affamati (Ponte alle Grazie, 2020) del venticinquenne Mattia Insolia, raggiungendo addirittura l’orrore della pedofilia in Ada Brucia (Effequ, 2020) di Anja Trevisan, classe 1998.      

Ripensare i sentimenti

La ragione dello sconvolgimento di un topos letterario così atavico è quindi da rintracciare nella consapevole assenza di futuro che caratterizza questa generazione. Questo essere immersi in una dimensione epocale, caratterizzata in moltissimi casi dalla privazione del domani, comporta a cascata il ripensamento di sentimenti che fino a pochi anni fa sembravano avere una fisionomia condivisa, quasi intoccabile. Il teorema dell’amore coniugale, da sempre uno dei perni più saldi di ogni narrazione, oggi si sfalda, in letteratura, ma anche nei racconti audiovisivi. Il concetto stesso di “coppia” viene quasi reso parodia in prodotti Marvel come WandaVision; in serie tv come la teen dramedy Sex Education le dinamiche erotiche assumono connotati tanto nuovi da scandalizzare i meno giovani; l’amore perde ogni vera centralità, diventando solo una porzione del baratro esistenzialista, nel capolavoro seriale Bojack Horseman.

Eppure, tornando alla letteratura, tutto questo ridimensionamento dell’amore non lo distrugge. Anzi. Finisce per amplificare ogni minimo grumo emotivo espandendo, in maniera esorbitante, il ruolo stesso dell’amore nelle singole esistenze.

Essere nel mondo ed essere insieme: questo sembra il vero desiderio di chi partecipa alla vita oggi con l’intento di trascriverla. Scappare dal giogo dei sentimenti istituzionalizzati – perché inarrivabili – e allo stesso modo fuggire dall’isolamento. Vivere le relazioni con l’unico obiettivo di non ritrovarsi tra i “non-amati”, perché, come dice Jonathan Bazzi nel suo Febbre (Fandango, 2019), «La ferita dei non amati non si rimargina più».

Questo è quanto sembrano dirci, sempre più insistentemente, le opere protagoniste di questa letteratura che va oltre il contemporaneo – una letteratura che, nella sua urgenza, converrebbe definire “contingente”. L’epoca che i giovani stanno vivendo è fatta di squarci. Amarsi è diventato un rattoppo, senza il quale, però, è impossibile pensarsi vivi.

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