Parliamo di podcast. Anzi di un podcast di un solo episodio appena pubblicato da Chora Media, il maggiore editore di podcast italiano. È un podcast singolare e importante. Tratto da un testo di Éric Fottorino. È un racconto aspro e sconvolgente che spinge a riflettere, a indignarsi, ad agire. Isola di Lesbo, un misterioso viaggiatore incontra un pescatore scoprendo che sul suo bancone sono in vendita corpi umani. Il mercato è fiorente, ne nasce un dialogo scabroso e violento. Che riflette come uno specchio le nostre rinunce di fronte a un dramma quotidiano nel Mediterraneo e ci costringe al confronto con la nostra cattiva coscienza.

Scrittore e giornalista francese, Fottorino è stato direttore di Le Monde tra il 2007 e il 2010. È uno di quelli che amano la carta stampata, così nel 2014 ha fondato il settimanale Le 1 hebdo che si compone di un solo grande foglio di carta, ripiegato in tre, e che affronta in ogni numero un solo argomento da diversi punti di vista e con diversi linguaggi.

Il settimanale è stato un grande successo da cui sono nate altre pubblicazioni periodiche come Zadig e Légende. È autore di romanzi pubblicati dall’editore Gallimard. Nell’ultimo, Mohican, racconta lo scontro tra generazioni di agricoltori francesi nell’attualità della crisi climatica. In Italia sono pubblicati i suoi Baci da cinema e Piccolo elogio della bicicletta.

Il suo podcast si intitola La pesca del giorno e, come detto, racconta il dialogo tra due emblematici personaggi. Da una parte lo strano pescatore dell’isola di Lesbo che vende i corpi dei migranti annegati, dall’altra un suo ipotetico e misterioso cliente, alter ego del cittadino europeo medio, cinico, perché indifferente e disinformato, ma che nel confronto brutale con il pescatore, in un crescendo di malessere e di interrogativi, troverà i sensi di colpa che sfociano in un naufragio umano collettivo.

In questo dialogo Fottorino mette in scena la somma delle nostre indifferenze personali e delle nostre impotenze collettive rispetto al dramma dei migranti che cercano di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo.

È il suo j’accuse che spinge all’indignazione e tende a una presa di coscienza collettiva per ritrovare un’umanità perduta. Ho chiesto a Éric Fottorino di scrivere un testo in cui ci racconti cosa ha fatto e perché. (Beppe Cottafavi)


Era una sera di giugno del 2021. Dopo una lunga giornata di lavoro, verso mezzanotte, ho spento il pc e la lampada della scrivania per andare a dormire. In quel momento, nel buio, tre parole hanno attraversato il mio spirito. Tre parole che non volevano dire nulla, incomprensibili, ma che mi impedivano di arrivare al letto, come se avessi tre pietruzze nelle scarpe.

Sono ritornato alla scrivania, ho riacceso la luce e riaperto il pc. Quelle tre parole non le ho dimenticate. Dicevano: lo yemenita è più fine della palamita. Seduto di fronte allo schermo blu, cupo come il Mediterraneo di notte, ho aperto una pagina bianca e le mie dita hanno cominciato a muoversi sulla tastiera. Non avevo previsto nulla, non avevo nemmeno riflettuto, mi sono messo a scrivere questo testo che risultava spaventoso anche a me che ne ero l’autore e al tempo stesso il primo lettore.

Uno strano dialogo

Come direttore del settimanale Le 1 hebdo, che avevo fondato nel 2014, ho dedicato spesso interi numeri ai migranti, alle loro sofferenze, ai respingimenti di cui sono vittime in Europa, alle ecatombi marittime che chiudono percorsi terribili di uomini, donne e bambini che scappano da guerre, persecuzioni e torture. Ho pubblicato racconti, reportage, ritratti, analisi, interventi, testimonianze di scrittori, operatori umanitari, poeti, come quello di Marguerite Yourcenar scritto nel 1953 sui migranti di Lampedusa. Quella sera di giugno non avevo previsto di scrivere su questo tema prima che quelle tre parole mi attraversassero lo spirito come degli uccelli neri.

E quando mi sono trovato di fronte allo schermo, mi è venuto un dialogo. Soltanto un dialogo tra uno strano pescatore e uno strano cliente, a Lesbo. Il pescatore aveva un bancone ricolmo di mercanzia. Dei pesci? Dei pesci umani, in un certo senso. Dei naufraghi, maliani, sudanesi, afghani, che lui ripescava dal mare prima di prepararli per consumatori golosi della loro carne. All’alba avevo finito. Non riuscivo a dire che cosa avevo finito, quali erano state le mie intenzioni, che senso aveva davvero questo dialogo macabro e cinico tra due personaggi che erano nati quella notte dalle mie dita. Ho lasciato questo testo dormire due mesi nella memoria del mio pc. Ma ero io che non riuscivo più a dormire. Cosa avevo scritto? E soprattutto, perché un testo così scioccante mi era sgorgato dal di dentro? Fatta la riflessione e rileggendolo alla fine dell’estate – sorpreso e colpito come se lo vedessi allora per la prima volta – ho pensato che era la sola risposta possibile, la mia sola risposta possibile.

A cosa? A un sentimento impastato di collera e di impotenza di fronte a quello che stavamo diventando in Europa: dei popoli cannibali che divoravano i migranti indesiderabili lasciando fare il lavoro sporco al Mediterraneo. Venticinquemila morti in vent’anni tra le due rive del Mare Nostrum. I nostri paesi hanno inventato la legge della non accoglienza, della non solidarietà, hanno istituito sanzioni penali per quelli che vanno in aiuto ai disgraziati che attraversano raggelati le Alpi italiane e si ritrovano in bue jeans strappati, t-shirt e scarpe di tela a temperature di meno 20. Vietato aiutarli.

Allora la mia fantasia ha immaginato il peggio. Che non è molto lontano dalla realtà. Un traffico di migranti morti. Come proponeva Jonathan Swift nel 1729, nel suo pamphlet Una modesta proposta, che le famiglie povere di Dublino, avendo troppe bocche da sfamare, vendessero i loro piccoli ai ricchi borghesi che ne apprezzavano la tenera carne.

Il deserto di Atacama

Non l’ho subito pubblicato in Francia. Prima l’ho inviato a giornalisti italiani e spagnoli che rispettavo, perché la questione migratoria è molto sentita nei loro paesi. È così che Cesare Martinetti, con molta generosità e talento, si è proposto di tradurre quello che sembrava una pièce di teatro a due voci, prima di recitarlo lui stesso con un attore il primo dicembre a Torino al Circolo dei Lettori. La Pêche è poi stata pubblicata in spagnolo e catalano in un magazine di Barcellona.

Il 15 dicembre il testo è uscito in Francia sul mio settimanale Le 1 ed è stata subito una grande emozione. Al punto che il grande attore di teatro Jacques Weber, celebre per le sue interpretazioni di Cyrano e re Lear, ha voluto leggerlo in scena. Cosa che ha fatto per tre mesi, a Parigi, al teatro del Rond Point, insieme alla giovane attrice Lola Blanchard. Abbiamo associato alla rappresentazione la ong Sos Méditerranée alla quale sono andati gli incassi di tutte le serate, finanziando così una giornata di salvataggi. Una goccia nel mare, quasi impercettibile, che però ha permesso agli spettatori che avevano acquistato il biglietto di sentirsi un po’ meno impotenti di fronte al dramma dei migranti. Molte sono state le reazioni, molte città francesi e scene teatrali hanno programmato La Pêche du jour fino al 2024.

Una giornalista cilena che ha assistito allo spettacolo a Parigi mi ha detto che il testo le ha rievocato quel che succede in Cile. Per lei era un’evidenza. La disumanità dei paesi ricchi verso i migranti che noi denunciamo è la stessa: «Da noi è come nel Mediterraneo». Di fronte alla mia sorpresa, ha insistito: «Sostituite il Mediterraneo con il deserto di Atacama, invece degli annegati in mare metteteci gli ustionati dal sole, cambiate griglie e filo spinato con i fossi profondi scavati in questa terra di nessuno per impedire ai migranti venezuelani di entrare in Cile, e vedrete che è la stessa cosa».

Sentivo la sua indignazione. «La realtà – ha continuato – sono i campi infuocati in pieno deserto di Atacama e altre azioni vergognose che testimoniano il cinismo e l’indifferenza nei confronti di persone che cercano soltanto un posto dove vivere degnamente». Come in Europa, questi migranti non sono i benvenuti. Segno che il Mediterraneo è lo specchio di un fallimento umano universale.

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