Curioso e originale libro d’esordio questo Poco mossi gli altri mari di Alessandro Della Santunione, edito da Marcos y Marcos. Immaginatevi una casa situata in un paese di provincia con qualche migliaio di abitanti. E immaginatevi anche una famiglia al completo che va ad abitare in quella casa. Fin qui sarebbe tutto normale. Ma che cosa succederà in quella casa? In seguito a qualche misterioso sconquasso vitale che la voce narrante non ha voglia di spiegare «mio padre decise che avremmo adottato uno stile di vita socialdemocratico patriarcale di sua progettazione. Questo ci avrebbe permesso di ottimizzare le risorse individuali e non disperdere, a suo dire, un non meglio specificato patrimonio».

Tra le tante conseguenze che questa decisione avrebbe potuto avere, quella che si realizzerà è la più strana e inaspettata (se esistesse la parola, bisognerebbe dire “inaspettabile”). «A seguito di questa decisione, che prendemmo tutti molto seriamente, però non morì più nessuno. Sempre a causa di questa bizzarra e da mio padre non prevista conseguenza, l’appartamento dove ci trasferimmo a Campogalliano in via Ori 14, per quanto spazioso e di architettura comunista, cominciò a rimpicciolire».

Uno dei primi problemi è proprio questo, la necessità di ristrutturare e per esempio da un ambiente ottenerne due: «Da una stanza più un bagno avevamo ricavato due bagnetti più un ripostiglio, da un corridoio e un ingresso due stanze con soppalco (e una finestra abusiva), da mezzo balcone una cucina e via discorrendo».

Questo progetto di restare uniti in una stessa casa per tre generazioni, infatti chi narra ha genitori, zii, bisnonna e nonni (soltanto materni sembra, i nonni paterni, considerando la cosa una pazzia, sono restati a vivere per i fatti loro), è spesso di faticosa gestione, anche perché ci sono i fidanzati e le fidanzate della generazione più giovane, e a volte continuano a frequentare la casa anche degli ex fidanzati. Le donne protestano: certe domeniche si trovano a dover cucinare per trenta o quaranta persone. Per di più al nonno fa schifo la plastica, perciò bisogna mangiare in piatti di ceramica bianca e in robusti bicchieri di vetro. E a parte questo, certi giorni sembra di soffocare, anche se nessuno si lamenta.

L’ispettore dell’Inps

Sono le pensioni di genitori, zii, nonni e bisnonna a sostenere l’economia della famiglia. Essendosi disabituati alla morte tutti tirano un po’ a campare. I primi ad accorgersi che c’era qualcosa di strano sono stati quelli dell’Inps, che hanno mandato un ispettore. La bisnonna ormai ha centoquarantadue anni e gli altri membri anziani della famiglia sono tutti ultracentenari. «L’ispettore medico non ha rilevato comportamenti fraudolenti o attività illecite. “Per il momento non riscontro anomalie” ha detto “sono evidentemente casi di fine vita molto dilatati … se dovessero persistere vedremo cosa fare ma non vedo elementi per cui si debba rivedere l’attuale quadro pensionistico».

Com’è una vita senza che ci sia più la morte all’orizzonte? Per noi, così abituati a morire, è un po’ difficile da capire. Alla nonna a un certo punto capita di ammalarsi, per questo motivo si fa subito ricoverare all’ospedale e il narratore va spesso a trovarla: «Mi ricordo che anche mio nonno andava a trovarla e poi un giorno ha perso la pazienza, “Cosa ti ammali a fare?” le aveva detto “Cosa ti ammali a fare che tanto non moriamo? È tempo perso, non lo capisci?” E anche se questa cosa mia nonna non la capiva bene come la capiva lui, in ogni caso dopo è tornata a casa».

Delle volte, uscendo fuori, il nostro narratore incontra in paese qualcuno a cui è appena morto un congiunto. Se sono persone che conosce bene ci si ferma a parlare, li abbraccia e prova a consolarli: «Magari dico che mi dispiace perché lo so cosa significa perdere qualcuno ma poi ci penso e devo ammettere che non è vero, io non me lo ricordo com’è. È passato tanto tempo che l’ho dimenticato. Ho un vago ricordo di quei lontani parenti che morivano per primi, quelli con cui ci esercitavamo alla morte pian piano, vedendoli morire uno alla volta».

Che cos’è la vita?

Loro adesso invece si sono disabituati alla morte, e tutto questo non morire, mentre tutti gli altri continuano a farlo, nel tempo li fa sentire più soli. Come se il tempo potesse diventare spazio, questo non morire diventa equivalente a andare a vivere in un altro continente, molto lontani. Nel continente di prima, quello dove la gente muore, proprio perché la gente muore, tutto cambia. Sembrerebbe quasi che nell’altro mondo, quello in cui ancora si muore, ci sia la vita. E che cos’è la vita? La vita forse sarebbe quella cosa che la nonna incontra ogni tanto, quando va fuori a far la spesa, e torna, e dice ho incontrato il figlio dell’Ada.

L’Ada chi? Le chiedono. Quella che stava a Panzano, dai, «quella che ha tenuto a battesimo tua madre, da giovane faceva l’amore con Sghedoni, quello che è morto al curvone di San Martino, che disgrazia, l’Ada ha avuto un dispiacere che diceva che voleva morire anche lei, ha tanto pianto, per fortuna che era ancora giovane e dopo è andata avanti, te lo ricordi suo marito? Setti, aveva un cane nero che mordeva tutti, ha morso anche il sindaco una volta. Un brav’uomo Setti, suo figlio è uguale, è venuto vecchio, mi han detto che ha dei problemi di cuore ma lo segue Corradini, è bravo Corradini ha studiato tanto, era a scuola con tua sorella e aveva anche un debole per tua sorella … comunque l’Ada quanti anni è che è morta? È morta presto». Ecco forse che cos’è la vita. Vien voglia di uscir di casa a far due passi e fumarsi una sigaretta.

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