Raskol’nikov, il protagonista di Delitto e castigo di Dostoevskij, abbandona gli studi a causa della mancanza di denaro e, soprattutto, decide di uccidere l’anziana usuraia Alena Ivanova per impadronirsi dei suoi soldi.

Lucien Chardon, poi Lucien de Rubempré, in Illusioni perdute giunge a Parigi dalla provincia pronto ad agguantare il successo letterario, ma subito si accorge della distanza economica che lo divide dagli eleganti personaggi con cui ha a che fare e proprio la ricerca folle di quell’irraggiungibile status quo lo porterà a dover tornare, povero, a casa.

In Tre croci invece Federigo Tozzi mette in scena tre fratelli che hanno dilapidato il ricco lascito paterno e si trovano a sopravvivere in cerca di sotterfugi, spesso illegali, fino al tragico finale dove, senza soldi, si esauriscono le loro vite.

Il denaro (e tutto ciò che da esso deriva, dalla consacrazione in società alla possibilità di fare ciò che si vuole) è uno degli inneschi narrativi più diffusi a partire dalla nascita del romanzo, perché parlare di soldi significa confessarsi, fare i conti con sé stessi e con chi sta intorno, con le proprie prospettive, con il proprio passato e il proprio futuro.

Questo discorso acquista un valore ancor più importante se la narrazione assume tinte autobiografiche perché il denaro diviene il correlativo oggettivo di un’intera esistenza e raccontare i suoi flussi, la percezione che se ne ha, il senso di colpa nel maneggiarli o la bramosia nell’ottenerli significa andare al cuore più profondo del proprio io.

Melissa Panarello nel suo nuovo romanzo dal titolo esemplificativo Storia dei miei soldi (Bompiani), fa proprio questo, concentrando la sua attenzione su cosa possa voler dire per una giovane donna trovarsi improvvisamente a maneggiare molto denaro, dispensatore ambiguo di felicità e disperazione.

La lingua e la vita

Lo sdoppiamento

In questo libro che ricalca l’esistenza della scrittrice, Panarello sceglie di utilizzare un filtro letterario che si rivela un perfetto marchingegno per porre un problema che esula dalla sua personale singolarità e che invece, grazie proprio allo sdoppiamento della sua persona che anima le due protagoniste del romanzo, riesce a parlare a chiunque abbia voglia di ascoltare perché in ballo c’è una riflessione su cosa ci sia di così irresistibile nel voler possedere e come, in questo campo di forze, i soldi siano la merce di scambio principale.

Quando aveva solo diciassette anni Panarello, sotto lo pseudonimo di Melissa P., pubblicò Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, un libro che ebbe l’effetto di un terremoto (perché l’autrice vi raccontava limpidamente le forme e le declinazioni del desiderio femminile, di un corpo che cresceva e accedeva in territori adulti), una vera e propria esplosione mediatica che la vide protagonista di ospitate e talk-show, ma anche di anatemi su giornali e televisione.

In Storia dei miei soldi Panarello con coraggio prova a fare i conti con quel passato e lo fa scegliendo appunto uno stratagemma narrativo che se da un lato è un’ottima e riuscita deviazione dalle forme oramai canoniche del memoir, dall’altra comunque spalanca il suo abisso personale: la narratrice e scrittrice Melissa, specchio della sua creatrice, incontra per caso a Roma Clara T. (nome in cui risuona, ancora, lo pseudonimo dell’autrice), l’attrice che la interpretò nella trasposizione cinematografica del suo libro e che adesso sta facendo volare delle sedie dentro una trattoria.

Ma «ho incontrato Clara T. quando non era più lei» scrive in apertura del libro Melissa perché l’attrice è oramai molto lontana dai tempi migliori, appare trasandata, spoglia della sua bellezza e dell’erotismo con cui era divenuta famosa: è, in poche parole, diventata povera, tanto da dover vivere, dopo aver girato con Polanski e Coppola e aver vissuto da protagonista il jet-set romano e internazionale, in una casa condivisa con altre coinquiline.

Melissa sente immediatamente un’attrazione irresistibile nei suoi confronti e comincia a parlarle regolarmente in una serie di conversazioni che compongono il libro dentro il libro, i ricordi di Clara (ad anticiparli un altro espediente letterario: «I proventi di questo libro», scrive Melissa, «tolta la percentuale per il mio agente e quello che mi servirà per le tasse, saranno tutti destinati a lei»).

Oltre al vuoto 

Tutta la storia di Clara, che, ricordiamo, è una metà del riflesso incrinato di Panarello in un riuscito esperimento letterario dove si mescolano continuamente fiction e non-fiction, ruota attorno al denaro, tanto denaro oramai finito, denaro che si trasforma anche nel primo innesco di molti legami umani, in termometro delle relazioni (sono i bonifici a dare la forma al rapporto tra Clara e sua madre) e in prova inequivocabile di squilibrati e ingiusti rapporti di potere (come dimostra il trattamento che manager e uomini riservano a Clara, come gustino il suo declino che si condensa nel bonifico che non le viene inviato).

«Ci hanno truccato come bambole e trattato come delle incapaci solo perché non ci vergognavamo di stare nude» dice Clara a Melissa: appena sono cominciati ad arrivare i soldi quella libertà però non poteva più esistere perché non era concepibile che una donna gestisse da sola tutto quel potere derivato dal suo intimo (il suo corpo e il suo conto in banca) e così si comincia, pezzo pezzo, a demolirlo (in un processo a cui partecipa anche Clara stessa, forse non del tutto convinta di meritarsi quella ricchezza e quel potere).

Se anche il rapporto tra Clara e la madre è scandito dal ritmo dei soldi, c’è però una commovente terra di pace dentro il romanzo rappresentata dall’essere madri, condizione che accomuna Melissa e Clara seppure con situazioni agli antipodi, tranquilla e felice la prima, complessa e dolorosa la seconda.

Eppure nel rapporto tra queste donne con i loro figli c’è un sentimento che non concepisce altro se non l’amore: «I figli insegnano il tempo, che è una cosa crudele ma necessaria» e allora, dentro la resa dei conti con il passato che è Storia dei miei soldi, amara indagine su cosa significhi il successo, se ci si possa convincere di non esserne all’altezza, su come i soldi siano ancora il più feroce strumento di disuguaglianza e di dissoluzione, brilla la possibilità che i figli, testimonianza concreta di come il passato sia oramai alle spalle, siano un agente decisivo per mettere da parte definitivamente, e con coscienza, le ferite di ciò che è stato, fantasmi di un vuoto che non è più tale.

© Riproduzione riservata