- “Prato”, per me che amo i concerti, è una parola bella perché, quando è scritta sul biglietto, accanto a “settore”, dà diritto ad accedere al luogo più emozionante da cui assistere.
- È da quattordici mesi che non vado a un concerto: da quando è scoppiata la pandemia la tecnologia ci ha permesso di tirare avanti, ha tappato tanti buchi ma i concerti no, sono rimasti una voragine aperta.
- L’esperienza della musica dal vivo non si può materialmente surrogare perché, appunto, di materia è composta. Oltre che di watt e vibrazioni: di spazio, contatto, odori, temperatura. Soprattutto di carne e ossa. «La gente voleva vedere il corpo», ha detto Lou Reed.
Torneranno i prati? Me lo chiedo da amante dei concerti. Di ogni genere, ma soprattutto rock. “Prato”, per me che amo i concerti, è una parola bella perché, quando è scritta sul biglietto, accanto a “settore”, dà diritto ad accedere al luogo più emozionante da cui assistere: il prato (o il parterre, o la platea, insomma tutto ma non gli spalti). È una lezione che ho imparato fin dall’inizio della mia carriera di spettatore: ancora non lo sapevo il 9 luglio del 1993, il primo concerto della mia



