Un professore porta Dante in una terza media di periferia, trasformando la letteratura in strumento politico e umano. Tra vocabolari e vite ai margini, i ragazzi riscrivono il senso di cultura, scuola e giustizia
Terza media. Una classe di Tor Bella Monaca deve sostenere gli esami. Il professore, che di venti anni di carriera ne ha passati tra queste mura la metà, azzarda con un fuori programma la stessa materia che tanto appassionava suo padre. Dante, la Divina Commedia. Si, potrei dirla cosi ma non basterebbe. Di fronte all’urto del pamphlet di Emiliano Sbaraglia Insegnare Dante a Tor Bella Monaca non ci si può esimere dal condurre almeno due considerazioni.
Prima riflessione: gli individui ai margini, fuori dalla città, fuori dalla politica, vanno considerati come gli individui politici per eccellenza. È paradossale ma questi nomi - Marvin, Saomi, Emerik, Danilo, Fabiano, Samuel, Beatrice, Nicolas -, destini anomici tracciati dentro la scuola di frontiera, paiono dimostrare che gli esclusi dalle maglie dello stato, dalla classe borghese, sono proprio coloro che non sono stati ancora, o almeno non del tutto, spoliticizzati; non sono, cioè, ancora del tutto moderni se per moderni si intende quella borghesizzazione di massa che ha mondanizzato i desideri portando al triste divorzio tra cultura e politica. Questi ragazzi non sono né moderati né buoni.
Questi ragazzi sono radicali: ancora “godono” politicamente le proprie poche cose, perché per loro, tra vita e ricerca, non c’è – e non possono permettersi il lusso che ci possa essere – alcuna differenza. E non è forse questo che ci dimostra il nervo del libro, quando gli scolari per far valere un loro diritto scolastico aprono davanti al professore il vocabolario e si mettono a discutere intorno al termine “inclusione”. La lingua s’è fatta efficace. E la cultura, uscita dal campo torbido e arido dell’erudizione, è entrata con forza nella realtà di coloro che non possono che esercitarla come pratica di vita.
Seconda riflessione: la violenza cade fuori dal diritto, sì, ma – dice Walter Benjamin – «c’è una sfera a tal punto non violenta di intesa umana da essere affatto inaccessibile alla violenza: la vera e propria sfera “dell’intendersi”, la lingua».
È doveroso chiedersi, a questo punto, come abbia fatto il maestro affinché all’interno di esistenze così prossime alla morte, così prossime ai tre scalini di Regina Coeli, si sia affiancato per un istante al trono dei coltelli quello del discorso. Quel miscuglio di refrattarietà e diffidenza che li caratterizza getta le fondamenta su un unico e preciso luogo: la loro vita, l’esubero di vita vissuta in tredici anni di età. Ed è proprio questa eccedenza che dismette la via dell’autoritarismo e impone all’insegnate il percorrimento della più alta e nobile via dell’autorevolezza. In questo scampolo di presente, infatti, la legittimazione di una carica non sussiste finché chi la copre non si spoglia della toga, della targa, e dei diplomi e nudamente va per le irte vie, ricominciando daccapo. Così Emiliano Sbaraglia si sporca le mani, facendo da spalla all’alunno e depistando i malandrini.
Dall’inferno al paradiso. E così, ugualmente, la scuola decide: «Danilo verrà bocciato in modo da tenercelo anche il prossimo anno»; Danilo, un ragazzo con la sindrome di Dawn orfano di entrambi i genitori. Cioè compiendo quel movimento tanto necessario quanto radicale che è l’alzarsi al grado di vita dei propri studenti, perché la carta da cui tutto s’è appreso sia fatta reale, sia cioè riportata nell’unico posto che le spetta: la vita; in questo caso, la vita più dura, la vita di strada. Il libro si sta per concludere e torno alla memoria dei miei anni scolastici per lo più abitati da bamboccioni acquiescenti che già avevano sostituito i prodotti della Apple alla carta, guardando con occhio vacuo le luminescenze della Lim. Mi scrollo l’amarezza disillusa che me ne viene, e vado all’epilogo.
Due settimane sono passate dagli esami. Il telefono squilla. Il ritrovo è al MacDonald. «Professò, ma come finisce la Divina Commedia?». Su quel tavolo tra un paio di sandwich e del pollo fritto, ancora riluce, con veemenza, tosto, il paradiso. La scuola degli ultimi, la prima scuola.
© Riproduzione riservata