In Italia è una forma figlia di un dio minore, usata per allenarsi al romanzo o per raccolte più furbe che intelligenti. Nonostante ciò, un manipolo d’impavidi sta rinnovando una tradizione novecentesca che non s’è mai persa
«A meno che non si tratti di autori famosi o di specialisti in tale genere letterario, il pubblico rifiuta i libri di novelle». Già Dino Buzzati in un intervento del 1937 ci metteva una pietra sopra. Il racconto, specie in Italia, è una modalità figlia di un dio minore, praticata soprattutto dai futuri romanzieri per farsi le ossa (luogo comune: la palestra del racconto), oppure usata dagli editori per approntare antologie generazionali o tematiche, talvolta accozzaglie più furbe che intelligent



