Dai tempi della Dark Polo Gang ha saputo costruirsi la carriera diventando divisivo: adorato dai coetanei, odiato dai loro genitori. Adesso però ha superato i trent’anni e forse ha in mente di cambiare qualcosa del suo personaggio
Si può partire da tanti punti di vista per raccontare Tony Effe: dalle polemiche che lo hanno sempre accompagnato, dall’esclusione al concerto di Capodanno a Roma, dalla sua rivincita con il contro-concerto auto-organizzato, dal dissing con Fedez (vero o finto?), dalle associazioni contro la violenza sulle donne che ne criticano i testi. Ma va considerato anche un fatto: che il suo secondo album da solista – Icon – è stato il più venduto del 2024 e ha ottenuto il quadruplo disco di platino.
Basta questo, il successo, per ripararlo da tutte le polemiche? Assolutamente no, e difatti continua a esserne investito, ed è probabile che lo sarà ancora durante la settimana di Sanremo. Anzi, c’è da dire che proprio a grandi successi si accompagnano grandi responsabilità.
Ma poi… e se fosse proprio questo il momento della maturità di Tony Effe? L’attimo in cui decide di abbandonare la sua immagine un po’ stereotipata da teppista, per diventare qualcosa di più strutturato e dunque interessante? Qualche indizio lo si intravede in alcune interviste recenti, sicuramente più accomodanti rispetto al passato.
Questo non significa affatto rinnegare il passato, ma semmai svelarne il trucco: raccontare la violenza non significa per forza essere violenti.
Scontri generazionali
Tony Effe d'altronde sembra essere fatto per essere incompreso, fin dagli anni della Dark Polo Gang. Il gruppo era costruito per piacere ai giovanissimi, e agli adolescenti in particolare. E per terrorizzare i loro genitori.
La loro forza stava probabilmente proprio in questo. I ragazzi di quell’età hanno bisogno di simboli che li rendano unici. Qualcosa che li faccia riconoscere come parte di un gruppo, di una gang appunto. E se tutto questo non viene compreso dagli adulti, tanto meglio. Anche perché è questo che si cerca a quell’età.
Uomo italiano
Poi però capita di crescere e capita talvolta di fare a patti con sé stessi e la propria ribellione. Tony Effe ha ormai 33 anni e certi atteggiamenti da gang sembrano ora meno credibili. Anche i suoi fan del tempo sono intanto cresciuti.
E così ha senso e si capisce anche l’operazione Sanremo, come un tentativo di cambiare un pochino la propria auto-narrazione, senza però sconfessarsi. Lo fa con un omaggio alla sua città, Roma, un po’ come Geolier un anno fa aveva omaggiato Napoli (con tanto di innesti in romanesco, a partire dal titolo Damme ‘na mano).
«Sono il classico uomo italiano», canta a un certo punto. «Amo solo mia madre Annarita». E se Tony Effe avesse deciso di diventare un po’ più Nicolò Rapisarda, un po’ più uomo e un po’ meno personaggio? E soprattuto è un’operazione credibile, o ormai il personaggio e l’uomo sono la stessa cosa?
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