Come tutti quelli che campano leggendo i libri, per distrarmi, dai libri, leggo i giornali. Le cose più divertenti che ho letto sui giornali sono le due fantastiche interviste fatte in sequenza nel giro di due settimane prima dal New Tork Times e poi dal Times a Andrew Wylie. Per chi non campa di libri: Andrew Wylie è il più importante agente letterario del mondo. Cattivo, collerico, spietato, è soprannominato The Jackal, lo sciacallo. «Ai vecchi tempi, quando non avevamo clienti, e quindi eravamo senza entrate, e quindi senza cibo, eravamo come persone che non hanno mangiato per settimane: si diventa allora un po’ aggressivi nel catturare un hamburger».

Rappresenta i diritti di Philip Roth, Salman Rushdie, VS Naipal, Vladimir Nabokov, Jorge Louis Borges, Saul Bellow, Roberto Bolaño, Albert Camus, Oliver Sacks, Raymond Carver, Philip K. Dick, Jack Kerouak, Yukio Mishima, Yasmina Reza, José Saramago, Susan Sontag, Dave Eggers, Karl Ove Knausgard, Hanif Kureishi, più recentemente Sally Rooney e Martin Amis. Tra i privilegiati italiani i diritti di Calvino, Bassani, Tomasi di Lampedusa, Tabucchi, Calasso. E poi Alessandro Baricco, Claudio Magris, Roberto Saviano, Antonio Monda, Renzo Piano. E altri 1.500 scrittori, «un campo di sogni», lo definisce Wylie, tra cui molti giornalisti del New York Times.

A David Marchese che lo intervista dichiara di avere costruito il proprio business esclusivamente sui libri degli scrittori che amava leggere. «Se rappresenti Orhan Pamuk e Sally Rooney e Salman Rushdie e Saul Bellow, Italo Calvino e Borges e Naipaul e Nabokov, e dici che quello che hai per le mani è un romanzo geniale, la reazione è, beh, potrebbe sapere di cosa sta parlando. Più forte è il contesto, più persuasiva è l’offerta».

La sua temibile reputazione, insieme al suo modo originale di fare l’agente, un mestiere di cui ha riscritto le regole e cambiato il paradigma (per esempio la sua attenzione allo sfruttamento del valore delle backlist degli autori e la sua determinazione a convincere gli editori a pagare grossi anticipi per lavori di alta qualità letteraria – maggiori di quanto le loro vendite avrebbero mai potuto recuperare) hanno contribuito a rendere Wylie una figura leggendaria nel mondo dell’editoria.

Ad esempio: Wylie convinse Norman Mailer ad affidarsi a lui spiegandogli che 12 dei suoi libri, pubblicati in 12 lingue, erano fuori catalogo e che se Wylie avesse potuto contribuire a generare anche solo 1.000 dollari di royalties ciascuno, ciò avrebbe creato un importante nuovo reddito per l’autore.

La telefonata di Roth

Wylie ha sempre pensato che i bestseller fossero sopravvalutati e le opere che duravano per sempre sottovalutate. Insomma parliamo del perenne scontro tra la letteratura e l’intrattenimento, tra l’alto e il basso. A 76 anni è infatti l'ultimo sopravvissuto di un'epoca in cui la letteratura alta, quella di qualità e non quella commerciale governata dal marketing, era il valore portante. Continua a pensare che i migliori editori sono persone che leggono libri e la cui comprensione primaria del business deriva da ciò che hanno letto nei libri piuttosto che da quello che hanno studiato sul budget alla Harvard Business School.

La sua agenzia ha due sedi: New York e Londra, i due centri nevralgici dell’editoria mondiale. Mitologia, fama e pettegolezzi hanno aleggiato intorno a Wylie per decenni. L’intervista del Times di Decca Aitkenhead si apre con l’aneddoto clamoroso di una telefonata del romanziere Philip Roth che chiama in agenzia. Risponde un membro dello staff di nome Andrew.

- Andrew? chiede Philip Roth.
- Sì.
- Ho scopato (nome della star del cinema di fama mondiale) ieri sera!

Rendendosi conto che il grande scrittore pensa di parlare con l'omonimo proprietario dell'agenzia, il giovane Andrew cerca invano di interrompere lo sfacciato resoconto, ricco di particolari rothiani, della conquista.

- Grazie mille, signor Roth, dice Andrew quando finalmente finisce. Mi assicurerò di trasmettere il messaggio al signor Wylie.

Insomma, tutto come in un esilarante racconto di sesso dell’autore di Pastorale americana e Il teatro di Sabbath.

Uno dei dogmi di Wylie è che gli editori si impegneranno davvero sui libri di qualità solo se li hanno pagati, e pagati cari, almeno quan­to i libri di intrattenimento. E che gli scrittori debbano avere il denaro necessario per stare a casa a scrivere e non pensare ad altro. Altra storia.

Nel 1995 Wylie scandalizzò Londra sottraendo lo scrittore Martin Amis all’agente e amica di lunga data dello scrittore, Pat Kavanagh la moglie dello scrittore Julian Barnes, suo carissimo amico. Wylie gli aveva garantito un anticipo da capogiro di 500mila sterline per il suo romanzo L’informazione. In Italia da Einaudi.

Un grandissimo libro sull’odio letterario tra due scrittori, ambientato nel mondo dell’editoria, con cui divertirsi per l’infinita meschinità di cui danno prova i due intellettuali mentre combattono una guerra senza esclusione di colpi, rosicando l’uno per l’altro. È l'affare che valse a lui il soprannome di Jackal, a Amis la fama di avidità e finì sulle prime pagine di tutti i quotidiani britannici e su dieci pagine di fila del New Yorker. Dopo la morte di Amis, avvenuta sei mesi fa, non si parlava ancora d’altro. E qui Wylie svela al Times un altro aneddoto piccante e divertente.

Durante le trattative per l’anticipo di mezzo milione di sterline racconta che Amis abbia protestato, sostenendo di non poter licenziare Pat Kavanagh. Che era la bellissima beniamina della Londra letteraria, sposata con il migliore amico di Amis, il romanziere Julian Barnes.

«Perché no?», chiese Wylie. «Beh, mio padre aveva una relazione con lei. E anch’io ho avuto una storia con lei». Il loro litigio fu la più grande storia letteraria a Londra negli anni Novanta.

Certo è facile essere sprezzanti nei confronti della narrativa commerciale quando i pochi romanzieri letterari che fanno soldi sono quasi tutti nella sua agenzia. Molti di loro sono ormai morti ma Wylie rappresenta i loro diritti e le loro eredità.

Chi invitare a cena

Va giù pari con la giornalista del Times: «Se è un bestseller, non siamo l'agenzia giusta. Vaffanculo.» Dice agli scrittori: «Se un libro che rappresentiamo diventa un bestseller, penso che non siamo gli agenti giusti per voi. Questo tipo di successo commerciale è ripugnante. L’elenco dei bestseller è un mucchio di letame e di ignoranza».

Wylie è un wasp di Boston. Studia a Harvard lingue e letteratura romanza. Se ne va nella edonistica New York, dove guida un taxi, apre una libreria, fa amicizia con Lou Reed e Andy Warhol, scrive poesie terribili, dorme in giro strafatto di droghe. Portava all’epoca una lunga capigliatura bionda. Wylie ha sempre amato l’Italia e tutte le cose italiane, da Dante a sua moglie Camilla.

La conosce su un volo da Boston a New York, dice che gli è capitato di sedere accanto a una tipica donna italiana di Brooklyn. Nipote di immigrati, gli sembrava il tipo di donna che aveva visto nei film di Scorsese. «Persone che non hanno soldi, né istruzione, che stanno lottando per farcela in un nuovo paese e che hanno allo stesso tempo quegli aspetti meravigliosi della natura italiana. La musicalità della lingua, la bellezza. E i forti legami familiari, che io non avevo». Sono sposati da 40 anni.

Wylie parla italiano, ha tradotto Ungaretti, che ha accompagnato nel suo ultimo viaggio americano. Nel libro Storia confidenziale dell’editoria italiana all’amico Gian Arturo Ferrari che gli chiede: «Ma come hai trovato i soldi per aprire l’agenzia?» risponde «Selling drugs, vendendo droghe». Poi racconta la vicenda di Rushdie, lo scrittore che ha subito un terribile attentato la scorsa estate.

Nel 1988 l'Ayatollah Khomeini, il leader supremo dell'Iran, ha emesso la fatwa che chiedeva la morte di Rushdie per il suo libro accusato di blasfemia Versetti Satanici, ma colpiva anche i suoi editori e il suo agente. Racconta con sarcasmo di non aver preso alcuna misura di sicurezza per proteggersi: «Non abbiamo nemmeno chiuso a chiave la porta d'ingresso dell'ufficio finché un giorno finalmente ho ricevuto una minaccia di morte. A differenza dell'editore americano di Rushdie, che spaventato ha assunto tre guardie del corpo armate». A Segrate, da Mondadori, l’editore italiano di Rusdhie, fu istituito un checkpoint che è ancora in vigore.

Wylie afferma poi di non sapere nulla tranne che di libri. È la ragione per cui non socializza mai. «Non so proprio cosa dire alla gente se non sto parlando di editoria» ma quando viene pressato rivela chiaramente qualcosa di più che un interesse passeggero per la politica. «Credo che Joe Biden vincerà le prossime elezioni. Se Trump vincesse, penso che in questo Paese accadrebbe l’inimmaginabile. Significherebbe la fine dell’America come democrazia liberale funzionante».

Non ha intenzione di andare in pensione, ma dice che il giorno in cui verrà investito da un autobus, sarà Sarah Chalfant, che gestisce l'ufficio londinese dell'agenzia, a prendere il suo posto. Non segue i social, se ne frega di TikTok e di Chatgpt convinto che non potrà mai scrivere una pagina di Rushdie.

E al New York Times sintetizza così il suo lavoro: «L'obiettivo delle persone che rappresentiamo non è essere Beyoncé. Non è collegato alla popolarità. Diciamo che stai invitando alcune persone a casa tua per cena. Vuoi che arrivino tutti? Oppure preferisci un numero selezionato di persone intelligenti che si divertano a parlare con te e capiscano di cosa stai parlando? Certamente la seconda soluzione. Ci sono molte persone che preferisco non partecipino alla mia cena. Meritano di vivere, certo, di leggere e mangiare spazzatura, ma non c’è alcun bisogno che vengano a cena a casa mia».

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