Come ogni romanzo si legge dalla fine, così accade per la vita di un uomo. Vista oggi dalla specola del suo funerale. Un rito che normalizza, rende solenne e addirittura sobria, per contrasto alla sua vita, la fine di Berlusconi. Un paradosso, una capriola semantica rispetto alla parabola di una biografia eccessiva, e piena di eccessi, che accade grazie alla lingua ritualizzata della religione, quella che meglio conosce e sa maneggiare i segni che dicono la morte.

Non ce l’ha fatta Silvio Berlusconi a fare il presidente della Repubblica, se mai ha creduto di poterlo fare, ma ne ha avuto per metonimìa il funerale. Gli apparati simbolici sono quelli della costruzione semiotica di un padre della patria. Nessun ex premier ha mai avuto un funerale del genere. Il giorno dopo di quando, 39 anni fa, Giorgio Almirante partecipò al funerale di Enrico Berlinguer.

Presenze

A Milano. Sempre sottorappresentata nel racconto della politica italiana. Nel salotto buono, in Duomo, di quella borghesia milanese che ne ha sempre diffidato. Un funerale postmoderno. Da Max Allegri a Viktor Orbán. Da Gad Lerner ad Alba Parietti.

Con Giorgia Meloni c’è tutto il governo; ma c’è anche Elly Schlein, elegantissima in tailleur nero, e poi Franceschini, Emiliano e De Luca. La Russa ed Emanuele Filiberto. Gerry Scotti. Monti e Draghi. Maria De Filippi, l’unica in bianco, e Barbara D’Urso: le regine incontrastate del racconto assieme trash e balzacchiano della tv commerciale.

La sua migliore invenzione. Quella che ha rotto il monopolio televisivo e squadernato il paese con la sua egemonia sottoculturale. I giocatori del Milan, i manager e gli industriali. Iva Zanicchi, Ilary Blasi. Volti televisivi, labbra rifatte, che alludono all’estetica dei corpi cara al capo, nel culto del suo corpo.

Qualcuno diceva immortale. Ma ci ricorda l’Apocalisse, sulle note di Mendelssohn, beati i morti che muoiono nel Signore. Icastico e, impressionante nella sua dolente fissità, il volto antico di Marta Fascina, lo sguardo commosso e fisso rivolto alla bara, lo chignon biondo, l’abito blu castigato, come sempre, in opposizione a tutta la precedente semiotica del femminile preferita da Berlusconi.

Necrologi

C’è anche Francesca Pascale, assieme sobria e sbarazzina in nero. E Veronica Lario, grande spina nel fianco con quella lettera a Repubblica, che Pietrangelo Buttafuoco attribuisce a Ezio Mauro, in cui da moglie si dissociò, divenne vestale e eroina dell’antiberlusconismo e provocò effetti politici internazionali.

Elvira Dall’Oglio, la prima moglie, madre di Marina e Pier Silvio, già l’aveva salutato con molto affetto nel primo necrologio pubblicato dal Corriere: ricorderò per sempre la bellezza degli anni trascorsi insieme. Chapeau. Una gran signora.

Da due giorni il Corrierone pubblica paginate di necrologi per Silvio, che entra anche da qui nel salotto della borghesia milanese, ma di nuovo lo scompagina. Anche da qui la visuale è quella del postmoderno. Ci sono Boldi, Banfi, quelli dell’Einaudi e De Benedetti. C’è addirittura la prima puntata di un annuncio situazionista di un grande regista, Luca Guadagnino, e di un direttore artistico come Carlo Antonelli. Quando la seconda?

I figli stanno uniti, stretti vicino a Fascina, a sfidare, composti e eleganti, chi spera di vederli litigare nel prosieguo di Succession a Milano. Ieratica, chicchissima, Eleonora col cappello e la veletta.

Il presidente

E poi Mattarella che porta in dote l’applauso che lo riceve. È la pietra tombale di quella opposizione tra berlusconismo e antiberlusconismo di cui è stata succube, e vittima, soprattutto la sinistra. Mattarella si dimise da ministro per protesta contro il decreto sulla tv che salvò Berlusconi. È memoria vivente della lotta alla mafia e fratello di chi ha pagato con la vita.

Senza retorica né reticenza il vescovo di Milano Mario Delpini fa un’omelia irrituale, potente e laica, imperniata sugli assi semantici di vita, amore e gioia. Non risparmia nulla nella sua ricognizione tra la vita e la resa dei conti. Ora tocca a Dio. Fuori, i tifosi di Milan e Monza gridano: «un presidente!».

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