È stata la serata woke del festival: naturalmente incombe l'otto marzo, quindi woke nel senso di diritti femminili, ma pure di gender, pure di specismo, pure di body shaming. È stata la serata woke, ma chissà se gli autori se ne sono accorti visto che Sanremo, come l'Italia, non è un paese avanzato.
Beatrice Venezi insiste per essere definita conduttore d'orchestra invece di conduttrice perché “il mio ruolo ha un nome preciso”. Praticamente una rivendicazione terrorista nell'epoca degli asterischi e dello schwa, la vocale neutra usata per non escludere nessuno.
Barbara Palombelli con la sua deliziosa “e” spalancata da romana dei quartieri aspirazionali (sarà lo schwa?) ci ha narrato la sua pagina di LinkedIn o, come l'ha chiamata lei, “la forza femminile”.
Wake me up before you go-go, ha ballato Fiorello in apertura. E con la scusa dell'autoironia ecco che Sanremo manda subito il pizzino ai giornalisti e al pubblico sgomenti per la lunghezza delle scalette, tutte rigorosamente tirate oltre le due di notte. È da almeno un decennio che il festival finisce all'alba, ma è sempre rassicurante questa amnesia selettiva che ogni anno finalmente unisce l'Italia in un solo trasecolare. Questa penultima serata doveva chiudere alle 2 e 39 ma miracolosamente



