L’autunno non è fatto per gli inizi, si ripeteva Amanda. L’addio delle foglie dagli alberi, del sole alto e dei colori dell’estate, l’autunno era la sua stagione preferita ma per lei assomigliava alla sala d’aspetto di certe stazioni di provincia. Con quelle panchine scarabocchiate da sconosciuti di passaggio, sempre vuote. Dove sedersi a leggere in attesa di un treno per andare altrove.

Altrove, un luogo per lei inaccessibile. Lei che ai nuovi inizi aveva sempre preferito restare immobile. Sopravvivere, senza far rumore.

Ma ora non aveva potuto dire di no. Un nuovo inizio. Il lavoro dei suoi sogni in quella piccola libreria che frequentava da anni come cliente. “Cercasi commessa”, aveva letto un pomeriggio mentre si faceva scegliere dalla copertina di un libro. E così, timidamente, si era rivolta a Noemi, la proprietaria. Una donna sempre burbera, dagli occhi scuri e lucenti come pezzi d’ossidiana.

«Mi interessa…», le aveva detto.

Un libro blu

«Cosa? Non leggo la mente, ancora».

«Il lavoro come commessa».

«Perché vorresti lavorare qui?»

«È l’unica cosa che mi fa sentire bene… leggere, intendo. Quando leggo mi sento nel posto giusto. Non sono più una nota stonata, divento parte di una melodia».

Noemi l’aveva osservata per un istante di troppo, come a voler indovinare di che colore fosse il suo sangue, sotto la pelle. Poi, «ti farò sapere. Non serve che mi lasci il numero. Tanto vieni qui due volte la settimana, no?» aveva risposto.

Amanda aveva annuito.

Aveva terminato il suo giro tra gli scaffali ed era rimasta colpita da un libro con la copertina blu, la falce e un… Era un vibratore, incrociato con la falce al posto del martello? Arrossì mentre cercava di capirlo, rigirandosi la copertina tra le mani.

Il baule

Due settimane dopo, Amanda iniziava il suo lavoro come commessa alla libreria Inchiostro e carta. Arrivava sempre in anticipo, con lo sguardo chiaro di chi è nel posto dove vorrebbe essere. Amava sistemare i libri, sfiorarli con le dita mentre si muoveva da uno scaffale e all’altro.

Adorava sbirciare le espressioni dei clienti mentre sceglievano la lettura da portarsi a casa. Chi coglieva il libro come fosse un frutto maturo, senza neanche leggere la quarta di copertina. Chi leggeva quarta, alette, lo posava, ripeteva la stessa operazione con una decina di altri libri e poi tornava a prendere il primo. Chi chiedeva consiglio a lei, la libraia. Chi leggeva l’inizio e chi la fine. Questi ultimi, davvero non li capiva ma con i libri, si sa, ognuno ha il suo rituale.

E poi c’era Giacomo, che la prima volta che si era presentato le aveva detto «non puoi dimenticartelo, mi chiamo come Leopardi ma senza la gobba».

Amanda lo aveva guardato allibita e lui aveva aggiunto: «Il baule, pesante e greve, che mi porto sulle spalle. In realtà anche io ce l’ho, ma il mio è invisibile, quello di Leopardi era sotto gli occhi di tutti».

«Ognuno di noi porta sulle spalle il suo baule» aveva detto Amanda senza pensare. «Alcuni pesano più di altri».

«Già…».

Scegliere

Si erano stretti la mano. Sudata, quella di Giacomo. Esitante, quella di Amanda. E da quel giorno, Giacomo era andato a trovarla in libreria ogni giorno.

Aveva un modo strano di scegliere i libri, Giacomo. Così strano che prima di iniziare il suo rituale, si guardava intorno per essere sicuro che nessuno lo stesse osservando. Ma ad Amanda, abituata a guardare il mondo da un angolo senza che il mondo la vedesse, non era sfuggito.

Il Leopardi con la gobba invisibile raggiungeva lo scaffale che gli interessava, chiudeva gli occhi, faceva qualche passo incerto e poi dal buio dietro le palpebre sfiorava le copertine. Dopo un tempo variabile, poteva andare da una manciata di secondi a un paio di minuti – e un paio di minuti con gli occhi chiusi, in un luogo pubblico, sono un tempo infinito – si fermava su un volume in particolare, come fosse una calamita e lui il ferro. E allora non c’erano più dubbi.

Afferrava il libro con brama, ed era quello e nessun altro. Se lo portava al petto, stringendolo così forte che se fosse stato di carne, invece che di carta, le unghie avrebbero scavato cicatrici. Se ne separava solo per il tempo necessario ad Amanda di passarlo sul lettore di codice a barre e poi lo riprendeva affannosamente; un naufrago che cerca un relitto a cui aggrapparsi, nella tempesta.

La voce

«Ho visto come scegli i libri» gli aveva detto sottovoce Amanda, un sabato pomeriggio di novembre. Aveva sussurrato, anche se la libreria era vuota tranne loro due e lui aveva risposto allo stesso modo, con il filo di voce che si riserva ai segreti.

«Li sento, sai? La loro voce mi parla, prima ancora di leggerli. Li scelgo seguendo l’istinto».

«Anche io scelgo i libri dalla copertina».

«Non è la stessa cosa, o almeno non credo. Ho qualcosa dentro. Come una fame che deve essere saziata, ma non si sazia mai».

«La fame di conoscenza… la voglia di scoprire mondi, senza neanche dover viaggiare. Si vivono vite, ci si innamora, si muore e si rivive, ancora e ancora…».

Giacomo non aveva risposto. Aveva sorriso. Un sorriso insolito, ma bello, che lo aveva illuminato dall’interno. Un sorriso obliquo.

Una catena di eventi

Il giorno che Amanda aveva compiuto tre mesi in libreria, la titolare le aveva concesso il pomeriggio libero. Per Amanda non era stato un regalo. Quando non era al lavoro, se non leggeva si sentiva sola. Un gatto, un bilocale in periferia, una storia di solitudine come tante. Aveva insistito per rimanere in libreria, ma Noemi era stata irremovibile. Si meritava un pomeriggio libero, le aveva detto.

Meritarsi. Amanda non aveva mai sentito di meritare nulla, al punto che a volte aveva pensato di essere già morta, anche se respirava. Meritarsi nuovi inizi, un lavoro soddisfacente, degli amici, un affetto… forse la sua vita era cambiata al punto che poteva ritenersi degna di meritare qualcosa? Se lo era chiesto quando uscendo dalla libreria si era imbattuta in Giacomo.

«Dove vai così di fretta?».

«Ho il pomeriggio libero… pensavo di tornare a casa a leggere».

«Perché invece non prendiamo un caffè? Tornerò in libreria quando ci sei tu».

Nuovi inizi. Un affetto. Era affetto quello che provava per Giacomo dalla gobba invisibile? Avevano parlato a lungo, seduti all’ultimo tavolino a sinistra del bar di fronte alla libreria. Giacomo le aveva confidato di essere un aspirante scrittore. Voleva scriverle, le storie; non gli bastava più viverle leggendo. E un giorno ci sarebbe riuscito, lo sapeva. Anche se per ora rimaneva soltanto un sogno, chiuso in un cassetto troppo stretto per contenere un’ambizione così grande.

I caffè erano diventati un’abitudine, consumati prima che Amanda iniziasse il turno in libreria. Poi c’era stata la prima pizza, il primo bacio. E ora, a casa di Giacomo, davanti a un’immensa libreria a parete, la libraia pensava a come la vita a volte è strana, e come avere coraggio sia in grado di innescare una catena di eventi e trasformare un nuovo inizio in una nuova vita.

A testa in giù

Lei era sempre stata convinta che puoi scoprire tanto sugli altri guardando i libri che leggono. Eppure, la libreria di Giacomo era costruita sugli opposti. Dal saggio sulla psicanalisi al thriller svedese, dalla raccolta di poesie italiane del primo Novecento al trattato di intelligenza artificiale.

E ancora, leggende giapponesi e romanzi americani ambientati ai margini di deserti sconfinati. E poi… c’erano i libri sistemati a testa in giù.

All’inizio Amanda aveva pensato che fosse un errore, un volume riposto male per la fretta. Ma poi si era accorta che seguivano uno schema. Ce n’era uno per ogni fila, e Amanda avrebbe con tutte le forze voluto capovolgerlo. Dovette resistere all’impulso.

Si disse che il rapporto con i libri è la cosa più privata al mondo. C’è chi li lascia intonsi, chi li riempie di sottolineature e chi addirittura ci fa le orecchie per tenere il segno, chi li riempie di scontrini, biglietti del cinema o di un concerto come fossero scrigni di ricordi. Giacomo ne teneva alcuni a testa in giù. Quindi? Non significava nulla, ed erano solo fatti suoi.

L’impulso

Ma quel dettaglio le si radicò nella mente un giorno dopo l’altro. Come un minuscolo tumore, che cresceva col passare del tempo. Era la nota stonata nella sintonia della sua nuova vita. Fino ad arrivare a non pensare ad altro, quasi che quei libri capovolti le gridassero nella mente… o le chiedessero aiuto.

E così, rimasta da sola, mentre Giacomo faceva la doccia dopo che avevano fatto l’amore, lei si avvicinò allo scaffale. Tentennando, incerta, estrasse uno dei libri capovolti, solo per rendersi conto che era leggero… troppo leggero. Come svuotato. Vuoto. C’era solo la copertina, senza le interiora di carta. Senza l’anima.

Presa dal panico, Amanda estrasse un altro libro posizionato al contrario… vuoto! E capì… capì che il tarlo del dubbio era stato nutrito dal suo istinto, l’istinto feroce di chi è abituato alla solitudine e ai suoi silenzi.

«Cosa stai facendo?». La voce di Giacomo alle sue spalle la fece quasi sobbalzare. Amanda cercò di smettere di tremare.

«Li hai… uccisi».

«Non è come pensi».

Giacomo mosse un passo verso di lei.

«Li ammazzi perché odi che loro esistano, mentre le storie nella tua mente forse non esisteranno mai».

«Non posso fermarmi… l’impulso è più forte di me».

Torture

Per la prima volta, di fronte a Giacomo, Amanda si sorprese a provare paura. Una paura che le stringeva le viscere e la faceva vacillare.

«Li torturi, vero? Strappi le pagine a una a una… un poco alla volta. Provi piacere nel distruggerli lentamente».

Giacomo mosse un altro passo verso Amanda. Ma lei scattò a lato, fin quasi a toccare la parete.

«Ti denuncerò, non permetterò che questo scempio continui…».

«Quello che faccio non va contro la legge. Non esiste un articolo del codice penale che tuteli la sensibilità dei libri… o degli editori che li pubblicano. Non c’è niente che puoi fare o dire per fermarmi, mi dispiace».

«Posso aiutarti. Puoi smettere… basta volerlo. Come smettere di fumare che non devi pensarci ma farlo e basta. Si buttano via le sigarette e…».

«No! Non posso smettere. Non voglio smettere».

Amanda indietreggiò con cautela, come se si stesse muovendo su un terreno pericoloso. Poi uno scatto e uscì dalla stanza di corsa e poi a precipizio, lungo la scala della palazzina che scendeva a elica fino al pianterreno. Dall’atrio, sentiva i passi di Giacomo rimbalzare sui gradini.

«Ti avevo detto che ho un baule pesante e greve sulle spalle! Odio i libri brutti perché non dovrebbero essere mai nati» gridò Giacomo.

«Chi sei tu per giudicare? Un libro brutto per te può essere il mondo intero per un’altra persona!»

«Fermati!»

La fine

Amanda spalancò il portone e uscì dalla palazzina. Senza neanche sapere come, scavalcò il marciapiede e si trovò in mezzo alla strada. Aveva gli occhi pieni di lacrime, al punto che la visione sembrava fatta di nebbia liquida.

Il nero del cielo e le luci dei lampioni sembravano getti d’inchiostro sparsi sulla superficie di uno stagno. Stridore di freni alle sue spalle. Un tonfo, poi un rumore secco, come di ghiaccio che si spezzava.

La libraia si voltò lentamente. Giacomo sembrava un manichino scomposto, riverso sul cofano di un’auto.

Le braccia disarticolate, la testa conficcata sul parabrezza, con intorno un reticolo di crepe che ricordava una ragnatela. Il suo sangue si allargava sotto di lui, sgocciolando sull’asfalto. Gli occhi vitrei, spalancati ma spenti, sembravano fissare un punto al di là della strada, oltre gli alberi che la fiancheggiavano, oltre i portoni dei palazzi. Un punto che nessun altro poteva vedere.

Una ragazza dai capelli rossi si precipitò fuori dall’auto, un libro in mano, lo sguardo pieno di angoscia.

«Mi dispiace! Io… non volevo… È stato un attimo. Mi sono distratta per leggere la prima riga del libro che mi hanno regalato per il mio compleanno!».

«Non è stata colpa tua» disse Amanda con una freddezza che non aveva mai provato. Era come se le parole fluissero attraverso di lei senza che potesse controllarle. «Lui… Ha attraversato senza guardare. Lo dirò alla polizia… stai tranquilla, adesso».

La fine. È sempre il migliore tra i nuovi inizi, pensò Amanda. La bocca si curvò nell’accenno di un sorriso. Un sorriso insolito, ma bello, che la illuminò dall’interno. Un sorriso storto.

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