Quando sono stato atterrato stavo scrivendo un’e-mail. Nulla d’importante o interessante, a dire il vero, ma pur essendone cosciente io stesso, una parte di cervello mi diceva che quel lavoro non potevo rimandarlo.
In pratica sto sempre appiccicato al telefono. È il primo a cui do il buongiorno, è l’ultimo a cui do la buonanotte. Amici e parenti non fanno che lamentarsene, ma da oggi a chi mi rimprovera potrò dire che soffro di una forma di workaholism.
Siamo tutti molto religiosi, questa è la verità, e neanche ce ne rendiamo conto. La chiesa è l’ufficio, il Dio credo coincida con il desiderio di essere qualcosa per fuggire la paura di essere niente.
Qualche giorno fa, un tipo, bardato di mascherina e infilato in un bel giubbino in ecopelle, camminava sul marciapiede di una strada poco trafficata. Incedeva rapido e, occhi nello schermo del telefono, dita che saettavano sulla tastiera, ignorava il mondo intero. D’un tratto, però, come in una commediola di serie b, è ruzzolato sul marciapiede. Per prima cosa, ha controllato che il telefono fosse salvo; e, miracolo, non si era fatto niente. Poi confuso si è girato, e appena dietro di sé ha v



