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Carramba che fortuna stagione Novantanove/Duemila, con quel me desiderato e mai stato: pubescente, tremolante, si scopre protagonista della carrambata.
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Tutto illuminato dai raggi biondi, mamma, di quella signora che amavi (davvero: amore schiacciante da dea) come un fossile dei tuoi giorni belli, sintomo di quella tua migrazione dal bianco e nero al colore.
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Mamma: dovevamo scoprirci uniti dalla morte del seme delle nostre infanzie televisive – e senza dirci quanto grande sia questo mio/tuo/nostro strano star male, questo svelarci stanchissimi e svuotati – senza più sorprese, senza più ballare.
Mamma, ciao, senti, lo so che fa male, ma guardalo anche tu questo video su YouTube: è rimasto incastrato per ore qui in questa mia retina inumidita – nello scorrere inesausto dei meme, dei post, degli omaggi, mi sono messo alla ricerca di un ribaltamento: «Stanno commemorando un manifesto della peggiore Italietta più cringe», ho pensato: e mi fa una vergogna strana, questo impeto stupido e finto critico (ferito di ferite immaginarie), mentre me ne sto qua lo sche



