- Che il genere (maschile, femminile) sia una costruzione performativa era cosa chiara agli spettatori elisabettiani abituati a vedere in scena attori (uomini) interpreti di ruoli femminili che, per ingannare altri personaggi, si vestono da uomini.
- Come in teatro, anche all’opera il genere che conta (se e quando conta) non è quello dell’interprete, ma quello costruito dall’interprete, con la voce e con il corpo, per il personaggio.
- Che l’incisiva bacchetta che ha magnificamente sviscerato i chiaroscuri della densa partitura dei Capuleti e i Montecchi sia stata quella di Speranza Scappucci, prima donna a dirigere in Scala un’opera di repertorio, ci ricorda che anche il direttore d’orchestra è un ruolo e non un’identità di genere. Clicca qui per iscriverti gratuitamente alla newsletter e segui tutti i contenuti di Cose da maschi.
Il fatto che nella versione italiana degli Aristogatti (1971) il protagonista maschile si chiami Romeo ha varie implicazioni: il fulvo gatto di strada ricorda i gatti che popolano i luoghi più pittoreschi di Roma, e l’accento romanesco (“Romeo, er mejo der Colosseo”) lo caratterizza come piacione, buono e premuroso, per carità, ma pur sempre piacione (forse vittima inconsapevole di un sistema in cui la performance di genere compensa le insicurezze dell’individuo?). Ma se il nome evoca Roma, l



