Da un po’ di tempo penso che l’atteggiamento politico migliore, nella vita, sia sintetizzabile in questo: occuparsi in maniera onesta delle cose che amiamo. Tutti possiamo farlo, certo non è facile. Occuparsi in maniera onesta delle cose che amiamo significa guardarle per come sono, senza filtri, senza occhiali rosa, senza cercare un tornaconto personale o una consolazione.

Significa dire anche qualcosa di sgradevole, se necessario, accettando il fatto che qualcuno insinuerà che non amiamo veramente le cose che diciamo di amare. Sperando invece di essere costruttivi, nel lungo termine.

Mi è capitato di pensare a questa impostazione leggendo un libro, Fare gol non serve a niente di Luca Pisapia, uscito di recente per add editore. Si tratta naturalmente di un libro sul calcio, con un titolo accattivante che risveglia in noi un ventaglio di domande. Un libro sullo sport e sulle sue ambiguità, diremmo, a prima vista.

Di norma, un libro sullo sport che contenga anche una critica può essere impostato in tanti modi, ma raramente è privo di una certa dose di romanticismo, di un buon numero di metafore esistenziali, e al limite della nostalgia di un’epoca in cui lo sport era più buono e genuino, mentre oggi è stato deturpato dall’avidità. (Quest’ultima caratteristica, la nostalgia, oggi è un sentimento politico di un certo peso, fra l’altro).

Merce da sempre

Il libro di Pisapia, però, non è così. Non c’è nostalgia, c’è il suo contrario, e cioè la storia. Il libro parla anzitutto di storia economica (del calcio, in realtà non solo). Lo fa in modo ambizioso, ma non arrogante. Una storia economica che parte sulle rive del Tamigi nel XIX secolo. Lì il calcio è subito una merce che attraversa le rotte marittime della rivoluzione industriale, per poi diventare dispositivo di controllo nelle dittature, ma anche nelle democrazie del Novecento, tuffandosi infine nella storia e poi nella contemporaneità della finanza.

Un libro che diventa, dunque, di storia della finanza, là dove la merce (il pallone) si tramuta nel tempo in asset per diventare infine titolo finanziario intorno al quale è possibile strutturare operazioni complesse, catene di controllo, scatole vuote e garanzie per ben altri affari. Il valore d’uso del calciatore si scollega dalla reale funzione sul campo da calcio.

Il percorso di smaterializzazione che caratterizza l’economia in generale si ripropone (con alcuni scarti temporali) nel percorso di smaterializzazione che riguarda lo sport. Il calcio non è mai stato innocente, non esiste un tempo mitico in cui c’era purezza, perché il calcio sin da subito si lega con una certa disinvoltura (e ferocia) al capitale e ai suoi desideri.

All’inizio di ogni capitolo c’è un’immagine. Le prime sono immagini più concrete, per esempio i marinai che costruiscono una nave, o comunque in qualche misura tangibili, come il dipinto di Umberto Boccioni Dinamismo di un footballer. Abbiamo calciatori e gesti, reali o mitizzati. Un filo lega la storia del calcio alla storia del lavoro. Corpi che però nel tempo perdono corpo. Merce e subito valore spettrale della merce. Il libro analizza anche figure fondamentali e crea parallelismi fra le icone. Fondamentale il concetto dei calciatori più famosi per quello che fanno fuori dal campo. Meazza e Beckham, tempi e luoghi diversi, prossimità concettuale.

Flessibilità

Sembra esserci una sorta di gioco ricorsivo di fondo nel ragionamento (qualcosa di escheriano): il pallone insegue le dinamiche oppure le dinamiche inseguono il pallone? Calcio totale e precarietà totale. Nel momento in cui a ciascuno di noi viene data l’illusione di poterci muovere liberamente dentro l’economia nasce per noi una condizione di precarietà.

Il calcio è flessibile, si piega a rappresentare quello che serve, dunque, si piega a essere letto nella maniera che conviene. Il calcio ha una sorta di fungibilità, una capacità mimetica che realmente richiama il denaro. Ma quando parliamo di denaro sappiamo che la radice della fungibilità sta nella capacità di rendere tutto misurabile. Il denaro è un numero e una classifica. Il calcio? Perché il pallone è più flessibile di altri oggetti?

Il cinico conosce il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna (cito a memoria Oscar Wilde). Posto che i prezzi li conosciamo, i numeri li vediamo o se non li vediamo possiamo lottare per metterli a nudo, qual è il valore del calcio oggi, e cosa dobbiamo salvare? Esiste un valore sottostante al prodotto derivato? Una realtà? Cosa significa provare a riprendersi il pallone, un oggetto che in fondo non è mai stato veramente nostro?

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