«Non c’è bisogno che ti invergognisci», dice Rosario a Lucia. Il viaggio nei sentimenti della coppia è tecnicamente finito, ma questa edizione molto fortunata di Temptation Island ha ridotto i tempi della messa in onda, spalmando le puntate su più giorni e smantellando definitivamente il concetto di “happily ever after”. Falò dilazionati, colpi di scena a trama conclusa, regolamento che cambia a seconda dei concorrenti, scherzi architettati dai concorrenti per diventare loro stessi padroni del racconto: più che un reality, se così vogliamo definirlo ingabbiandolo nella cornice del genere, sembra un esercizio di scrittura creativa basato sul saggio di un formalista russo.

Rosario e Lucia, che avevano trovato la quiete dopo la tempesta ormonale da flirt marittimo con magliette fine e piccoli grandi bicipiti, aggiornano il discorso amoroso di Temptation con un nuovo frammento, l’invergognimento. Del resto, di cosa è fatta la visione del programma-ariete di ascolti targato Fascino se non di attesa dello strafalcione da trasformare in tormentone? Tribuna Posillipo, «percorso psicologico importante», i caffè nei parcheggi, la città neutra, gli immancabili sottotitoli che ci ricordano quanto sia ancora giovine la nostra Italia.

La stagione del riposo è morta

Trenta percento di share, quattro milioni e passa di spettatori in piena estate, il periodo dell’anno in cui nel Novecento ce ne andavamo in villeggiatura con le parole crociate sotto al braccio, l’olio abbronzante e il cuore pieno di combustibili fossili, impassibili al palinsesto estivo. Ora Temptation squarcia il velo di Maya e il pareo di Sonia, mettendoci davanti agli occhi la triste verità che ci soffoca insieme al caldo torrido: la stagione del riposo è morta. E in un anno in cui persino i tormentoni musicali, che fino a poco tempo fa tentavano quanto meno di fregarci col placebo delle ferie e dei racchettoni in spiaggia, è chiaro a questo punto che l’unica vera hit, la Macarena del venti-venticinque, sono le corna.

Lo sono a partire dalla vicenda che ha animato il globo in un dibattito degno di Foucault, sorvegliare e punire con l’umiliazione di massa, sul tradimento sgamato dal grande occhio di Chris Martin al concerto dei Coldplay. Il Ceo e la capa dell’Hr, qui il lessico si fa beppesaliano, colti in pieno dalla kiss-cam che realizza il sogno perverso di Jeremy Bentham e ci mette tutti dentro al grande Panopticon della viralità, noi che siamo diventati i Re Mida delle risate, trasformando in meme qualsiasi cosa ci passi tra lo scrolling.

Figuriamoci poi se si tratta anche di un adulterio tra capo e responsabile delle risorse umane in posa da Titanic sulle note sdolcinate di Fix you. E quando gli Stati Uniti sparano, noi rispondiamo con un altro Martin(a), o meglio, Marti, la protagonista dell’affaire Bova insieme a Dede, l’erede d’oro della Milano bene, e Fabri, che col suo Falsissimo ha reso il gossip great again. Occhi spaccanti, lenzuola profumate, discorsi filosofici, il quadrilatero meneghino non della moda ma delle corna è chiaramente ciò di cui ci ricorderemo quando penseremo con leggerezza all’estate del 2025, visto che di Baby K e Boomdabash non c’è molta traccia.

Dal verde al giallo

Insomma, Temptation sta al trend di questa stagione come Charli xcx stava a quella della precedente, se il verde brat aveva colorato lo spirito del 2024, il giallo della gelosia tinteggia le pareti di questa stanza dentro cui non si sente l’armonica che suona ma solo urla, calci alle sdraio e soliti lanci di acqua Vitasnella. «Comunque #TemptationIsland2025 è magnetica... forse perché le corna le abbiamo avute tutte/i» scrive Antonellina Clerici su X, unendosi al coro di giubilo per il format che, senza bisogno di estorsioni o telecamere guardone sul pubblico, mette in piazza tutto quello che avremmo voluto sapere sul tradimento ma che non abbiamo mai osato chiedere e che grazie agli Rvm sui tablet possiamo esperire a distanza di sicurezza.

Perché sì, ha ragione Clerici, le corna sono un accessorio che abbiamo imparato a portare praticamente tutti, ma c’è anche un altro elemento fondamentale in questo tour de force nel baratro dei sentimenti, anche detto “viaggio”: l’osservazione distante dello sfascio emotivo. La visione distaccata delle relazioni che, quando non sono le nostre, sono uno spasso da giudicare, soprattutto quando si parla di rotture. È il sentimento del contrario pirandelliano applicato alle derive sentimentali che la coppia stimola nei suoi osservatori, quando tutto, a partire dal modo in cui i soggetti coinvolti si parlano e finendo con le intenzioni esistenziali quasi sempre divergenti, urla: lasciatevi, e quelli non si lasciano, anzi, si sposano.

Da questo punto di vista, Temptation potrebbe essere il miglior deterrente per la famiglia tradizionale e la monogamia, ma chi di noi, spettatori e no, non si è mai trovato in una situazione in cui rompere era la cosa più giusta ma anche la più difficile? Moriremo tutti democristiani, sì, ma anche sottoni.

Gli spagnoli avranno Montoya, il concorrente dell’edizione iberica diventato famoso per il suo scatto da Usain Bolt verso il villaggio della fidanzata che copulava spensierata in diretta televisiva con un altro, ma noi abbiamo i napoletani, scrivono su X commentando l’incredibile proposta di matrimonio avvenuta durante una delle ultime puntate. Antonio, che ha finto un attacco di colite per dare più suspance alla sua proposta scritta coi bengala durante il falò di confronto, è passato dal rotolarsi nella disperazione più totale tra i sassolini della spiaggia, lanciando qualsiasi cosa avesse tra le mani e anatemi del calibro di «vergogna!» alla sua partner Valentina, al “m’vuoi spusa’?”. Verrebbe da dire, e lo dicono in tanti, soprattutto gli avventori casuali del programma, non può essere vero, non è possibile che siano storie reali.

Non è possibile che Sarah e Valerio, personaggi mocciani con la Lazio che fa da sfondo, cinque anni insieme, si lascino in televisione per colpa di Ary, la tentatrice acqua, sapone e Aquila che seduce il ragazzo con le ali tatuate sul collo a suon di dolci frasi biancocelesti, non sarai mai sola. La loro storia, oltre a una canzone de I Cani, sembra uno sketch delle Eterobasiche, Maria Chiara Cicolani e Valeria De Angelis, che sulla pischellitudine laziale da Ponte Milvio, viaggetto ad Amsterdam con la comitiva e massime come «se ho fatto questo è perché so’ arrivato a fa’ ‘sta cosa», frase pronunciata da Valerio, ci hanno fondato un vero e proprio genere comico.

Queen Mary

Ma se davvero fossimo davanti a una sceneggiatura recitata dall’inizio alla fine, con tanto di conclusione in stile Orfeo ed Euridice, Valerio che si gira per un’ultima volta a guardare Sarah prima di prendere la sua strada, in un fiume di lacrime e in un abuso costante del termine “percorso” – «ripercorrere il percorso», «percorso a step», «prosegue il percorso con quella tematica», giusto per citare qualche uso creativo della parola che fa da sostanza ontologica e narrativa del format insieme alle espressioni «mettersi in gioco» ed «essere sé stessi» –, allora vorrebbe dire che i migliori sceneggiatori italiani sono resuscitati, e con loro la commedia.

Rodolfo Sonego, Age e Scarpelli, Suso Cecchi D’Amico, Cesare Zavattini non sono morti, si sono reincarnati in un autore di Maria De Filippi. Così anche Monica Vitti, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi, non sono spariti, sono diventati ragazze con le sopracciglia laminate e l’aspetto da trainer della Virgin e ragazzi con tagli di capelli sfumati e caviglie rigorosamente scoperte sui mocassini con la para alta, tutto avvolto da una nuvola di fumo iQOS.

La commedia all’italiana è viva e noi non lo sapevamo, accecati dagli occhioni di Pilar Fogliati e dagli sguardi colpevoli di Edoardo Leo, pensavamo che la rom-com fosse roba per anglosassoni e che i fasti delle anatre all’arancia e delle ragazze con le pistole fossero ormai belli che andati, mentre in un resort calabrese un gruppo di scrittori metteva in scena il disastro comico dell’amore annoiato, spento o tossico, come usa dire di questi tempi e non per citare Caligari.

«Vogliati bene» dice triste l’avvocata Sonia salutando il suo fidanzato Alessio, e mentre Rosario si invergognisce per aver scoperto che la sua compagna ha davvero continuato a flirtare con il tentatore anche dopo la fine del programma, noi spettatori sghignazziamo ogni volta che possiamo segnalare un inciampo linguistico o emotivo, commentando come Bergomi e Caressa lo scatafascio dei sentimenti altrui. Non può essere tutto vero, e infatti non lo è, ci sono spinte, suggerimenti, c’è il montaggio, che fa da solo il lavoro di cento Muccino, c’è la colonna sonora ironica, e c’è il fatto che sempre di un racconto stiamo parlando, e in quanto tale ha un punto di vista.

Non è un documentario in stile National Geographic sul comportamento umano, anche se alcuni concorrenti come Simone, viste le dichiarazioni sul terrapiattismo e altre interessanti teorie, lasciano spazio a profonde elucubrazioni antropologiche, e non è neanche “lo specchio del paese”, come qualcuno ama definirlo, dando a Canale 5 il ruolo dell’Istat.

È un conglomerato di realtà aumentata, un ritratto massimizzato di situazioni familiari; è la versione dopata di Instagram, Facebook e tutti quegli altri posti dove sguazziamo nei fatti degli altri, dove la rappresentazione è sì basata su elementi reali, ma anche fortemente influenzata dal piglio autoriale che ciascuno può dare al suo personalissimo storytelling, figlio della gigantesca fabbrica di racconto dentro cui ci siamo infilati, kiss-cam fatali e Fabrizio Corona annessi. Insomma, Temptation Island è il metaverso, e questa estate, in carenza di altre necessarie distrazioni, ci siamo caduti con tutti i piedi.

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