«A meno che non si tratti di autori famosi o di specialisti in tale genere letterario, il pubblico rifiuta i libri di novelle». Già Dino Buzzati in un intervento del 1937 ci metteva una pietra sopra. Il racconto, specie in Italia, è una modalità figlia di un dio minore, praticata soprattutto dai futuri romanzieri per farsi le ossa (luogo comune: la palestra del racconto), oppure usata dagli editori per approntare antologie generazionali o tematiche, talvolta accozzaglie più furbe che intelligenti. E dunque che cos’è che proprio non va nel racconto o, meglio, nei libri di racconti?

Le ragioni del problema

La prima ragione del problema potrebbe essere tutta editoriale: un libro di racconti al contrario di un romanzo non si basa su un’unica idea forte, su una sola storia, e quindi è meno facilmente comunicabile ai mass media (e così si spiegherebbe il motivo per cui tante raccolte di racconti vengono stampate ma non promosse: raramente una raccolta di racconti può contare sul fervore promozionale che viene offerto a un romanzo).

La seconda ragione riguarderebbe invece la fruizione del testo: un libro di racconti chiede al lettore un’attenzione costante – ogni nuovo racconto implica una nuova partenza – quando invece un romanzo, stabiliti narratore, personaggi e atmosfera, si lascia leggere tutto d’un fiato (e perfino comporre tutto d’un fiato: un romanziere può stabilire il primo e l’ultimo capitolo e nel mezzo divertirsi a scrivere).

La terza ragione potrebbe essere storica. Nell’Ottocento, proprio nel secolo in cui la modalità romanzesca cominciò a porre le basi della propria egemonia artistica (oggi per multiple derive giunta al suo apice: la cosiddetta cultura bestsellerista), l’Italia ebbe un modello unico: Alessandro Manzoni.

E il controcanto italiano alla forma lunga invece s’incarnò nella poesia di Leopardi (una conseguenza, tra le possibili, di questa polarità: i racconti scapigliati arrivarono quando il grande ciclo europeo del fantastico si era pressoché esaurito).

La rivincita

Nonostante tutto, negli ultimi decenni un manipolo d’impavidi ha continuato a scrivere racconti, rinnovando una tradizione novecentesca che si è saputa mantenere costante nel tempo: a Pirandello e Bontempelli sono succeduti Landolfi, Calvino, Buzzati, i quali hanno aperto la pista per Tondelli e Tabucchi e Celati. Negli anni Zero abbiamo avuto e abbiamo Valeria Parrella, Giuseppe Zucco, Enrico Remmert e Michele Orti Manara (e nuove voci stanno comparendo, come sempre: Giorgio Ghiotti, Alessio Mosca, Gianluigi Bodi, Alice Sivo).

Anche tra le ultimissime uscite, il lettore che volesse provare a frequentare il modo breve troverebbe l’esordio di Anna Voltaggio per Neri Pozza intitolato La nostalgia che avremo di noi, il già blockbuster La vita è breve, eccetera di Veronica Raimo per Einaudi, e infine La meccanica dei corpi dello specialista Paolo Zardi per l’editore Neo. Non mancano neanche i grandi classici: Minimum fax manda in libreria Il geranio e altre storie, il primo libro di racconti di Flannery O’ Connor, che era stato anche la tesi di laurea dell’autrice; ne La strega di Shirley Jackson Adelphi racchiude tre short stories della scrittrice statunitense famosa per le sue atmosfere gotiche e spietate.

Proprio Adelphi, con la collana Piccola Biblioteca, è stata pioniera nel dare visibilità (e quindi smerciabilità) al racconto, spesso proponendo grazie al suo formato ridotto singoli testi altrimenti introvabili, spersi nel mare magnum delle antologie editoriali.

Una cosa simile l’aveva provata anche l’Einaudi, con la collana Centopagine ideata da Italo Calvino (furono settantasette i titoli pubblicati) e ripresa in parte negli anni Duemila dall’attuale L’arcipelago.

Libri di un solo racconto

La tendenza italiana più interessante è proprio quella di proporre un solo racconto alla volta. Sembra che diversi editori abbiano scelto di intraprendere questa via alla forma breve, sottolineando che il rilievo di un testo non si stabilisce in base alla sua paginazione (il valore di un’opera letteraria non aumenta necessariamente con l’aumentare del suo volume).

Sarebbe una manna dal cielo abituare il pubblico al piacere della lettura di racconti densi piuttosto che al consumo di romanzoni effimeri. Racconti edizioni, l’ormai storico marchio romano associato alle piccole narrazioni, ha appena lanciato una collana ad hoc che si chiama Scarafaggi, tra le prime uscite John O’ Hara Gert Hofmann, Dambudzo Marechera.

Stefano Friani, uno dei responsabili, spiega: «L’esigenza era trovare una collana a questi racconti lunghi che stanno sulla misura delle Centopagine calviniane e che col respiro del racconto riescono ad avere una dimensione quasi romanzesca. Abbiamo provato a superare la pluralità della raccolta di racconti che è sempre difficile da raccontare nei vari passaggi della filiera».

Altre sorprese

Sulla stessa lunghezza d’onda rispetto alla proposta di Racconti edizioni, c’è anche Industria & Letteratura, la cui collana L’invisibile è proprio dedicata al racconto, privilegiando inediti di autori italiani che sono già belle voci del nostro panorama: tra gli altri, Rossella Milone, Giordano Meacci, Rosa Matteucci, Davide Orecchio.

Il responsabile di collana Martino Baldi illustra la mission: «Rivendichiamo dignità per una misura che di solito è trascurata e che ha avuto un ruolo centrale nella tradizione della nostra narrativa; è quella che attualmente permette un maggior livello di sperimentazione e di libertà per gli autori, può essere un entry level delle scritture di qualità per lettori in evoluzione». Se ancora non bastasse, a occuparsi soltanto della brevitas c’è anche la collana Pennisole diretta da Dario Voltolini (a sua volta scrittore di racconti) per hopefulmonster editore.

Anche qui si possono trovare inediti di autori italiani, da Marta Cai ad Andrea Canobbio o Franco Stelzer, in quel passo ibrido da novella, sospeso tra racconto e romanzo. Voltolini delucida il lavoro artigianale che sta dietro a un progetto del genere: «L’esigenza di pubblicare singoli racconti nasce dall’avere un’idea che va lavorata dai suoi bordi verso il suo interno».

Tetra

Chiudiamo con il progetto forse più ambizioso, un’intera casa editrice che ha preso l’avvio proprio puntando tutto sulla pubblicazione di singoli racconti: Tetra. Da un’idea di Danilo Bultrini e Luca Verduchi, e con la direzione editoriale dello scrittore Roberto Venturini, il catalogo si compone come uno scioglilingua: il quattro del mese escono quattro racconti in formato quadrato di quattro scrittori diversi a un prezzo di copertina di quattro euro ciascuno. Tra le ultime uscite, Ilaria Gaspari, Giulio Mozzi, Michele Orti Manara, Antonio Moresco, Demetrio Paolin. Che sia questa la formula della felicità del racconto?

Intanto, in concomitanza coi lettori, vedremo la reazione dei principali premi dedicati al racconto a questa novità, il Premio Chiara, il Premio Fucini, il Premio Settembrini e il Premio Ceppo (sperando che anche i premi generalisti se ne accorgano: anzi, sarebbe auspicabile invocare un dossier finalmente di matrice letteraria e non ideologica che indicasse quante poche volte allo Strega o al Campiello abbia partecipato e vinto un libro di racconti).

Da parte nostra, i migliori auguri a tutti: è un’arte da equilibrista, quella della novella, fatta di sintesi estese e variazioni contratte. Consente di essere torniti e al contempo frastagliati, minuziosi ma non pedanti, descrittivi ma non manieristici, attenti osservatori della società ma non sociologi.

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