Il vino naturale alla ricerca di un’identità perduta

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è come si salvano i ristoranti. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Il 4 e 5 aprile di 21 anni fa tra le mura di una splendida villa veneta in stile palladiano veniva organizzata una delle prime manifestazioni di vino naturale in Italia. Era il 2004 e quell’edizione di “Villa Favorita”, volutamente organizzata dal gruppo ViniVeri in concomitanza con Vinitaly, avrebbe rappresentato uno dei momenti fondativi di un movimento capace di influenzare come allora forse non sarebbe stato possibile immaginare tutto il mondo del vino. Contro il rincaro del vino la soluzione è il diritto di tappo? Un evento i cui partecipanti provenivano in larghissima parte dall’estero: appena sedici le cantine italiane presenti, oltre cinquanta quelle giunte in Italia soprattutto dalla Francia. Una manifestazione che anche solo in termini di calendario si poneva come antagonista, che ricusava quindi l’industrializzazione del vino, la sua massificazione e la sua omologazione. Un rifiuto ricco di significati che, attraverso uno specifico impegno, sottolineava la sua militanza. Ne ha scritto qualche mese fa Antonin Iommi-Amunategui sul quotidiano Libération: «Perché il vino naturale, opponendosi attivamente all’agricoltura dominante e al triste vino che produce, è fondamentalmente un atto politico: rifiutare in blocco i pesticidi di sintesi, gli additivi enologici, i circuiti commerciali, critici e mediatici che privilegiano i prodotti agroindustriali, ti pone infatti fin dall'inizio in una posizione di forte impegno, in linea di principio, politico». E ancora: «Una politicizzazione che gli ha conferito una forza senza precedenti, una visibilità che va oltre il semplice bicchiere». Apprezzare le bottiglie di ogni età: la longevità non è esclusiva dei fine wine Conversione biologica Oggi le cose sono cambiate e molte delle istanze di quel movimento sono state assorbite dalla produzione cosiddetta mainstream. Da una parte c’è stata una sempre maggiore attenzione all’ambiente, basti pensare che gli ettari di vigneto in gestione (o conversione) biologica in Italia sono passati dai circa 40.000 del 2008 agli oltre 130.000 del 2023 (fonte: I numeri del vino); o che in generale c’è stato una progressivo ritorno alla valorizzazione delle varietà considerate come autoctone, in controtendenza con quanto avvenuto soprattutto durante gli anni ’90; o, ancora, che il mondo del vino è andato verso un’enologia meno impattante, in generale più rispettosa proprio dei varietali e delle tradizioni dei luoghi. Dall’altra parte la cosiddetta industria del vino si è appropriata di alcuni dei codici estetici tipici del vino naturale, elementi com’è ovvio facilmente replicabili: i vini “orange”, i bianchi macerati sulle bucce, vengono prodotti anche da aziende molto grandi; i frizzanti, vini frutto di una rifermentazione in bottiglia, hanno travalicato i confini delle aree di produzione storiche e vengono oggi prodotti a ogni latitudine; per non dire della facilità di beva che caratterizzava molti dei vini di ingresso di quel movimento, caratteristica oggi riscontrabile nella moda dei vini dalla gradazione alcolica contenuta, non superiore ai 12,5 gradi. Il Mediterraneo è tutto da bere: i vini delle coste La conseguenza è che il vino naturale soffre oggi di una crisi senza precedenti. Ne scrive anche Iommi-Amunategui: «C’è un’erosione del consumo di vino in generale. Poi, naturalmente, i ripetuti shock climatici, una alternanza di episodi di gelo e ondate di calore che hanno messo in ginocchio tante piccole cantine. Possiamo anche menzionare la proliferazione di fiere del vino naturale, una vera e propria bolla, che diluisce l'interesse per questi vini». Infine, la questione ideologica: i vini naturali sembra si siano trasformati da prodotti portatori di una serie di istanze anche politiche a semplice categoria merceologica. «È la perdita di significato, soprattutto politica, degli ultimi anni ad aver arrecato il danno maggiore al vino naturale», continua. «Incapace di cambiare radicalmente la situazione, si è accontentato di adagiarsi, di imborghesirsi; trascurando i suoi principi fondanti, compresa questa forma di ribellione ad esso consustanziale, il vino naturale non sa più imporre la sua differenza». Un allineamento di valori che si traduce in una perdita di interesse da parte dei consumatori, persone che si erano avvicinate a questo universo tanto per una questione di gusto quanto per le istanze che questi “nuovi” vini rappresentavano. Al vino naturale manca quindi oggi una spinta capace, nel 2025 come nel 2004, di essere fedele al suo spirito originale. Potente, progressista, unificatrice. [Missing Caption][Missing Credit]