Nel corso degli anni il Museo d’arte cicladica di Atene ha orientato le sue scelte verso un confronto tra l’antico e il contemporaneo, come è accaduto nell’estate del 2017, nella mostra Dialoghi divini, curata dal direttore del museo, Nikolaos Stampolidis e da Jonas Storsve del Centre Pompidou di Parigi. In quell’occasione i disegni e le sculture di Cy Twombly dialogavano con la statuaria classica e cicladica, esprimendo con un linguaggio contemporaneo l’essenzialità di quelle forme.

Nell’ambito del Postmoderno si assiste spesso a queste contaminazioni in cui opere del passato si inseriscono in progetti contemporanei. Nel mondo dell’archeologia questa tendenza è sempre più frequente. Basti pensare, ad esempio, alle tante mostre proposte dal Museo archeologico di Napoli. Nel nostro paese, inoltre, felici interazioni sono state realizzate di recente alle Gallerie degli Uffizi con le installazioni di Antony Gormley o di Giuseppe Penone, solo per citarne alcune.

A Siracusa

Un esperimento di particolare rilievo che si muove in questa direzione è in atto adesso a Siracusa, dove, nella sala circolare delle esposizioni del Museo archeologico Paolo Orsi, entrano in dialogo un idolo cicladico del III millennio a.C., diversi reperti archeologici di divinità femminili di età classica e una installazione monumentale di Joana Vasconcelos.

L’artista portoghese, che ha scelto i reperti avvalendosi della collaborazione dell’archeologa Anita Crispino, è nata a Parigi nel 1971 da genitori in esilio per la loro opposizione alla dittatura ed è tornata in patria dopo la Rivoluzione dei garofani, che ha riportato la democrazia in Portogallo.

A Lisbona Vasconcelos ha sviluppato il suo linguaggio, caratterizzato da un complesso incontro tra pratiche artigianali altamente specializzate e sperimentazione. Protagonista di numerose mostre internazionali, Vasconcelos, nota per le sue monumentali installazioni, è stata la prima donna e l’artista più giovane a esporre alla Reggia di Versailles, registrando un record di visitatori tale da rendere la mostra tra le prime cinque più visitate in Francia negli ultimi cinquant’anni.

Il valore della corona

Nell’ambito di una collaborazione tra il Museo d’arte cicladica di Atene e il Museo archeologico Paolo Orsi di Siracusa, è stato chiesto a Demetrio Paparoni, critico che ha sempre posto attenzione al tema dell’ibridazione culturale, di indicare un artista contemporaneo che potesse interagire con l’idolo cicladico avuto in prestito proprio dal museo ateniese.

Da questa scelta è nata l’interazione tra Valkiria Crown, una corona in stoffa esposta per la prima volta a Londra nel 2012, in occasione del sessantesimo anniversario di regno della Regina Elisabetta II, e l’idolo dell’età del bronzo.

Se a Londra Vasconcelos intendeva rimarcare come Elisabetta II potesse identificarsi con la corona, considerata tradizionalmente una prerogativa maschile, a Siracusa, invece, la stessa corona, esposta con una diversa impostazione formale, cinge idealmente il capo di un idolo femminile, che accoglie in sé gli attributi del divino e della sovranità.

Un ordine matriarcale

Le divinità femminili, in età preistorica, caratterizzavano la religiosità e la stessa struttura sociale delle civiltà mediterranee. Nel suo libro Il matriarcato (Das Mutterrecht) del 1861, il giurista svizzero Johann Jakob Bachofen sostenne che la società patriarcale era stata preceduta da un ordine matriarcale, in cui l’armonia dei vincoli comunitari prevaleva sul conflitto.

Il matriarcato si fondava, secondo Bachofen, su una concezione sacrale della femminilità, intesa nella sua identificazione con la natura. Il dare la vita e custodirla in ogni sua manifestazione costituisce il tratto fondamentale della condizione femminile, che trova piena espressione nel culto della Grande madre, la dea degli animali e della natura, che troviamo a Creta e nella civiltà minoica tra il III e la metà del II millennio a.C. 

Al di là della radicalità della tesi di Bachofen, è evidente che la figura femminile, nell’arte minoica, come nella statuaria cicladica, è circonfusa da un’aura di religiosità e di sovranità al tempo stesso. I segni di queste divinità femminili si possono cogliere, sotto molti aspetti, nelle opere di Vasconcelos e in questo incontro tra la sua installazione e l’idolo cicladico.

Forme che inglobano

Dalla corona, che cala dall’alto, pendono delle ramificazioni che ricordano filamenti di radici. Vasconcelos vuole evidenziare come non sia possibile immaginare la dimensione elevata della sovranità senza riflettere sul suo radicamento.

L’elemento sotterraneo rinvia sempre ai culti della vegetazione, all’alternarsi del buio della semina e della gestazione con la luce del raccolto e della nascita, come avviene nel mito di Demetra e Kore. Le ramificazioni della scultura si prolungano nell’ambiente, mettendo in relazione tra loro le figure femminili che circondano l’idolo. 

La corona è realizzata con tessuti di particolare pregio, secondo tecniche tradizionali che Vasconcelos riprende dallo stile manuelino portoghese. Il carattere avvolgente dell’installazione attrae lo spettatore, che si sente inglobato nelle sue forme, rese sinuose dai materiali scelti.

Sembianze materne

L’aspetto dell’opera scelta dall’artista, quasi placentare, assume forti sembianze materne. Si ha come il timore, però, di sentirsi annullati in qualcosa che, pur seducendo lo spettatore, sembra fagocitarlo.

Si avverte un elemento perturbante, in quanto ciò che si mostra come materno, quindi familiare, muta di segno e ci turba, divenendo minaccioso. Ecco perché la percezione della bellezza nelle sue installazioni sconfina nel sentimento del sublime, che proviamo quando ci troviamo dinnanzi a qualcosa che, come una tempesta, ci attrae e ci impaurisce.

Il sublime postmoderno, ci ricorda Vasconcelos, si esprime nell’àmbito di una tecnologia che ci seduce e ci angoscia, perché siamo ormai consapevoli che l’uomo è in grado di causare catastrofi più gravi di quelle naturali. La grande forza materna che emerge nelle sue installazioni simboleggia la volontà della natura di ristabilire le sue leggi, violate da una hybris che ha sconvolto ogni limite umano. Ristabilire una signoria della natura, ci dice Vasconcelos, comporterebbe  il ritorno a un caos originario, in cui tutto si annulla per rinascere.

Verso il trascendente

La realtà tangibile della nostra corporeità, solidamente radicata nella terra, porta in sé l’esigenza di elaborare un pensiero che può anche esprimere una tensione verso il trascendente. La formazione laica non impedisce dunque all’artista di dar forma a questo sentire, come dimostra la sua attenzione alla religiosità, che riesce a riconoscere, al di là dei rigidi confini confessionali, in un rito buddista come in un pellegrinaggio a Santiago di Compostela o a Fatima.

Questa complessità è al centro dell’opera di Vasconcelos, in cui è sempre viva la consapevolezza che i diversi aspetti della condizione umana sono animati da una dialettica costante. Dialettica che si può riscontrare anche nella grande installazione dell’artista attualmente esposta nella mostra Interaction, alla Fondazione Made in Cloister di Napoli, e nella sua mostra personale presso la galleria Scognamiglio di Milano.

Incontri

Il bisogno di promuovere incontri fra esperienze e linguaggi diversi e lontani ha portato Vasconcelos a dar vita, nel 2012, a una Fondazione che ha la finalità di promuovere la collaborazione con associazioni di volontariato. Siracusa, la Sicilia, il mondo mediterraneo, hanno incarnato, nel corso del tempo, una dimensione di inclusività, come racconta la storia e l’architettura di questi luoghi, in cui gli stili, le culture, hanno superato le contrapposizioni per cedere il passo a una felice sintesi formale. 

Vasconcelos dimostra una grande sintonia con queste forme di ibridazione, presenti in ogni aspetto del suo lavoro. La solidarietà, l’inclusione, il dialogo costituiscono infatti la sua cifra più autentica, che si esprime nell’incontro tra arte, pratiche artigianali e sperimentalismo. Le installazioni, connesse in forme diverse alla tessitura, realizzano una sintesi di materiali e di cromie, divenendo così simboli concreti del valore della relazione e dei legami che, come la trama di un ordito, delineano l’orizzonte di un itinerario artistico ed esistenziale.

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