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Vi siete mai chiesti come sia nato il tortellino bolognese? Qualcuno è pronto a giurare che sia frutto di un’ispirazione divina: lo avrebbe inventato un oste di Castelfranco Emilia affascinato dalla vista dell’ombelico della dea Venere in persona, altri parlano di un’antica ricetta le cui origini si perdono nella notte dei tempi, ma in realtà i ricettari ci raccontano una storia diversa (che riserva più di una sorpresa).

Ricette dolci e speziate

La sua comparsa ufficiale avviene nel 1501 quando un anonimo cuoco trascrive per la prima volta la ricetta dei “tortelli bolognesi” e li presenta in due versioni: una prima con il ripieno a base di formaggio, uova e spezie e una seconda con carne di cappone, formaggio, uova, uva passa e spezie.

La pasta che li avvolge viene spennellata con latte e zafferano prima di essere fritta e cosparsa di zucchero: il risultato era una piccola frittella di pasta ripiena – di cui non conosciamo la forma esatta – dal gusto dolce e speziato, tanto interessante, quanto distante dal tortellino che conosciamo tutti.

Prima di trovare una seconda ricetta di tortellini, o più precisamente di “annolini alla bolognese” passano 130 anni, quando ricompaiono nel ricettario del lucchese Antonio Frugoli. Questa volta sono lessati come una comune pasta, ma rimangono ancora un piatto piuttosto curioso considerato che sono ripieni di grasso di rognone (o midollo, a scelta), mele cotogne sciroppate e spezie. Come se non bastasse, vengono conditi con formaggio grattugiato, zucchero e cannella per poi essere serviti come contorno di un’anatra bollita. Una versione che si mantiene fedele al gusto dolce e speziato del secolo precedente, ma che oggi farebbe impallidire anche la più ardita sperimentazione gastronomica.

Ripieno di pollo

A partire dalla seconda metà del Seicento la ricetta si fa via via più stabile e gli ingredienti principali si riducono a tre: carne di pollo (oppure cappone), midollo di manzo e parmigiano, a cui di solito vengono aggiunte uova e spezie. Questo tipo di ripieno costituirà la norma per quasi tre secoli, anzi si può dire che proprio la presenza costante del pollo fosse la vera firma che distingueva il tortellino alla bolognese dagli altri tipi di pasta ripiena.

La città delle torri era già famosa per la produzione di salumi e mortadelle, ma lo era altrettanto per molte specialità vegetali (come il finocchio o le olive) e anche per gli animali da cortile, ed era piuttosto logico che le loro carni finissero nel ripieno dei tortellini.

Durante questo periodo si afferma anche la classica forma del tortellino perché gli esemplari più antichi, forse l’avrete già intuito, non assomigliavano affatto ai tortellini di oggi.

Il primo a fornire delle istruzioni precise è Francesco Leonardi alla fine del Settecento, un personaggio straordinario che, dopo avere abbandonato il servizio di cuoco personale di Caterina II di Russia, si ritira a Roma per scrivere il più grande ricettario della propria epoca.

Ovviamente non manca di parlare dei tortellini alla bolognese, ormai famosi da secoli, e li descrive simili agli attuali anolini in cui il ripieno è contenuto tra due dischetti di sfoglia, come una piccola torta, per l’appunto.

Distingue questa forma del tortellino vero e proprio da quello dei ravioli, in cui un unico dischetto di pasta viene piegato a metà, formando una mezzaluna e da quello dei cappelletti in cui le due punte del raviolo vengono congiunte per prendere la forma di un piccolo cappello con un forellino al centro. Sarà questo il tipo di chiusura che si imporrà con il passare del tempo e accomuna ancora oggi tortellini bolognesi e cappelletti romagnoli.

Non deve nemmeno stupire che i tortellini venissero fatti partendo da un circoletto di pasta perché il taglio quadrato si è imposto solo nella seconda metà del Novecento, tanto che le prime illustrazioni a scopo pubblicitario lo ritraggono ancora senza la celebre punta all’insù.

La composizione di Artusi

Nel ripieno la sostituzione del pollo è graduale, ma non si trova alcuna traccia di carne di maiale almeno fino alla metà dell’Ottocento e sarà solo Pellegrino Artusi alla fine del secolo a dettare la composizione definitiva: prosciutto, mortadella, midollo, parmigiano, uova e noce moscata. La ricetta, pubblicata fin dalla prima edizione del 1891 de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, ha rappresentato un punto di svolta a cui si sono rifatti molti autori successivi.

L’odierna ricetta “ufficiale”, depositata in Camera di commercio a Bologna nel 1974, ricalca in buona parte quella artusiana, sostituendo però il midollo di bue con il lombo di maiale, arrivando alla formulazione che usiamo ancora oggi in cui la carne di suino è l’unica presente. Il pollo e il cappone rimangono nella pentola, ma solo per fare il brodo, mentre il maiale è il protagonista assoluto del tortellino, dopo una lunga evoluzione durata cinque secoli.

Le ragioni di questa sostituzione non sono di facile spiegazione, ma il peso raggiunto dalle corporazioni dei salumieri bolognesi, l’aumento della disponibilità di carni suine – sia fresche che conservate – e il loro conseguente abbassamento di prezzo, devono avere influenzato questa scelta.

Molto probabilmente a decretarne il successo ha pesato anche la facilità di conservazione del ripieno composto in grande percentuale da salumi e formaggio stagionato grazie al quale è stato possibile esportare in tutto il mondo i tortellini bolognesi, come dimostrano quelli della celebre ditta Bertagni che nel 1889 furono premiati all’Esposizione universale di Parigi.

Il 27 ottobre scorso il tortellino bolognese ha ricevuto la Denominazione comunale (De.Co.) dal Comune di Bologna utilizzando la classica ricetta. Nel depositarla, l’associazione Tour-Tlen ha sottolineato che gli ingredienti utilizzati devono provenire dell’area metropolitana o dalla regione, con una particolare attenzione alla loro tracciabilità e al benessere animale. Anche questo è segno dei tempi: il tortellino diventa rispettoso dell’ambiente e del territorio, una sensibilità non certo comune fino a qualche decennio fa.

Il ruolo politico del tortellino

L’evoluzione gastronomica di un piatto è estremamente lenta e si misura in secoli per cui può sembrare immobile, ma è solo un’illusione. Ciò non significa che non esista una tradizione, anzi, ma noi assistiamo esclusivamente agli ultimi esiti di un lungo processo di adattamento.

Chi la pretende immobile e fedele a sé stessa di solito lo fa per motivazioni ideologiche allo scopo di erigere barriere culturali, come nel caso di un paio di anni fa in cui alcuni politici di destra scatenarono una polemica accusando la curia bolognese di tradire l’identità della cucina nazionale per avere preparato qualche chilo di “tortellini dell’accoglienza” a base di pollo per chi non desiderava mangiare la carne di maiale durante la festa di San Petronio.

Che a Bologna per secoli si siano mangiati tortellini a base di pollo è un fatto e una città universitaria (e multietnica) da sempre non avrebbe mai potuto partorire una specialità più flessibile e inclusiva di questa.


Ingredienti per 3 chili circa di tortellini

Foto AGF

Per il ripieno:

g 300 lombo di maiale rosolato al burro;

g 300 prosciutto crudo;

g 300 mortadella di Bologna;

g 450 formaggio parmigiano reggiano Dop;

n. 3 uova di gallina, provenienti da allevamenti non intensivi;

n. 1 noce moscata.

Per la sfoglia:

kg 1.200 di farina di tipo 00;

n. 12 uova intere;

una presa di sale.

Passate la carne e i salumi nel tritacarne, aggiungete il parmigiano grattugiato, la noce moscata polverizzata, le uova e mescolate perfettamente. Lasciate riposare qualche ora o tutta la notte in frigorifero.

Impastate uova e farina fino a ottenere una pasta liscia e omogenea che farete riposare almeno un’ora prima di tirarla, rigorosamente a matterello, in una sfoglia molto sottile.

Tagliate la sfoglia in quadrati di di 3-4 cm di lato, ponete un pizzico di ripieno su ognuno di essi e ripiegate la pasta a triangolo facendo aderire i bordi e unite le punte, dando la classica forma a tortellino.

Cuoceteli in brodo bollente fatto con carne di manzo e gallina – o meglio cappone – allevati a terra, oltre a sedano, carota e cipolla. Serviteli caldissimi nel loro brodo.

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