Una scandalosa Vita di Gesù: alle origini del “caso Renan”

Nel più bel romanzo recente sulle origini del cristianesimo, Il Regno (Adelphi), Emmanuel Carrère dichiara che ad accompagnarlo nel suo viaggio nelle «terre del Nuovo Testamento» è stato Ernest Renan, che nel 1863 fece scandalo con la sua Vita di Gesù. Un libro dal successo enorme, dove il maestro di Nazaret diventa «uno degli uomini più notevoli e influenti mai vissuti sulla terra, un rivoluzionario della morale, un maestro di saggezza come Buddha – ma non il figlio di Dio, per la semplice ragione che Dio non esiste» riassume Carrère. Lo scrittore francese definisce l’opera di Renan «una lettura più istruttiva e piacevole del 99 per cento dei libri pubblicati ogni anno sull’argomento», ma aggiunge che «è invecchiata male». Il motivo? «Quello che aveva di nuovo non è più nuovo, il suo stile elegante e scorrevole, molto Terza Repubblica, tende spesso al mellifluo, ed è difficile che il lettore di oggi non abbia una reazione di fastidio quando Renan elogia Gesù perché è stato il prototipo del “galantuomo”». Secondo Carrère più appassionanti sono gli altri sei volumi della «storia delle origini del cristianesimo», nei quali Renan racconta «nei particolari una vicenda molto meno nota: come una piccola setta ebraica, fondata da pescatori incolti, cementata da una stramba fede sulla quale nessuna persona di buonsenso avrebbe scommesso un sesterzio, abbia divorato dall’interno l’Impero romano in meno di tre secoli e, incredibilmente, abbia retto fino a oggi». In pagine che arrivano al principato di Marco Aurelio e alla fine del mondo antico. Un Dio che parla al presente, Ratzinger e il problema delle omelie Critiche a Renan Il Gesù “galantuomo” di Renan non era piaciuto al maggiore esponente del modernismo italiano, lo storico Ernesto Buonaiuti, che nel 1943 pure riconosceva la serietà delle indagini «dell’ammaliante scrittore francese». Acuto e micidiale è il suo giudizio: «Per quanto consacrata da un plebiscitario successo internazionale, segno tremendamente ammonitore della decadenza della spiritualità cristiana nel secolo decimonono, la Vie de Jésus del Renan non è che una sdolcinata visione idilliaca del Cristo galileo, fatta per quell’Europa liberale che a mezzo il secolo decimonono credette di poter essa instaurare nel mondo, con la luce della ragione, il Regno di Dio. Era, né più né meno, che illuminismo enciclopedista, orpellato di decadentismo idilliaco». Concordava con Buonaiuti, morto scomunicato ma rimasto fedele al suo sacerdozio, l’Enciclopedia cattolica, promossa dal Vaticano pacelliano. Il biblista Angelo Penna vi osservava nel 1951 come la diffusione senza precedenti del libro di Renan, subito incluso nell’Indice dei libri proibiti, fosse dovuta alla «bellezza stilistica» e alla «chiarezza cristallina»; ma in realtà il suo autore, «pur protestandosi indipendente da qualsiasi scuola, non fece altro che divulgare in molti punti i risultati della critica tedesca», a partire dall’opera di Hermann Reimarus, pubblicata postuma e solo in parte tra il 1774 e il 1778. Ritratti, miniature, acheropite: scoprire i volti di Cristo «La prima guerra culturale» A tornare sulla figura dello scrittore francese, sullo strepitoso successo della sua Vita di Gesù – centomila copie solo tra il 1863 e il 1867 – e sulle accese polemiche che ne seguirono è ora Roberto Pertici (Il caso Renan, il Mulino), in un libro dove l’ampiezza dell’informazione coesiste con un racconto che presenta la vicenda come «la prima guerra culturale dell’Italia unita». Non solo tra le classi dirigenti e gli intellettuali laici, spesso d’impronta massonica, da una parte, e i variegati ambienti clericali e cattolici, dall’altra, ma in modo trasversale anche all’interno dei due campi ferocemente contrapposti. Storico ferrato, l’autore si muove a suo agio tra moltissimi testi e, come Carrère, dichiara che Renan da decenni gli è divenuto «compagno». Sentendo congeniale «il teorico della nazione, lo scrittore dei Souvenirs d’enfance et de jeunesse, lo storico di Marco Aurelio, soprattutto una figura di studioso, che con la sua operosità e la sua vita, e anche con il suo scetticismo ironico», lo scrittore francese è divenuto per lui «un punto di riferimento». Pertici conosce dunque a fondo il protagonista del suo libro, un ex seminarista bretone divenuto orientalista e la cui fede «è stata distrutta dalla critica storica», come confesserà lo stesso Renan. Di lui colpiscono oggi la lucidità sulla storia e la lungimiranza sulla sua sorte. Fatta – riflette nel 1883 – di «piccole scienze congetturali che si disfanno incessantemente dopo essersi fatte, e che tra cento anni si trascureranno del tutto. Si vede per vero spuntare un’età in cui l’uomo non si prenderà più molto interesse per il suo passato». Ancor prima della pubblicazione della Vie de Jésus, il polemista cattolico Ernest Hello individua il sottile scetticismo dello scrittore, affermando che «ci sono due modi di essere atei. Si può dire: sono ateo, Dio non esiste. Si può dire, come Renan: credo in Dio, lo adoro; ma non esiste». Anche se lo stesso Renan riconosce un ventennio più tardi che al cristianesimo «dobbiamo i resti della nostra virtù». Ma «viviamo di un’ombra»: anzi, «del profumo di un vaso vuoto; dopo di noi, vivremo dell’ombra di un’ombra; temo che a volte sia un po’ troppo poco» scrive. L’artista che fa propaganda al paradiso. La luminosa pittura di Beato Angelico La “questione romana” Il libro di Pertici è un viaggio attento e rivelatore attraverso la cultura e la politica dell’Italia che sta completando il suo difficile processo unitario. Sullo sfondo, la lacerazione provocata dalla “questione romana”, prima e dopo la soppressione del potere temporale pontificio nel 1870. «Oggi ci è difficile e quasi molesto comprendere le passioni che tanto commossero e amareggiarono le vicende di quel tempo e degli anni successivi» dirà nel 1962 il cardinale Montini, il prelato italiano più amico del Risorgimento che definisce provvidenziale il «crollo» dello stato papale. Passioni e vicende nelle quali Pertici colloca il caso Renan. Il giovane francese arriva in Italia nel 1849: a Portici viene ricevuto da Pio IX, fuggito da Roma, e ne scrive alla madre con simpatia, avendo deciso – come ricorderà – di «condividere la religione del proprio tempo, senza crederci». Poi a Montecassino e a San Paolo fuori le mura è sorpreso dall’ospitalità e dalla cultura dei monaci, che «sono philosophes come noi». L’autore ricostruisce gli incontri italiani di Renan, e poi minutamente il lungo e furibondo scontro che si accende subito dopo la pubblicazione – a Parigi il 24 giugno 1863 – della Vita di Gesù, edita in italiano già nel settembre successivo. Senza risparmio di colpi si succedono le polemiche, spesso imbevute di radicati pregiudizi antiebraici da parte dei polemisti cattolici e di violenza anticlericale sul fronte opposto. Stretti tra due fuochi e imbarazzati sul caso Renan sono i cattolici liberali. Tace Manzoni, senatore dal 1860, avverso al temporalismo papale. E solo a fatica il linguista e patriota Niccolò Tommaseo riesce a pubblicare nel 1869 la sua traduzione dal greco dei vangeli, con un commento che pure è ricavato da san Tommaso d’Aquino, convinto che sia la migliore risposta a Renan. Pertici è dalla loro parte, e ha ragione. La (millenaria) passione secondo Maria: viaggio nel mistero femminile del Vangelo