C'è una certa consonanza fra Francesco Gabbani e Carlo Conti e non c'entra soltanto il fatto che entrambi siano toscani, o che la fama del cantante sia esplosa nel 2017, quando ha vinto Sanremo con Occidentali's Karma (e il presentatore era anche in quell’occasione Conti).

Entrambi incarnano in un certo senso il sentimento nazionalpopolare, una filosofia di vita contraria a qualsiasi provocazione e volgarità: tutto è misurato e in un certo senso familiare. Come cantava proprio a Sanremo, nella sua ultima partecipazione del 2020, subito prima della pandemia: «Sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa».

L'inno alla vita

Tutto questo si traduce ora in un inno alla vita, che non è esattamente un tema originale per un festival. Ma d'altronde, dopo aver cercato approcci ironici e un po' più new age (ricordate la scimmia, ispirata da Desmon Morris, che ballava sul palco?), Gabbani si sente perfettamente a suo agio a farsi cullare dall'orchestra. E quest'anno porta in dote una ballata che ha forti appigli nella tradizione.

In una recente intervista al Corriere della Sera, ha ricordato un vecchio festival del 1987, guardato dalle poltrone sgualcite del nonno. Sul palco c'era Sergio Caputo che cantava “Garibaldi innamorato”: «E io – dice Gabbani – ebbi la sensazione che sarebbe stato bello essere al suo posto».

Per il pubblico-Rai

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Il presentatore del 1987 era Pippo Baudo e Carlo Conti è probabilmente oggi il più pippobaudesco dei conduttori. Forse anche per questo, Gabbani dice che quando torna all'Ariston è come se si aprisse uno “stargate”: che riporta indietro il nastro del tempo di quasi quarant'anni, fino a quella casa con il nonno.

In certo senso, Gabbani si sente fiero di questa nostalgia, a cui cerca comunque di dare un vestito che sia perfettamente contemporaneo. È perfetto anche per cantare la sigla di una tipica fiction della Rai. E difatti Spazio tempo è la colonna sonora di Un professore, serie con Alessandro Gassmann e Claudia Pandolfi.

Contro i selfisti anonimi

Insomma, se ci saranno vecchi appassionati del festival che resteranno scandalizzati da Tony Effe o da Fedez, Francesco Gabbani rientra perfettamente nella “quota rassicurante”, quella che vorrebbe che fosse «Natale ogni lunedì». O che ci fosse un festival di Sanremo ogni settimana. Nel testo di “Viva la vita” canta: «Ma non lo vedi? E non conta se non ci credi / che siamo un momento / tra sempre e mai più / come una poesia / dentro l’eternità per una botta e via».

Il suo inno alla vita è il battesimo del nuovo album e poi di un tour che lo porterà all'Arena di Verona e nei palazzetti (la prima a Milano, a metà dicembre, ha fatto sold out). A dimostrazione che, otto anni dopo Occidentali's Karma, Gabbani è riuscito a costruirsi un suo pubblico. E soprattutto non è rimasto invischiato in quel successo travolgente.

Secondo i critici e secondo i bookmaker ha poche speranze di vincere, ma è difficile credere che il suo obiettivo sia questo. In un'intervista al Messaggero, ha detto che «oggi la competizione si è spostata più sul personaggio che sulla canzone». In altre parole, forse alla fine vincerà un “socio onorario al gruppo dei selfisti anonimi”. Ma lui, in qualche modo, continuerà la sua guerra contro di loro.

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