La dolcissima vaniglia ha una storia amara

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è la frutta che diventa un lusso. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Siamo abituati ad associare la vaniglia alla dolcezza, ma la storia di questo frutto è amara, come una sorte ingiusta. Quella toccata a Edmond Albius, uno schiavo di 12 anni che nel 1841, sull’isola di Bourbon, ora conosciuta come La Réunion, cambiò per sempre il corso dell’agricoltura e dell’arte culinaria mondiale. Cominciamo dalle basi: la vaniglia è il frutto di un’orchidea del genere Vanilla, che viene erroneamente chiamato baccello ed è simile a una capsula nerastra. Originaria del Messico, l’orchidea Vanilla fu portata sul Vecchio continente dal conquistatore Hernan Cortes, scatenando una mania tra i consumatori più curiosi. Tuttavia, riprodurre la pianta fuori dal suo habitat naturale si rivelò una sfida. Il motivo? L’impollinazione era legata a un’ape specifica, la Melipona, senza la quale la vaniglia non poteva produrre i suoi frutti aromatici. Come racconta il libro Il frutto più raro di Gaelle Belem (e/o edizioni), a risolvere l’enigma non furono i botanici dell’epoca, bensì l’orfano Edmond Albius: un ragazzino senza più nessuno al mondo che, grazie all’incontro fortuito con un botanico vedovo di 37 anni, Ferréol Bellier-Beaumont, si trovò a conoscere il mondo delle piante. Ferréol gli affidò la cura di un piccolo orto, insegnandogli a distinguere i fiori maschili da quelli femminili e a impollinarli manualmente. Questa pratica fu la base delle sue future scoperte. Numerosi tentativi erano già stati condotti per produrre baccelli di vaniglia fuori dall’America Latina. Botanici europei, come Charles Morren in Belgio, avevano ottenuto un discreto successo, ma il loro metodo era complesso e non replicabile su larga scala. Nel 1833, il governatore di Bourbon, Jacques Philippe Cuvillier, offrì terreni e talee di vaniglia a chiunque potesse far fruttificare la pianta. Ferréol, affascinato dalla promessa di creare il cosiddetto “frutto più raro”, accettò la sfida, piantando vaniglia nel suo giardino. Tuttavia, per anni la pianta rimase infruttuosa, portando Ferréol a definirla una «volgarissima pianta ornamentale». Quando il commercio di prodotti alimentari incrocia il colonialismo Edmond Albius A soli 12 anni, Edmond riconobbe invece che una piccola membrana, il rostello, separava naturalmente gli organi maschili (stame) da quelli femminili (pistillo) del fiore, impedendo l’autoimpollinazione. Usando una scheggia di bambù, Edmond sollevò delicatamente questa membrana, quindi mise lo stame a contatto con il pistillo, e riuscì a fertilizzare manualmente il fiore. Davanti ai risultati del ragazzo, inizialmente Ferréol si mostrò scettico. Ma Edmond ripeté l’operazione ancora e ancora, portando alla costante apparizione di nuovi baccelli. In seguito Edmond intraprese un tour dell’isola, in modo da insegnare ad altri coltivatori la sua tecnica, dando così il via all’ascesa di La Réunion tra i grandi produttori di vaniglia (oggi il record mondiale della produzione è detenuto dal Madagascar). Meloni, manghi e uva pagati a peso d’oro: il caso giapponese e noi Eppure, nonostante il suo monumentale contributo, il merito di Edmond fu trascurato. Ferréol, pur lodando l’ingegno di Edmond in privato, si prese pubblicamente il merito della scoperta, ed Edmond fu destinato a fare il giardiniere, una posizione più “adeguata” per uno schiavo che solo nel 1848 fu affrancato. In quel momento Edmond, privo di un cognome come di un atto di nascita, prese il cognome Albius («più bianco» in latino): una scelta che voleva essere insieme un omaggio alla classificazione botanica e una «provocazione», perché lo indicava come qualcuno sempre fuori posto, ovvero «più bianco degli altri neri, sempre troppo nero per i bianchi». I pirati e il cacao, che una volta era un’esclusiva spagnola Dopo la libertà, privo di un impiego, Edmond finì in povertà e fu imprigionato per furto dal 1851 al 1855, quando fu graziato su ordine del governatore dell’isola, che si ricordò del suo caso mentre gustava un gelato… alla vaniglia. Edmond si trasferì quindi in una piccola casa di amici e, a 42 anni, si sposò con la ventiduenne Marie-Pauline Bassana, che morì meno di cinque anni dopo il matrimonio. Affranto e in miseria Edmond sopravvisse tra mille stenti, aspettando invano una ricompensa pubblica che non sarebbe mai arrivata. Morì nell’ospizio comunale di Sainte-Suzanne il 9 agosto 1880, a 51 anni. La sua morte passò inosservata e nessuna orazione funebre segnò la sua scomparsa, a dispetto del suo ruolo nella diffusione di un aroma seducente: quello di un frutto che oggi tutti associamo alla dolcezza e alla serenità, di cui Edmond non godette mai. [Missing Caption][Missing Credit]