Ciò che è successo in questi giorni – la flotilla, le manifestazioni, l’interruzione dell’ordine apparente – ha senso in sé, ma ha anche un valore ulteriore: è un segnalibro nella memoria collettiva.

È come se facessimo un’orecchia al libro della Storia, generando una piega che anche i pianificatori nell’ombra faticheranno a cancellare. Da qui in poi sappiamo che le persone sono ancora capaci di un’attenzione, di un movimento, di azioni che impediscono all’indifferenza di stendersi come una coltre.

Questo conta perché è proprio sul terreno della memoria e della sua cancellazione che si gioca oggi uno snodo fondamentale: la questione economica che si muove alle spalle di tutto.

Ho parlato altre volte di Trump Gaza, o Gaza Riviera che dir si voglia, ma mi interessa richiamare il discorso, perché il concetto di sviluppare allegramente modelli economici di lusso nel momento in cui stiamo assistendo alla distruzione è un caso di studio di come la logica economica, più di ogni altra, rifiuti la memoria.

La finanza è esclusivamente futuro, lo è tecnicamente prima che ideologicamente, lo è nella sua struttura analitica: non si occupa di ciò che è stato, ma solo delle aspettative. Prospera là dove oggi si proiettano scenari possibili il cui “valore presente scontato atteso” sia superiore a zero. Non guarda indietro.

Eppure, per noi esseri umani, la memoria è imprescindibile. È ciò che crea legame, riconoscimento, responsabilità. È ciò che ci permette di non vivere in uno “splendido presente” dove in assenza di tempo misuriamo solo gli spazi di potere. Per questo i gesti che interrompono la continuità del quotidiano – un corteo, una protesta, una flottiglia che devia il corso abituale delle cose – assumono valore: sono segnalibri che impediscono all’oblio di imporsi come regola.

L’archivio 

In questi giorni ho trovato significativo che Giorgia Meloni abbia reagito alle proteste ricorrendo all’infantilizzazione di chi non le piace. Non è mai casuale quando accade, del resto niente di quello che Meloni dice è detto a caso: ridurre il dissenso a un capriccio, a una cosa da figli di papà, da irresponsabili che vogliono farsi un fine settimana lungo; negare dignità politica; tradurre una scelta collettiva in una frivolezza. Infantilizzare per disinnescare, per dire che non c’è nulla da prendere sul serio.

Ma il paradosso è che questa mossa rivela esattamente il contrario: se Meloni ricorre a quell’arma retorica è perché, sotto sotto, riconosce che certe azioni hanno la forza di sedimentarsi. Il suo stesso bisogno di minimizzarle è la prova che le percepisce come rischio.

Piaccia o non piaccia, abbiamo una presidente con il quoziente intellettivo alto: sa bene che le azioni che disturbano l’ordine apparente sono quelle che resistono al tempo, che tornano a galla come precedenti. La scaltrezza politica di Meloni consiste proprio nel tentativo di gestire non solo il presente, ma il modo in cui il presente verrà ricordato.

La memoria, infatti, non è un archivio neutro: è un campo di battaglia. Ci sono forze che cercano di imporre un oblio selettivo, e altre che lottano perché alcuni fatti restino incisi nella coscienza collettiva. Si tratta di un conflitto che non si gioca solo nei libri di storia o nei musei, ma nella quotidianità: cosa entra nel flusso delle notizie, cosa viene ripetuto, cosa viene dimenticato dopo ventiquattr’ore di ciclo mediatico.

Rompere la quotidianità 

Per questo i segnalibri sono cruciali. Non per gusto della provocazione, ma per rompere la continuità di una quotidianità che oggi assorbe tutto senza trattenere nulla. Una collettività si ricorda di un evento se c’è stato un gesto fisico, concreto, che ha inciso nel presente: un sentiero umanitario, una marcia che costringe a ricalcolare percorsi. Interrompere rotte consolidate significa obbligare a riconoscere che qualcosa è accaduto, che non tutto può essere digerito, dimenticato e trasformato in valore per gli investitori.

La memoria collettiva, a differenza della finanza, non è fatta di aspettative, ma di sedimentazioni. Il rischio più grande è che venga sostituita da una memoria artificiale, costruita da dialoghi solo smaterializzati, polemiche fumose e immagini manipolate. È una forma di memoria che non appartiene davvero a nessuno.

Ecco perché l’azione fisica resta insostituibile. Esserci, vedere. A prescindere da quello che poi se ne dirà. L’immagine può essere manipolata, ma l’atto in sé produce una frattura, genera conoscenza, è materia. Se non altro crea un prima e un dopo.

L’economia può funzionare senza passato, ma la politica no. Non deve.

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